Se gli uomini americani leggessero più romanzi Kamala Harris avrebbe vinto le elezioni?

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A meno di una settimana dall’insediamento ufficiale di Donald Trump alla Casa Bianca, una domanda che s’insinua periodicamente tra le pagine culturali delle testate statunitensi torna a farsi spazio. Davvero la – presunta – scarsa attitudine maschile per la lettura di narrativa può spiegare l’attuale scenario politico americano?

Il problema della manosphere e la radicalizzazione politica
Uno dei più recenti contributi alla discussione è arrivato a dicembre, racconta Constance Grady su vox.com, quando David J. Morris, professore associato di inglese all’Università del Nevada, ha ipotizzato in un editoriale sul New York Times che la scomparsa degli uomini dalla letteratura – sia come autori che come lettori – abbia contribuito al successo di Donald Trump nella cosiddetta manosphere: quel reticolato digitale di forum, blog, profili social che fanno capo a uomini che promuovono e diffondono visioni sessiste e retrograde della società, incolpando le donne – segnatamente quelle femministe – per ogni problema esistente.

Ma la conversazione andava avanti sulle testate statunitensi almeno dallo scorso agosto, quando lo scrittore Jason Diamond aveva dichiarato con un certo sconforto su GQ: «siamo di nuovo al dibattito sugli uomini che non leggono libri», concludendo sostanzialmente che se la lettura di romanzi si sostituisse (affiancasse?) ai guru motivazionali che ovunque su Internet vogliono insegnare agli uomini come impostare il loro mindset e avere successo, l’intera società ne beneficerebbe.

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Al Giornale della Libreria non potremmo essere più d’accordo di così con questo assunto. D’altronde, viene spontaneo chiedersi se sia poi vero che negli Stati Uniti gli uomini siano così allergici ai romanzi. E quale impatto possa avere questa presunta allergia sulla politica del Paese.

80% vs 20%: un dato senza fonte che continua a circolare
La realtà, osserva Grady, è che la maggior parte degli americani adulti, indipendentemente dal genere, legge pochi libri. Secondo uno studio del Pew Research Center (2011-2021), gli americani leggono in media 14 libri all’anno, una cifra probabilmente gonfiata dalle performance dei cosiddetti «super lettori». La mediana è infatti di 5 libri in 12 mesi. Le persone con un’istruzione universitaria leggono di più rispetto a quelle senza laurea, mentre i giovani tra i 18 e i 29 anni leggono più degli over 65. Le donne, infine, leggono leggermente più degli uomini.

Nello specifico, nel 2021, il 73% degli uomini ha dichiarato di aver letto almeno un libro nell’anno precedente, contro il 78% delle donne. La differenza è di pochi punti, eppure sembra sufficiente a sostenere la narrazione secondo cui il «rifiuto» degli uomini di leggere rappresenterebbe una crisi nazionale.

La presunta discrepanza tra lettura femminile e maschile sembra diventare molto più marcata quando ci si concentra sulle sole opere di narrativa. Molti articoli citano una statistica secondo cui le donne rappresenterebbero l’80% di questo segmento di mercato, lasciando agli uomini solo il restante 20%. Questo dato, ripreso in innumerevoli occasioni, risale almeno al 2007, ma nessuno sembra essere in grado di fornire in proposito una fonte verificabile.

Dopo aver consultato diversi studi ed esperti di settore, racconta Grady, emerge che questa cifra potrebbe arrivare da vecchie indagini non più rappresentative. Per tentare una comparazione più attuale con altri Paesi, nel Regno Unito una ricerca del 2017 ha stimato che le donne acquistano il 63% della narrativa, mentre gli uomini il 37%: una differenza significativa, ma comunque lontana da quell’80/20 ripetutamente citato dalla stampa americana.

La presunta crisi dei modelli maschili nella letteratura best seller
Un’altra osservazione sollevata dagli articoli che alimentano il dibattito sulla (non) lettura maschile negli Stati Uniti riguarda il fatto che gli uomini avrebbero bisogno di identificarsi con modelli maschili per avvicinarsi alla narrativa, sostenendo spesso che tali modelli – autori o personaggi finzionali di genere maschile – siano meno presenti oggi nella letteratura rispetto al passato.

Eppure, osserva Grady, anche in questo caso i dati contraddicono il presupposto di partenza. Negli ultimi cinque anni, gli uomini hanno vinto il National Book Award per la narrativa quattro volte e otto dei Premi Pulitzer per la narrativa assegnati negli ultimi undici anni sono andati a scrittori.

In termini di vendite, autori come Nicholas Sparks e James Patterson continuano a dominare le vette delle classifiche, affiancati – ma di certo non soppiantati – da autrici di successo come Sarah J. Maas. E se a Sparks potrebbe venire facile imputare titoli maggiormente orientati a un pubblico, per così dire, «femminile», risulta difficile farlo con Patterson, che da cinquant’anni pratica con successo un genere – il thriller – conclamatamene trasversale.

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I romanzi possono fare qualcosa contro la misoginia e la mascolinità iper-aggressiva?
Ma allora se gli autori, maschi, da best seller esistono ancora, e se il divario di lettura tra donne e uomini è tutto sommato modesto, perché crediamo che gli uomini abbiano smesso di leggere e che questo fenomeno sia correlato all’affermarsi – anche nella società politica – di posizioni violente, misogine, sessiste, razziste, radicalizzate?

Partiamo dai fatti. Le elezioni statunitensi del 2024 ci hanno mostrato un deciso orientamento della cittadinanza maschile verso Trump. La sua retorica, spesso associata a un modello di mascolinità iper-aggressiva, ha trovato terreno fertile in un pubblico che sembra prediligere contenuti mediatici polarizzanti rispetto a esperienze culturali complesse. D’altronde, anche il successo di figure come l’influencer misogino Andrew Tate conferma la percezione che molti uomini, anche giovani, siano attratti da ideali tossici e violenti.

È in questo contesto che alcune persone del mondo dei media, della cultura, dell’intellighenzia hanno iniziato a chiedersi: ma se gli uomini statunitensi leggessero più narrativa – genere per sua natura multisfaccettato, problematizzante, immersivo; e per questo intrinsecamente capace di accendere comprensione ed empatia – potrebbero forse avere una visione politica diversa?

La lettura come speranza, non come cura universale
La risposta non è semplice. Sebbene esistano studi che collegano la lettura di romanzi all’aumento dell’empatia, ridurre l’orientamento politico a un semplice deficit culturale rischia di semplificare eccessivamente questioni molto più profonde. Radicalizzazione, disinformazione e disuguaglianze economiche giocano infatti ruoli ben più rilevanti nello scenario di formazione delle opinioni politiche.

Quindi, che ruolo possono giocare i romanzi in una società divisa, dove le camere dell’eco sonorizzate e amplificate dal web accompagnano l’ascesa dei populismi, delle destre estreme e la polarizzazione di ogni dibattito pubblico?

La risposta dipende da quanto siamo disposti a riconoscere i limiti della lettura. Certo, i libri possono aprire la mente e favorire la comprensione reciproca, ma non possono risolvere da soli le crisi politiche, sociali, culturali del nostro tempo. E quindi forse il vero problema non è quanti romanzi gli uomini leggano, ma come affrontiamo il bisogno di comprensione della realtà e della complessità, di educazione emotiva e sentimentale, di connessione e dialogo in una società sempre più frammentata, atomizzata, irrimediabilmente turbocapitalista e sterilmente ideologizzata.

In definitiva, è improbabile che la lettura di qualche romanzo in più da parte della popolazione maschile statunitense avrebbe cambiato l’esito delle elezioni, conducendoci nell’ucronia in cui Kamala Harris rifinisce, in queste ore, il suo discorso d’insediamento.

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Ma forse la domanda ritornante che ha percorso per lungo questo articolo rappresenta una buona occasione per cominciare a ripensare il modo in cui concepiamo la lettura. Non come obbligo morale, rimedio universale, scettro di supremazia intellettuale; ma come spazio di esplorazione personale capace, questo sì, di indurre delle domande in chiunque vi si avventuri.





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