Ante ’67 e annullamento d’ufficio: gli obblighi del Comune

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Spetta sempre al privato l’onere di dimostrare che un’opera
dichiarata abusiva sia in realtà stata realizzata in epoca
ante ’67
, mediante la presentazione di prove rigorose ed
elementi oggettivi.

Qualora il soggetto fosse in grado di fornire tali
dimostrazioni, il Comune è tenuto a compiere in merito un’adeguata
istruttoria, non potendosi limitare a fornire elementi incerti in
ordine alla presumibile data di realizzazione al fine di
giustificare l’adozione dell’ordine di
demolizione
.

L’Amministrazione, allo stesso modo, è anche tenuta al rispetto
delle condizioni stabilite dalla legge per poter esercitare
l’annullamento d’ufficio di un permesso di costruire in
sanatoria
, sia in merito alle tempistiche concesse che
all’obbligo di comparare correttamente l’interesse pubblico con
quello del privato alla conservazione del titolo.

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Opere ante ’67: prove congrue annullano la demolizione

A ribadirlo è il Consiglio di Stato con la
sentenza n. 9582 del 29
novembre 2024
, che, in parte, dispone la riforma della
sentenza del TAR, accogliendo il ricorso per l’annullamento
dell’ordine demolitorio
relativo ad un manufatto ante ’67
e, in parte, conferma quanto stabilito dai giudici di primo grado
in relazione all’illegittimità dell’annullamento
d’ufficio
del permesso in sanatoria disposto dal
Comune.

In quanto alle opere ante ’67 – ovvero
realizzate prima della Legge n. 765/1967 (Legge
Ponte
), che ha modificato la Legge n. 1150/1942
(Legge urbanistica) e introdotto l’obbligo dei
titoli edilizi – qualora venissero contestate come abusive, spetta
al privato dimostrare che l’epoca di realizzazione è stata
antecedente all’introduzione dell’obbligo, e quindi che l’opera è
stata realizzata lecitamente sine
titulo
.

Il soggetto, in particolare, deve fornire prove rigorose, che si
basano su documentazione certa e univoca e, comunque, su
elementi oggettivi, come ad esempio
aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione o
altre certificazioni attestanti fatti che costituiscono circostanze
importanti.

Qualora l’interessato riuscisse a fornire tali prove certe e
inequivoche, l’Amministrazione avrebbe l’obbligo di
valutarle
ai fini della verifica dell’efficacia
dell’ordine di demolizione disposto.

Nel caso in esame, il proprietario dell’immobile risulta aver
correttamente presentato una serie di documenti validi a comprovare
che il manufatto ad uso deposito contestato è un’opera ante ’67, e
pertanto non necessitava di alcun titolo edilizio
per essere realizzata.

Nello specifico, è stato dimostrato che il deposito era
esistente, con basi in muratura e sostegni in legno, almeno dal
1936, ed è stato ricostruito, a seguito di crollo, nel 1979, con
volumetria leggermente inferiore e con sostegni in muratura, invece
che in legno.

Si evidenzia in proposito che l’intervento di
ricostruzione dei sostegni crollati, ai sensi
dell’art. 31, lett. b) della Legge n. 457/1978
(Norme per l’edilizia residenziale), rientra tra
gli interventi di manutenzione straordinaria e, ai sensi
dell’art. 48 della stessa norma, rientra tra gli
interventi che possono essere autorizzati mediante
silenzio-assenso, come è avvenuto in questo
caso.

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Risulta evidente, in generale, “il difetto di istruttoria e
di motivazione dell’ordinanza di demolizione con riferimento sia
all’accertamento dell’epoca di realizzazione del manufatto e sia
alla sussistenza di idoneo titolo edilizio ai sensi della l.
457/1978
”; ordinanza di demolizione che, quindi, dev’essere
annullata.

Annullamento d’ufficio: illecito per tempistiche e
motivazione

L’operato dell’Amministrazione viene giudicato inadeguato anche
per ciò che concerne l’annullamento d’ufficio del
Permesso
di Costruire in sanatoria inizialmente rilasciato
ai sensi della Legge n. 47/1985 (Primo Condono
Edilizio
) relativo all’ampliamento dell’edificio
residenziale in cui insiste il manufatto adibito a deposito. Il
provvedimento difatti risulta illegittimo sia per tempistiche che
per motivazioni.

L’art. 21-nonies della Legge n. 241/1990
(Norme in materia di procedimento amministrativo)
dispone chiaramente che l’Amministrazione possa provvedere
all’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio entro un
tempo massimo di 12 mesi dal suo rilascio, con
possibilità di estensione del termine solo per quanto riguarda i
casi previsti al comma 2-bis
dello stesso articolo (“provvedimenti amministrativi conseguiti
sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni
sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o
mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con
sentenza passata in giudicato
”).

Nel caso qui trattato, il Comune ha disposto il provvedimento
oltre il termine concesso, e non risultano
applicabili le disposizioni di cui al comma 2-bis.

In ogni caso, non è condivisibile neanche la motivazione
dell’annullamento d’ufficio, disposto in virtù dell’assenza
del Certificato di Idoneità Statica
del fabbricato,
obbligatorio per gli interventi che ricadono in zone sottoposte a
vincolo sismico e per le opere abusive che superino i 450 mc, a
tenore di quanto disposto dalla circolare del Ministero dei
Lavori Pubblici n. 3357/25 del 30 luglio 1985
.

Si spiega infatti che, a prescindere dalla portata del volume
abusivo – che comunque nel caso in esame è pari a 420 mc –
l’immobile oggetto del condono è stato realizzato nel
1975
, ovvero molto prima che il Comune in questione
venisse classificato come zona sismica nel 1981, pertanto non
risulta applicabile l’obbligo di presentazione del
certificato
di idoneità statica previsto dall’art.
35, comma 9
, della Legge sul Primo Condono.

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Per i motivi suddetti, si dispone la riforma parziale della
sentenza del TAR, con l’accoglimento integrale del ricorso di primo
grado e l’annullamento del provvedimento disposto
dal Comune.





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