Pitti Uomo: «La moda è troppo importante. Cambiati i paradigmi del consumo»

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di
Maria Teresa Veneziani

La cerimonia di apertura di Pitti Uomo nsi è trasformata in una riflessione collettiva su come rilanciare il sistema moda che però deve anche essere ripensato perché stanno cambiando i vecchi paradigmi

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«Veniamo da un 2024 complesso che ha visto il tessile-abbigliamento per la prima volta in calo dopo anni di crescita»: la cerimonia di apertura di Pitti Uomo n. 107 a Firenze si trasforma in una riflessione collettiva su come rilanciare il sistema moda che però deve anche essere ripensato perché stanno cambiando i vecchi paradigmi. «Il 2025 sarà un anno spartiacque per la moda, sarà necessario ridisegnare una serie di elementi a cui eravamo abituati — ha affermato Sergio Tamborini, presidente di Sistema Moda Italia —. Eravamo abituati a una certa dinamica nelle tre dimensioni — lusso, medio di gamma e fast fashion — che ora si stanno rivoluzionando. Ciascuno dei tre ambiti ha magari compiuto degli errori, pensiamo alla dinamica dei prezzi che collide con la dinamica dei pezzi venduti da cui la manifattura in realtà dipende… La moda è troppo importante, è il secondo settore manufatturiero del Paese, le manifatture non sono fatte di glamour e sfilate, ma di persone che lavorano, di professionalità che dobbiamo stare attenti a non perdere. Le istituzioni mettano in campo una vera politica industriale a medio lungo termine». «Chiediamo al ministro Urso di supportare la filiera, non possiamo perdere il nostro know-how», interviene il presidente di Pitti Toto De Matteis, ma sferza anche gli imprenditori a fare la loro parte. 

Le cifre: -6% il calo nei fatturati nel 2024 della filiera tessile-abbigliamento italiana secondo Confindustria moda. Per il settore maschile, il calo si ferma a -3,6 e 90mld dal critico rallentamento generale negli ordinativi si salvano le esportazioni: le stime parlano di una chiusura del 2024 a 90 miliardi di export (+2%)




















































L’invito è a innovare, a diversificare la clientela per non finire intrappolati dalle situazioni geopolitiche, mentre Matteo Zoppas, presidente di Ice, spiega che le difficoltà e il critico rallentamento generale negli ordinativi non si riflettono per ora sul risultato delle esportazioni: «Le ultime stime parlano di una chiusura del 2024 a 90 miliardi di export moda e di una crescita low del 2 per cento». E mentre il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso convoca un tavolo con le associazioni che si riunirà il 24 gennaio, la sindaca Sara Funaro incalza il governo, «serve la tutela dei lavoratori da una parte e l’attenzione alle imprese dall’altra». «La filiera tessile abbigliamento chiuderà il 2024 con un meno 6 per cento, abbiamo perso 5-6 miliardi» osserva Gianfranco Di Natale, direttore di Confindustria Moda, ricordando «l’aumento molto importante della cassa integrazione del 2024 sul 2023: dal 100-120% di inizio anno chiudiamo con oltre il 200%». «Una crisi che a tutti gli effetti non è congiunturale, è strutturale — sottolinea Di Natale —. Stanno cambiando tutti i paradigmi del consumo, un mercato del lusso come quello cinese è venuto a mancare, ma riteniamo che potrà essere compensato in Arabia Saudita e nei Paesi del Golfo. Si stanno modificando i consumi che si spostano dalla moda a turismo e viaggi. Inoltre i giovani hanno un approccio verso il modo di vestire particolare, c’è molto consumo di usato, ma non vintage come 20 anni o 30 anni». Il presidente De Matteis sfodera lo spirito dell’imprenditore: «Se guardiamo il fatturato dell’uomo del 2019 di 10 miliardi, gli 11 e mezzo del 2024 segnano ancora una crescita. È fisiologico un riallineamento dopo anni di crescita oltre il 12%, soprattutto con le difficoltà della Cina compensate dagli Usa; bisogna bilanciare le offerte sui mercati».

15 gennaio 2025

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