Dieci offerte e due nuove tappe per la neverending story dell’ex Ilva

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Nuova puntata, in due tappe, della storia infinita dell’Ilva. O, per dir meglio, di quella parte infelice della storia dell’Ilva che ha preso avvio a fine luglio 2012 col sequestro degli impianti del centro siderurgico di Taranto, deciso dal Tribunale della città pugliese, e si è poi snodata attraverso successivi commissariamenti e vendite. Una storia che sembrava aver trovato una positiva ripartenza con l’arrivo del colosso siderurgico anglo-indiano ArcelorMittal, ma ha poi conosciuto nuove, impreviste difficoltà. Una storia, ancora, che si sperava potesse ritrovare un percorso credibile con la nascita – e qui siamo già nel 2021 – di Acciaierie d’Italia. Ma tale speranza si è rapidamente infranta: nel febbraio del 2024 si è così assistito alla messa anche del nuovo gruppo in Amministrazione straordinaria.

I nostri lettori più affezionati ricorderanno forse che, nell’estate scorsa, e precisamente il 1° agosto, si venne a sapere che il cosiddetto Ministero delle Imprese e del Made in Italy, guidato da Adolfo Urso, aveva indetto il bando per raccogliere manifestazioni di interesse per l’acquisizione delle attività e degli impianti produttivi di AdI in Amministrazione straordinaria (e quindi anche di Ilva in Amministrazione straordinaria). Manifestazioni che andavano espresse entro il 20 settembre.

Successivamente, è stata fissata la data del 10 gennaio come quella entro cui i candidati acquirenti dovevano passare dalle loro manifestazioni di interesse a eventuali offerte vincolanti.

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Ed eccoci alla nuova puntata cui abbiamo accennato. Prima tappa: entro la mezzanotte di venerdì scorso, sono state effettivamente presentate 10 offerte vincolanti: 3 relative all’intero gruppo attualmente denominato Acciaierie d’Italia, e 7 relative ad alcune sue parti. Seconda tappa, quella attualmente in corso. Dopo la presentazione delle offerte, è iniziata la loro valutazione. Un lavoro tutt’altro che semplice, la responsabilità della cui effettuazione ricade innanzitutto sui tre Commissari di AdI in As: Giovanni Fiori, Giancarlo Quaranta e Davide Tabarelli.

Mentre i valutatori sono al lavoro, possiamo intanto fare qualche considerazione su nomi e obiettivi degli offerenti.

La prima cosa che balza agli occhi, è che fra le tre offerte relative all’intero gruppo AdI non ce n’è nessuna proveniente da un’impresa italiana. La seconda è che, anche per ciò che riguarda gli stranieri, con un’unica eccezione, non sono finora comparsi tra quelli degli offerenti grandi nomi dello scenario siderurgico mondiale.

L’unica eccezione di cui abbiamo parlato è quella relativa al gruppo indiano Jindal Steel International, guidato da Naveen Jindal. Un gruppo che, secondo quanto Paolo Bricco scrive oggi sul Sole 24 Ore, “opera in autonomia” rispetto a quanto fanno “altri rami” della famiglia Jindal, ma “ha un profilo manifatturiero imponente”, dato che le sue attività spaziano dall’acciaio, alle miniere, all’energia. Inoltre, si tratta di un gruppo particolarmente esperto nella produzione e nell’impiego del cosiddetto “preridotto”, ovvero, con la sigla usata in inglese, del DRI (Direct Reduced Iron), “componente chiave – scrive ancora Bricco – per la produzione di acciaio verde”.

E questa è una notizia interessante, visto che l’impiego del preridotto implica che la produzione dell’acciaio venga effettuata non con la tecnologia dell’altoforno, ma con quella del forno elettrico, assai più ecocompatibile.

Una seconda offerta relativa all’intera ex Ilva è quella effettuata dall’azera Baku Steel Company insieme all’Azerbaijan Investment Company. Due imprese di cui, almeno fin qui, in Italia si sa poco. Infine, dagli Stati Uniti viene l’offerta effettuata da Bedrock Industries Management. Ovvero non da un protagonista del mondo dell’acciaio, ma da un fondo di investimenti.

Come si vede, almeno per adesso è scomparso dall’orizzonte il nome del gruppo ucraino Metinvest, che pure era stato fatto nei mesi scorsi. E sottolineiamo che abbiamo scritto “per adesso” perché, a quanto pare, i Commissari non escludono di poter esaminare anche altre offerte che dovessero manifestarsi in seguito.

Per quanto riguarda i siderurgici italiani, non essendosi fatto vivo Arvedi, l’unico nome di rilievo è quello del gruppo Marcegaglia. Quest’ultimo è, infatti, il protagonista di tre offerte, tutte relative a stabilimenti vocati alla produzione di tubi. La prima offerta, effettuata da Marcegaglia come impresa singola, è relativa al sito di Sénas, in Francia. La seconda, in cordata con altre due imprese italiane, è relativa al sito di Racconigi (Cuneo). Mentre la terza, in cordata con Sideralba, è relativa al sito di Salerno.

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Ottimistica la razione del ministro Urso, secondo cui “la partecipazione così significativa di grandi attori internazionali conferma che siamo sulla strada giusta per il rilancio della siderurgia italiana”.

Meno entusiasti, i sindacati dei metalmeccanici. In particolare, Rocco Palombella, Segretario generale della Uilm-Uil, si è detto “fortemente” contrario a qualsiasi ipotesi di “spezzatino”, ovvero a qualsiasi ipotesi che non veda il mantenimento dell’unitarietà dell’attuale assetto produttivo di Acciaierie d’Italia.

“Chiediamo l’immediata convocazione di un tavolo a Palazzo Chigi con Governo e Commissari dell’ex Ilva – ha detto ancora Palombella – per valutare le offerte presentate e la gestione attuale, con la verifica degli impegni presi in questi mesi dall’Azienda.” “Per noi – ha aggiunto il leader della Uilm – gli obiettivi fondamentali e inscindibili sono la tutela ambientale, la piena salvaguardia occupazionale – diretta, indiretta e dei 1.600 lavoratori di Ilva in AS -, la produzione di acciaio ecosostenibile e di qualità, la presenza e il controllo dello Stato nella società.”

Anche secondo Valerio D’Alò, Segretario nazionale della Fim-Cisl e responsabile siderurgia di tale organizzazione, “un occhio particolare dovrà essere dato alla tenuta di tutto quanto il Gruppo, e non solo ad alcune sue parti”. Inoltre, sempre secondo D’Alò, affinché “gli investimenti – che verranno proposti nel piano industriale da chi arriva – possano vedere una continuità nella loro realizzazione”, sarà necessaria “una sorveglianza forte da parte dello Stato, perché sono investimenti che non prevedono poche risorse e, soprattutto, non prevedono pochi anni”. Tali investimenti, ha precisato D’Alò, dovranno “rispondere alle necessità ambientali di usare le migliori tecnologie possibili per la produzione d’acciaio”, ma ciò “senza trascurare l’aspetto occupazionale”.

Infine, da parte della Fiom-Cgil è venuta innanzitutto, con una sua nota, un’osservazione relativa alle modalità dei rapporti del Governo con i sindacati: “In un passaggio così delicato come la presentazione delle offerte per l’acquisizione degli stabilimenti di Acciaierie d’Italia, la comunicazione deve avvenire non a mezzo stampa, ma attraverso il confronto nelle sedi istituzionali, a partire da Palazzo Chigi, con il Sindacato e l’Azienda”.

Nella stessa nota, è poi scritto che “per la Fiom-Cgil, considerati la strategicità dell’ex Ilva e gli accordi in essere, i presupposti” di qualsiasi azione positiva sono, oltre alla presenza dello Stato nella struttura della nuova proprietà, “la garanzia del mantenimento dell’occupazione” e “gli investimenti necessari all’utilizzo degli impianti e alla transizione ecologica per la tutela della sicurezza e della salute ambientale”.

@Fernando_Liuzzi

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