L’uomo nel bosco: la recensione del noir di Alain Guiraudie

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Incoronato dai Cahiers du cinéma il titolo del 2024, il film scritto e diretto da Alain Guiraudie è un’opera assolutamente folle nell’imprevedibilità delle sue traiettorie narrative.

Dopo essere stato proiettato in anteprima a Cannes 77 e al Noir Film Festival, L’uomo nel bosco arriva ora in sala con un biglietto da visita non indifferente. I Cahiers du cinéma, la prestigiosa rivista di critica cinematografica francese, ha incoronato l’opera scritta e diretta da Alain Guiraudie come il film del 2024. Un riconoscimento importante, ma che non fa della pellicola un titolo lontano dal pubblico e relegato nella bolla della critica.

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L’uomo nel bosco: un racconto imprevedibile

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Félix Kysyl e Catherine Frot in una scena del film

Il regista de Lo sconosciuto del lago ha preso spunto dal suo secondo romanzo, Rabalaïre, per la sceneggiatura che ruota attorno a un giovane uomo Jérémie (Félix Kysyl) che da Tolosa torna nel paesino rurale dove è cresciuto, Saint-Martial, per partecipare ai funerali del panettiere che anni prima gli aveva dato il suo primo lavoro e del quale era segretamente innamorato. Si ferma per qualche giorno a casa di Martine (Catherine Frot), la vedova del defunto, scatenando la gelosia di suo figlio Vincent (Jean-Baptiste Durand). Un tempo i due erano amici, ma quello che è rimasto non è altro che risentimento e una carica sessuale inespressa.

Carica che caratterizza ogni rapporto di Jérémie con gli abitanti del paesino. Tutti ne vorrebbero un pezzetto, compreso il parroco (personaggio straordinario interpretato da Jacques Develay). Il suo ritorno destabilizza ogni equilibrio e riporta a galla un passato che il regista accenna appena lasciando che sia lo spettatore a riempire i vuoti.

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Félix Kysyl e Jean-Baptiste Durand in un’immagine del film

Quello di Guiraudie potrebbe essere definito un noir per trovargli un cappello o un etichetta. Ma è vero anche che L’uomo del bosco è un film assolutamente folle nell’imprevedibilità delle sue traiettorie narrative. Senza contare l’ironia che lo pervade e la natura quasi teatrale dei personaggi che mette in campo, tanto che il film sarebbe potuto essere una pièce.

Un film ricco di stratificazioni

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Félix Kysyl e Jacques Develay in una scena de L’uomo nel bosco

La sequenza iniziale vede una ripresa soggettiva di una strada di campagna. Si tratta – anche se non lo vediamo – del protagonista che fa ritorno a casa. Alla bellezza del paesaggio si frappone però la colonna sonora sinistra di Marc Verdaguer. È un indizio che ci dà Guiraudie per prepararci a ciò che ci aspetta in quella realtà apparentemente placida. Tra le tante passeggiate che gli abitanti di Saint-Martial fanno nel bosco limitrofo alla ricerca di funghi, infatti, ci scappa il morto.

È il pretesto che il regista usa per raccontare il dedalo di connessioni umane mosse dal desiderio – positivo e negativo – che il protagonista suscita negli altri, oltre a quello che lui stesso prova. A questo Guiraudie aggiunge una riflessione sulla misericordia (non a caso il titolo originale è Miséricorde) e sul senso o meno che ha seguire determinate regole (ad esempio: il carcere per chi commette un crimine ha veramente senso?).

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Una scena del film

È un film ricco di stratificazioni L’uomo nel bosco che dalla sua ha la capacità di non respingere mai lo spettatore, di non essere un’opera celebrare, teorica. È un cinema libero di spaziare e spiazzare come il suo protagonista.

Conclusioni

Alain Guiraudie prende spunto dalla trama di un suo romanzo, Rabalaïre, per portare sul grande schermo un noir atipico per la totale imprevedibilità della sua struttura narrativa. La storia di un giovane uomo che torna nel paesino in cui è cresciuto e che da quello stesso luogo e dai suoi abitanti viene avvinghiato. Un film che affronta il tema del desiderio – nel suo duplice aspetto, positivo e negativo – e della misericordia attraverso il suo protagonista. Un uomo capace di attrarre a sé chiunque. Guai compresi.

Perché ci piace

  • La riflessione sul desiderio
  • L’imprevedibilità del racconto
  • L’uso di un’ironia sottile
  • Il personaggio del parroco interpretato da Jacques Develay

Cosa non va

  • L’andamento imprevedibile della sceneggiatura potrebbe disorientare una fetta di spettatori

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