A dicembre l’indice generale dei prezzi negli Stati Uniti torna a salire, ma al netto di energia e alimentari fa segnare un leggero calo: un quadro che non distoglierà la banca centrale americana dal percorso di contenimento del costo del denaro
L’inflazione negli Stati Uniti torna a salire leggermente a dicembre, anche se la componente “core”, ovvero l’indice al netto di energia e alimentari, scende di poco. Questi leggeri movimenti, scommettono gli analisti, non faranno deviare la traiettoria della Fed dalla strategia sulla politica monetaria espansiva annunciata a dicembre, con due tagli dei tassi di interesse nel 2025. Almeno per ora, quindi la politica della banca centrale americana non subirà rivoluzioni.
La dinamica dei prezzi e le promesse della Fed: due tagli nel 2025
I prezzi al consumo sono aumentati più del previsto il mese scorso, +0,4% rispetto allo 0,3% di novembre e oltre le attese (+0,3%), ha reso noto il Bureau of Labor Statistics del Dipartimento del Lavoro. Su base annuale, i prezzi sono cresciuti del 2,9% dal 2,7% di novembre in linea con le attese. I progressi nel riportare l’inflazione all’obiettivo del 2% della banca centrale statunitense hanno incontrato un ostacolo nella seconda metà del 2024.
L’economia americana infatti è ancora in ottima salute, la minaccia dei dazi del presidente eletto Donald Trump sui beni importati e le deportazioni di massa di immigrati clandestini, azioni considerate inflazionistiche, hanno portato la banca centrale statunitense a prevedere un percorso di riduzione dei tassi molto più tenue quest’anno.
Inoltre, Trump ha promesso tagli fiscali, che darebbero nuovo sprint all’economia. Le aspettative di inflazione dei consumatori sono salite alle stelle a gennaio, con le famiglie preoccupate che i dazi aumenteranno i prezzi dei beni al consumo. Escludendo le componenti volatili di cibo ed energia, l’indice dei prezzi al consumo ha rallentato al +0,2% dal +0,3% di novembre in linea con le stime.
Su base tendenziale, il cosiddetto Cpi (consumer price index) core è aumentato del 3,2% dopo essere salito del 3,3% a novembre, meno delle previsioni (+3,3%).
Le prossime mosse a fine primavera
Non è previsto alcun taglio dei tassi alla riunione della Fed del 28-29 gennaio. Mentre gli economisti prevedono meno tagli dei tassi quest’anno, sono divisi sulla tempistica, se la banca centrale ridurrà i costi di prestito prima della seconda metà dell’anno.
Goldman Sachs prevede due tagli dei tassi quest’anno, il primo a giugno e il secondo a dicembre, un numero rivisto al ribasso da tre. Bank of America Securities ritiene invece che il ciclo di allentamento della Fed sia terminato. La banca centrale ha lanciato il suo ciclo di allentamento a settembre e ha abbassato il tasso di interesse overnight di riferimento di 100 punti base all’attuale intervallo del 4,50%-4,75%. L’ultima riduzione è stata a dicembre, quando i banchieri della Fed hanno previsto due tagli dei tassi quest’anno invece dei quattro ipotizzati a settembre. Il tasso di riferimento è stato aumentato di 5,25 punti percentuali tra marzo 2022 e luglio 2023.
Il parere degli analisti
Per Tina Adatia, head of fixed income client portfolio management di Goldman Sachs Asset Management, «il dato odierno del CPI core, più debole del previsto, dovrebbe contribuire a raffreddare i timori di una riaccelerazione dell’inflazione. Sebbene il dato di oggi sia probabilmente insufficiente per rimettere in gioco un taglio dei tassi a gennaio, rafforza l’ipotesi secondo cui il ciclo di allentamento della Fed non ha ancora fatto il suo corso. Tuttavia, poiché i dati del mercato del lavoro restano solidi, la Fed ha la possibilità di essere paziente e saranno necessari ulteriori dati positivi sull’inflazione affinché la banca centrale possa procedere a un ulteriore allentamento».
«L’attenzione della comunità finanziaria – spiega Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia – era tutta rivolta alla pubblicazione del dato sull’inflazione che doveva essere significativo per capire se le pressioni inflazionistiche siano tornate su un nuovo sentiero rialzista che possa modificare le strategie della Federal Reserve. Il dato di dicembre a nostro avviso è stato abbastanza positivo soprattutto per la parte “core” ovvero esclusi energetici e alimentari. Su base mensile la crescita dei prezzi core è la più bassa degli ultimi 5 mesi. Il dato generale è influenzato dall’aumento dei prezzi degli energetici. Guardando al futuro non è da escludere che le pressioni inflazionistiche possano aumentare nel primo trimestre 2025 sulla scia di prezzi energetici elevati e delle politiche economiche portate avanti dall’amministrazione Trump».
Per Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm, «la combinazione di un’inflazione elevata e di un mercato del lavoro resiliente suggerisce che la possibilità di tagli dei tassi nel 2025 potrebbe essere ridotta. La Federal Reserve ha già annunciato l’intenzione di ridurre i tassi di soli 50 punti base quest’anno. Inoltre, con l’insediamento del presidente eletto Trump, previsto per lunedì, è probabile che la Fed adotti un approccio attendista per valutare la direzione della politica fiscale. Inoltre, le ipotesi di dazi aggressivi, che potrebbero avere effetti inflazionistici, potrebbero pesare sul processo decisionale della banca centrale».
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