In Irpinia da due secoli crescono le vigne monumentali a piede franco di Feudi di San Gregorio – Virtù Quotidiane

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Cantine e vini 15 Gen 2025 19:15


SORBO SERPICO – Alcune hanno anche duecento anni. Eppure i due secoli passati non ne hanno minato la rigogliosità. Le viti a piede franco che ancora oggi crescono e producono uva nella zona dell’Irpinia sono un tesoro inestimabile, sia in termini di studio e di ricerca, ma anche per le immagini suggestive e uniche che sanno regalare.

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Monumentali, alte fino a tre metri, si inerpicano, si intrecciano e fanno crescere frutti capaci di resistere persino alla fillossera, il parassita temutissimo dai viticoltori del passato, ma oggi ancora di più con la sua recrudescenza che nel 2023 ha prodotto danni pesantissimi.

Arrivata dal Nordamerica, la sua prima diffusione nell’800 in Europa, portò a un cambiamento radicale nella viticoltura europea, considerato che per salvare le piante dal rischio estinzione, si è cominciato a innestare la vite europea, nella parte superiore, con quella americana in quella inferiore, resistente all’attacco della fillossera almeno nella parte radicale.

Sebbene in Italia la fillossera abbia trovato in generale terreno fertile per attaccare le viti, alcuni impedimenti naturali in determinate condizioni sono riusciti a frenarla. A rendere più debole il parassita, infatti, ci sono le altitudini dei vigneti, specie per quote di oltre mille metri sul livello del mare, che producono sbalzi termici notevoli che rendono difficile la sopravvivenza all’insetto. Poi i terreni sabbiosi, argillosi o vulcanici, che impediscono alla fillossera di potersi muovere con facilità. Infine , poiché la  la fillossera non sopravvive in acqua, i ristagni d’acqua notevoli per periodi medio – lunghi. Ecco che esemplari di viti a piede franco sono ancora oggi in Val d’Aosta o sull’Etna dove le altezze sono significative, oppure in Sardegna, Sicilia o Campania, con i terreni sabbiosi e vulcanici.

Simbolo della conservazione di queste maestose viti è Feudi di San Gregorio, cantina fondata nel 1986 a Sorbo Serpico, in Irpinia, nella provincia di Avellino con 300 ettari vitati di proprietà, più 200 dei conferitori.

“Il nostro territorio ha una storica presenza della vite, ed è stato solo parzialmente colpito dalla fillossera, per due motivi”, spiega Antonio Capaldo, presidente dell’azienda che è diventata una Società Benefit, raggiunto la certificazione Equalitas e certificato B Corp l’intero gruppo. “Il primo sono i suoli sabbiosi di origine vulcanica che rendevano complesso il movimento del parassita. Il secondo aspetto è legato al fatto che il territorio è sempre stato molto frammentato come proprietà e quindi spesso la vite si alternava a tante altre coltivazioni, che in qualche modo sbarravano la strada al fungo”.

Molte vigne coltivate dai contadini della zona risalgono addirittura alla fine dell’800. Un dato certificato anche dalla Scuola enologica De Sanctis, che è il primo istituto di viticoltura ed enologia d’Italia. I Patriarchi, come li chiama Feudi di San Gregorio, diventano oggetto di studio e ricerca, a cominciare dal vigneto “Dal Re”, con 400 piante di aglianico a piede franco a Taurasi, alte tre metri, vendemmiate con le scale per arrivare ai grappoli più su, da cui viene fuori Serpico, un vino dalla tiratura limitata.

“Quel vigneto, come altri, veniva allevato da piccoli agricoltori per coltivare uva e basta. Si coltivava in alto per continuare a terra a lavorare anche altro, come le patate o i pomodori. Nel tempo queste viti hanno trovato una loro evoluzione. Ogni pianta è diversa da sé stessa. Le foglie, le caratteristiche del grappolo. Abbiamo riscontrato più di 100 biotipi differenti”.

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Lavorare sulle vigne vecchie, sopravvissute alla fillossera per l’azienda irpina è una questione di preservare un patrimonio storico, ma anche di sostenibilità ambientale per non impoverire il suolo e di dare una risposta al riscaldamento globale.

“Se ogni 15-20 anni si piantano nuove viti, come accade spesso, si impoverisce tantissimo il suolo, perché nei primi anni la vite estrae moltissimo e restituisce molto poco”, dice ancora Capaldo. “Lavorare sulle vigne vecchie consente di mantenere la biodiversità e di preservare le forme di allevamento dei cloni storici. Quando si vive questo tipo di viticoltura, bisogna accettare che la pianta ha una esperienza di sé stessa, si autoregola e non si sottopone a stress inutili e quindi in alcune annate può non produrre nulla. Le forme di allevamento a pergola come quelle del vigneto ‘Dal Re’, inoltre stanno diventando sempre più preziose con il riscaldamento globale, per proteggere l’uva dall’umidità e dal sole”.

Dal 1999 fino al 2010, Feudi di San Gregorio in collaborazione con il professor Attilio Scienza, dell’università di Milano e del professor Luigi Moio dell’università di Napoli, hanno avviato uno studio, piantando i biotipi scoperti nel vigneto “Dal Re” in microvigneti.

Proprio per proteggere la biodiversità dei territori e a coltivare i vigneti in maniera rispettosa Feudi di San Gregorio ha stilato un vero Protocollo Viticolo, sviluppato con Istituti di Ricerca all’avanguardia, e che è un programma per i conferenti e sugli interventi per minimizzare i consumi delle risorse: dall’utilizzo integrale di fonti rinnovabili per il fabbisogno energetico, al recupero e al riciclo delle acque piovane, alla riduzione dell’impatto ambientale del packaging fino all’impegno di raggiungere la neutralità climatica.


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