Accordo Israele e Hamas. Politi (Ndcf): “La tregua è una vittoria sterile per Netanyahu”

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Trump rivendica il successo del cessate il fuoco tra Hamas e Israele come effetto della sua “storica vittoria” di novembre. Per Netanyahu, secondo Politi (Ndcf), la tregua non porta un ritorno politico immediato e lascia in sospeso le sfide economiche e interne di Israele. Il Qatar e l’area del Golfo potrebbero favorire una normalizzazione più ampia, mentre resta incerta l’evoluzione dei rapporti tra Tel Aviv e Washington

epa11826777 Palestinians react to news of a ceasefire agreement with Israel, in Khan Younis, southern Gaza Strip, January 15, 2025. According to US and Hamas officials, Israel and Hamas agreed on a hostage deal and ceasefire, to be implemented in the coming days. EPA/HAITHAM IMAD

A Gaza finalmente è arrivata la tregua. Il governo di Israele e le forze di Hamas hanno raggiunto un accordo sul cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. Fra i primissimi a commentare c’è Donald Trump. Il presidente eletto degli Stati Uniti, che formalmente entrerà alla Casa Bianca il prossimo lunedì, sul suo social, Truth, ha commentato come “epico” il risultato in Medio Oriente, arrivando a scrivere come sia stato possibile solo “in seguito alla nostra storica vittoria di novembre”. Alessandro Politi, direttore del Nato defense college foundation (Ndcf), commenta a caldo l’accordo e illustra le possibili conseguenze. Per “Benjamin Netanyahu la vittoria è per ora sterile almeno dal punto di vista politico”, osserva. Dopo oltre un anno di guerra, il premier israeliano infatti non è riuscito a contenere l’ala più estremista del suo elettorato mentre la crisi economica attanaglia il Paese. “Vedremo – dice Politi – verso dove porterà il costo enorme della guerra mentre l’economia è ferma”.

Direttore, dietro la bella notizia della tregua cosa possiamo leggere fra le righe?
A parlare ci sono le vittime lasciate da questa guerra: le 200mila a Gaza per cause dirette e indirette – anche se è una stima prudente sulla base di calcoli di Lancet, visto che le cifre che circolano sono o della propaganda o di organismi deputati che non hanno la capacità di contare realmente -, i 1200 fra gli israeliani, i 131 soldati e gli oltre 300 ostaggi.

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Il fatto che gli ostaggi possano tornare ora a casa dal punto di vista umano e umanitario è certamente un fatto positivo, così come la liberazione del migliaio di prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane.

Sullo sfondo, nel resto del Medio Oriente c’è la questione libanese, ancora in ballo, che ha indebolito Hezbollah, ma non tanto da farla sparire, nemmeno con il nuovo presidente, Joseph Khalil Aoun, già capo delle forze armate e cristiano maronita. Si potrebbe dire, a livello mediatico, che la Mezzaluna sciita sia al momento indebolita, ma meglio non illuderci. Anche in Siria, il collasso del regime è dovuto all’indebolimento del morale dell’esercito. In particolare per Israele, la tregua non rappresenta per Benjamin Netanyahu una vittoria fruttuosa, per ora almeno dal punto di vista politico.

È più una vittoria per Hamas?
Se gli israeliani continuano a chiamare terrorismo quella che è una guerra rivoluzionaria in piena regola, rischiano di continuare a perdere politicamente. Gli israeliani hanno combattuto, ma stupisce che l’élite non abbia pensato nel frattempo ad una soluzione politica mentre il Paese vive una crisi economica importante. Vedremo cosa porterà il costo enorme della guerra mentre l’economia è ferma e una parte rilevante dell’elettorato ha posizioni contrarie alle regole umanitarie.

Chi appare come vincitore è dunque Trump e la sua delegazione che ha lavorato all’accordo?
Quello che Trump probabilmente ha fatto è stato premere con durezza anche sulla controparte israeliana. A lui importavano gli ostaggi americani. Netanyahu probabilmente ha trovato conveniente la pressione di Trump perché l’ha tirato fuori d’impaccio temporaneamente dall’ala estremista che voleva svuotare Gaza e colonizzarla. Trump ha spedito un suo rappresentante, Steve Witkoff, che ha lavorato senza problemi con i delegati di Biden. Entrambe le parti hanno valutato attentamente che gli israeliani stavano facendo saltare il banco.

Le lamentele americane in forma anonima sono uscite già da tempo. Trump non rifugge più dalla minaccia dell’uso della forza, questa è la novità. Il Trump 2 è come il Trump 1 più Musk, con l’aggiunta dell’uso della forza e che sia economica o militare lo vedremo in seguito.

Nel quadro, il Qatar svolge un ruolo importante, ma i Paesi del Golfo non vedono male il ritorno di Trump che aveva portato gli Accordi di Abramo. Se continua questa dinamica, che coinvolge in primo luogo l’Arabia Saudita, la tregua con Hamas potrebbe cominciare a togliere uno degli ostacoli fra Riyad e Tel Aviv per normalizzare le relazioni, così come per la Nato che agisce attraverso il partenariato che raggruppa gli Stati del Golfo con l’eccezione di Oman, Arabia Saudita e Yemen. La tregua con Hamas, non solo aiuta a togliere alcune “castagne politiche” dal fuoco a Netanyahu, ma elimina anche un primo ostacolo alla normalizzazione dei rapporti nell’area.

I rapporti fra Israele e Usa cambieranno dopo l’accordo di Gaza?
I rapporti sono in evoluzione, ma c’è una crepa sotto traccia che corre dai tempi di Bush junior e che non si sta richiudendo per ora. Sarebbe opportuno cambiare orientamento da parte di Tel Aviv che ha perso credibilità sulla scena internazionale. Per Israele, si tratta di una perdita secca, che pesa e ha scardinato una serie di assunti collettivi.

Oggi il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sàar ha fatto sapere che Netanyahu non verrebbe arrestato se venisse a Roma, nonostante il mandato di cattura della Corte penale internazionale.
Quanto più i governi democratici non tengono conto dei trattati che firmano, tanto più facilitano l’azione di chi non segue la legge internazionale. Gli autoritari ringraziano.

 

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