La partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa. Inclusione e competitività. Le novità in Finanziaria di cui nessuno parla

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di ANTONIO GOZZI

L’Italia è quarta nella graduatoria dei Paesi esportatori. Su 1200 miliardi di euro di fatturato dell’industria manifatturiera nazionale nel 2023, più di 630 sono frutto di esportazione. Abbiamo superato Corea del Sud e Giappone, e siamo alle spalle di UsaCina Germania, che sono molto più grandi di noi anche in termini di popolazione.

Questo risultato segnala il vantaggio competitivo puro della nostra manifattura. Tale vantaggio competitivo, così come le sue sorgenti e determinanti, va protetto e difeso perché non è per sempre: oggi c’è, domani potrebbe non esserci più.

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La capacità delle imprese di coinvolgere i lavoratori nei processi di innovazione e crescita attraverso modelli partecipativi e di inclusione economica e sociale costituirà, sempre di più, un fattore chiave di successo e di vantaggio competitivo. E sarà determinante per le prospettive dell’industria europea, alle prese con un grave declino dovuto a molte cause, tutte concorrenti comunque ad una progressiva perdita di competitività.

L’Italia e il suo sistema industriale hanno caratteristiche specifiche e originali: prevalenza di piccole e medie imprese famigliari, intreccio tra imprese e territori, percorsi di innovazione non convenzionali. Queste caratteristiche possono favorire processi di inclusione sociale e di coinvolgimento dei lavoratori.

E allora è una gran bella notizia (di cui francamente poco si è parlato sui media) che nella legge di Bilancio recentemente approvata dal Parlamento vi sia uno stanziamento di 70 milioni di euro per incentivare la diffusione della partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa; ciò in coerenza con la proposta di iniziativa popolare della CISL che stima in 50 milioni i maggiori oneri a carico dello Stato derivanti dalla defiscalizzazione di tale partecipazione agli utili.

La proposta di legge della CISL dovrebbe essere approvata dal Parlamento nel giro di poco tempo, e quindi lo stanziamento in Bilancio si configura come una vera e propria dichiarazione di intenti per la ricerca di un nuovo modello di relazioni tra capitale e lavoro. Lo stanziamento previsto è fatto per consentire l’attuazione di “disposizioni anche di carattere fiscale, in materia di partecipazione dei lavoratori al capitale, alla gestione e ai risultati di impresa”.

La proposta della CISL non è prescrittiva e non comporta alcun obbligo per le imprese, ma consentirà di sviluppare, su base volontaria e negoziale, accordi di partecipazione dei lavoratori agli utili delle loro aziende. Tali accordi saranno incentivati fiscalmente.

Il segretario della CISL Luigi Sbarra ha dichiarato che l’obiettivo è favorire “un diverso rapporto tra capitale e lavoro” dove le possibilità partecipative, favorite dalle nuove norme, possono contribuire a lasciarsi dietro le spalle “la cultura novecentesca del conflitto”, che non si addice più a una fase in cui c’è bisogno non già di scontro ma di cooperazione tra attori sociali per cercare di salvare i sistemi industriali europei.

Inoltre la partecipazione dei lavoratori agli utili può costituire uno strumento importante di recupero salariale e di aumento del potere di acquisto nel momento in cui le imprese generano valore. Negli anni passati ci sono stati momenti di utili molto importanti delle imprese industriali cui i lavoratori non hanno partecipato.

Dal punto di vista delle imprese la partecipazione agli utili dei lavoratori garantisce un maggiore coinvolgimento e solidarietà dei lavoratori stessi ai destini di impresa e deve essere legata non solo ai risultati di bilancio ma anche a parametri e indicatori che riguardino produttività e qualità. In questo modo il nuovo approccio partecipativo può diventare un pilastro fondamentale per la ricerca di una sempre migliore competitività.

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I tempi cambiano. Turbolenze in aumento e competizione crescente di nuovi attori industriali globali mettono in discussione l’esistenza stessa di un’industria europea e richiedono agli attori sociali un significativo cambiamento culturale. 

La battaglia competitiva e la salvaguardia di ciò che l’industria significa anche in termini di lavoro, di welfare e di democrazia necessitano di approcci inclusivi e partecipativi. L’Italia, anche in questo campo, può dire la sua.

La sinistra su tutto ciò tace, ed è un peccato. Speriamo che non sia perché il duro lavoro riformista, che richiede di sporcarsi le mani con proposte concrete, risulta meno suggestivo del richiamo alla rivolta sociale.



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