Costata lunghi e difficili negoziati, la direttiva europea sul salario minimo rischia di saltare. L’Avvocato generale della Corte di giustizia Ue, Nicholas Emiliou, dando ragione a un ricorso inoltrato dalla Danimarca e sostenuto poi anche dalla Svezia, ha definito la normativa «incompatibile» con il Trattato dell’Unione Europea, per violazione delle competenze nazionali degli Stati membri sul fronte della retribuzione salariale e del diritto di associazione. «Propongo alla Corte di giustizia di annullare integralmente la direttiva» ha dichiarato Emiliou. Da notare che non si tratta ancora di una sentenza, ma solo di un parere legale, anche se nella stragrande maggioranza dei casi i giudici della Corte Ue seguono poi le indicazioni dell’Avvocato generale.
La Danimarca e la Svezia, molto gelose del proprio sistema sociale e sindacale, avevano duramente protestato contro la normativa (approvata a maggioranza qualificata dagli Stati membri), sostenendo che costituisce un’inaccettabile ingerenza dell’Ue in materie rigorosamente nazionali. A sostegno invece delle istituzioni europee si sono schierate durante le udienze Belgio, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Lussemburgo, Portogallo. «Prendiamo atto con preoccupazione dell’opinione dell’Avvocato generale della Corte Ue» afferma il gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo (cui aderisce il Pd).
La direttiva, varata definitivamente da Consiglio Ue a Parlamento Europeo il 14 settembre 2022, doveva esser pienamente recepita dagli Stati membri nella legislazione nazionale entro il 15 novembre 2024. Secondo un osservatorio di Etuc (l’associazione europea cui aderiscono 94 istituzioni sindacali di 42 Paesi dentro e fuori l’Ue), al 13 dicembre scorso (dunque oltre la scadenza del 15 novembre 2024) avevano pienamente ratificato 14 Stati membri (tra cui l’Italia e la Germania), altri cinque solo in parte (tra cui la Francia) e i restanti erano al massimo allo stadio di bozze di legge (tra cui Spagna, Svezia, Danimarca, Polonia).
La normativa in realtà è ben poco cogente, tant’è che è stata criticata da parte della sinistra e da vari sindacati. In effetti la direttiva non prevede in alcun modo un obbligo a introdurre un salario minimo per i cinque Stati che non ce l’hanno (Italia, Danimarca, Svezia, Austria e Finlandia), nei quali le retribuzioni minime sono frutto delle contrattazioni collettive di categoria. Né tantomeno indica livelli precisi di salario minimo per i restanti 22 Stati che invece lo prevedono per legge.
Quello che prevede la direttiva è, per gli Stati membri con salario minimo legale, di «attuare un quadro procedurale per fissare e aggiornare questi salari minimi secondo un insieme di criteri chiari». Che gli aggiornamenti dei livelli siano attuati almeno ogni due anni o non oltre quattro anni. Proprio il riferimento, per quanto non cifrato, ai «livelli» di salario minimo è già per l’avvocato generale una chiara violazione delle competenze degli Stati nazionali secondo il Trattato Ue. Per la cronaca, i salari minimi legali spaziano (dati 2024) dai 477 euro della Bulgaria ai 2.570 del Lussemburgo. In Germania siamo a 1.997, in Francia a 1.747, in Belgio a 1.955, in Polonia a 811, la Spagna l’ha appena incrementato di 50 euro per arrivare a 1.184 euro.
Per chi, come l’Italia, non dispone di salario minimo, si chiede che gli Stati che hanno meno dell’80% di copertura facciano in modo di portarla a quel livello, con l’obbligo di presentare un piano e un calendario specifico per arrivare a quel livello. L’Italia non è toccata: almeno secondo Eutc la copertura è pari al 100%. Tra le altre misure, la normativa prevede che gli Stati membri garantiscano il pieno accesso al salario minimo (dove previsto), con controlli intensificati, informazioni facilmente accessibili, sanzioni per i datori di lavori inadempienti. L’Etuc ricorda peraltro che la piena attuazione della direttiva porterebbe ad aumenti salariali per oltre 20 milioni di lavoratori in tutta l’Ue grazie sia all’adeguamento dei salari minimi dove previsti per leggi, sia l’estensione della copertura delle contrattazioni collettive. A questo punto, però, se davvero la Corte Ue seguirà il parere dell’Avvocato generale, la normativa sarà annullata. Magari con il tentativo poi di riscriverla in un modo «compatibile» con il trattato Ue.
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