Musei e disabilità. Con l’arte contemporanea la sfida dell’inclusività

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I musei stanno cambiando, come pure la loro funzione pubblica. Un discorso che vale per lo più per i centri d’arte contemporanea, diventati peraltro, come ci suggeriva in un’intervista il direttore della GAMeC di Bergamo Lorenzo Giusti, non solo luoghi di conservazione, ma pure realtà in cui l’arte si produce. È proprio in questi spazi, in rapida evoluzione come i linguaggi espressivi che ospitano e più permeabili alle esigenze di un pubblico sempre più differenziato, che si gioca la partita dell’inclusività. Di questo abbiamo parlato con alcune realtà istituzionali virtuose, ma anche con chi, dall’altra parte, cerca di sanare il divario tra musei e disabilità attraverso iniziative “dal basso”.

Non solo barriere architettoniche

La disabilità non è solo quella che si vede, e i centri d’arte contemporanea sembrano averlo capito. La questione dell’accessibilità agli spazi museali non si gioca più, o quantomeno non solo, sull’abbattimento delle barriere architettoniche. «È un fatto ormai quasi scontato», spiegano Diva Moriani e Bianca Corsini, rispettivamente ideatrice e membro dello Staff sul progetto Dynamo Art Factory, realtà pistoiese che nell’ambito di Dynamo Camp offre a bambini e ragazzi con disabilità cognitive la possibilità di creare arte attraverso un dialogo con artisti affermati. «È molto meno acquisita invece – proseguono – la necessità che pure il messaggio culturale contenuto nei musei sia accessibile: su questo fronte il PNRR ha dato una spinta, ma nelle istituzioni continua ad essere fruibile per tutti solo una piccola parte delle grandi collezioni».

Risale infatti al maggio 2022 l’approvazione della Direzione generale musei del Piano strategico per l’eliminazione delle barriere architettoniche in musei, biblioteche e archivi. Inserito nel quadro del PNRR, il programma si propone di adeguare i luoghi della cultura, si legge, “alle esigenze della più ampia accessibilità possibile, sia essa fisica, cognitiva, sensoriale e culturale”. Insomma, il Piano vuole rendere gli spazi culturali più inclusivi, accendendo i riflettori sulle varie tipologie di disabilità e, di conseguenza, sulla necessità di un’offerta più inclusiva.

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«Pre-PNRR – spiegano ancora Moriani e Corsini – si parla di una cifra inferiore al 10% generale per la presenza di contenuti fissi, ausili per le difficoltà nella comunicazione verbale, oltre ad esserci poca attenzione alla sensorialità. Molti spazi sono rumorosissimi o luminosissimi senza che ci sia una segnalazione adeguata. Quante sono le mostre in penombra, che costituiscono un grande limite per molte persone, o quanti sono i video non sottotitolati, o ancora quanti di essi hanno la traduzione in LIS? Il portfolio di soluzioni è sconfinato, eppure siamo molto indietro».

I finanziamenti contribuiscono alla sensibilizzazione

Come suggerisce Dynamo Art Factory, impegnata anche a portare ragazzi con disabilità cognitive nei musei, c’è ancora molta strada da fare per rendere i luoghi della cultura davvero inclusivi. Al tempo stesso, sulla disabilità e le sue forme è in corso un processo di sensibilizzazione che passa anche attraverso l’assegnazione di fondi, con l’intento di premiare l’impegno dei musei sul fronte accessibilità. Lo rilevano due istituzioni da tempo a lavoro in questa direzione: il Mart di Rovereto e la GAMeC di Bergamo.

«Il riconoscimento ricevuto attraverso i bandi che premiano il nostro impegno verso la disabilità ha avuto un impatto decisivo nel sensibilizzare non solo il mondo museale, ma anche il pubblico e le istituzioni sul tema dell’inclusività» spiega Ornella Dossi, referente Progetti speciali del museo trentino. «Al Mart – prosegue – tali riconoscimenti hanno rafforzato la nostra missione di rendere l’arte accessibile a tutti, spingendoci a migliorare costantemente i nostri servizi e a sviluppare nuove strategie e format innovativi. Un esempio significativo di questo percorso è stato il bando PNRR, vinto nel 2023, che ci ha permesso di redigere e adottare un Piano per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche (PEBA). Grazie a questo progetto, stiamo implementando ulteriori strumenti per migliorare l’accessibilità del museo, con particolare attenzione a specifiche esigenze».

Sulla stessa linea le parole di Lorenzo Giusti, direttore del museo bergamasco. «I bandi stimolano innanzitutto i musei a concepire e implementare progetti innovativi volti a migliorare l’accessibilità delle collezioni e delle attività e, in secondo luogo, contribuiscono a dare visibilità alle azioni stesse, promuovendo così una maggiore consapevolezza sociale», afferma.

«Nel momento in cui i musei ricevono riconoscimenti per il loro impegno verso l’inclusione delle persone con disabilità – continua Giusti – si diffonde inoltre una narrazione costruttiva che evidenzia l’importanza della valorizzazione del patrimonio artistico a più livelli, tra i quali la necessità del superamento delle barriere per garantirne la fruizione. L’attenzione alla disabilità nel contesto museale contribuisce infatti alla trasformazione del quadro di riferimento: l’accessibilità non è più vista come un semplice obbligo normativo, ma come un’opportunità per arricchire l’esperienza culturale collettiva».

Associazioni e istituzioni: un percorso sinergico

Come per le altre conquiste riguardanti corpi e realtà al di fuori dei parametri normativi, anche nel raggiungimento di risultati sul piano dell’accessibilità sono state determinanti forze non istituzionali. A raccontarlo è lo stesso Giusti, che porta l’esempio virtuoso di Al.Di.Qua Artists, «prima associazione italiana di e per artiste e artisti con disabilità – di cui Chiara Bersani è co-fondatrice –, che ne difende l’autonomia e i diritti, promuove la riflessione sul significato politico dei corpi con disabilità e sulla discriminazione sistemica nei loro confronti e lavora sul tema dell’accessibilità culturale in tutta la sua complessità, non solo come accesso fisico agli spazi e alla fruizione, ma anche in termini di produzione culturale».

«Molte associazioni, inoltre, – prosegue Giusti – collaborano direttamente con i musei, fornendo consulenze per la creazione di progetti inclusivi e linee guida per il miglioramento delle strutture. Queste azioni hanno avuto un ruolo chiave nella diffusione delle buone pratiche, aiutando gli addetti ai lavori a definire standard di accessibilità e inclusività e contribuendo a costruire un panorama culturale più rispettoso delle diversità». Dello stesso avviso Ornella Dossi, che rileva il merito di queste realtà soprattutto nella loro capacità di «instaurare un dialogo costruttivo e proattivo con i musei e altre organizzazioni culturali, spingendo per un cambiamento strutturale e sensibilizzando tanto il pubblico quanto le stesse istituzioni». «In questo modo – aggiunge – la disabilità è diventata un tema centrale nell’agenda culturale, non più relegato ai margini, ma parte integrante delle politiche museali».

L’inclusività come approccio curatoriale

Nel comune intento di «offrire – afferma Dossi – a ogni persona un’esperienza museale significativa, attiva e inclusiva» si profila al tempo stesso la scelta di fare dell’inclusività un elemento produttivo. È quanto emerge dalle parole di Lorenzo Giusti, che sottolinea come GAMeC abbia affrontato «la sfida dell’inclusività attraverso un approccio diversificato e interdisciplinare, sia lavorando in direzione dell’inclusione della disabilità come traiettoria creativa e produttiva in ambito curatoriale, attraverso la produzione di opere, progetti e mostre, sia cercando di garantire la fruibilità del patrimonio museale ad un pubblico sempre più vasto mediante progetti e attività accessibili, provando a superare le barriere architettoniche attraverso scelte allestitive e interventi pratici».

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Includere tutti implica infatti ampliare lo spettro di narrazioni possibili. «Il museo – continua il direttore di GAMeC – instaura infatti collaborazioni con artiste e artisti con disabilità, riconoscendo l’importanza delle loro prospettive uniche nel panorama artistico contemporaneo e contribuendo così a un approccio critico e socialmente responsabile che non si interroga solo sulle convenzioni estetiche, ma anche sulle derive culturali prevalenti. Questa metodologia arricchisce il dialogo all’interno del museo e contribuisce a creare un ambiente nel quale le soluzioni accessibili diventano parte integrante dell’esperienza museale e dove ogni individuo può sentirsi accolto e valorizzato».

«Ne sono esempio – aggiunge – la collaborazione avviata con Atelier dell’Errore per lo sviluppo di un prossimo progetto espositivo e quella con Chiara Bersani per Deserters (Disertori) – progetto vincitore dell’undicesima edizione di Italian Council, il programma di promozione internazionale dell’arte italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura – un’opera che, unendo installazione e performance, esplora il tema dell’interdipendenza, interrogandosi su nuove pratiche relazionali e minando gli stereotipi legati alla sfera intima, identitaria ed erotica di persone con disabilità. Per GAMeC si tratta di una riflessione importante in relazione alle disabilità e al ruolo che la ricerca artistica e performativa può avere nell’ampliare le possibili declinazioni del termine accessibilità all’interno degli spazi dedicati alla creazione e alla fruizione dell’arte contemporanea».

I centri d’arte contemporanea vanno verso l’inclusività: ma gli altri musei?

Come ricorda Giusti, «i musei stanno subendo trasformazioni significative, passando da semplici spazi espositivi a centri culturali dinamici». Un discorso che vale a proposito dell’edutainment (insieme di “education” ed “intertainment” sviluppato per la prima volta dal British Museum), diretta forma di implicazione del visitatore negli spazi museali e su cui i centri d’arte contemporanea investono per creare esperienze attive. Ma non solo, perché il cambiamento dei musei si misura pure sull’equilibrio tra fruizione e produzione. Proprio questo aspetto caratterizza anche Dynamo Art Factory, vero e proprio centro d’arte contemporanea che fa dell’inclusività il proprio punto di partenza.

Le iniziative artistiche della realtà pistoiese hanno finora riguardato l’aspetto produttivo con sessioni creative sviluppate da un artista con i ragazzi del centro. «L’arte contemporanea è la nostra prima grande ricchezza – afferma Bianca Corsini – perché ha una varietà di linguaggi così vasta che ci permette di proporre linguaggi sempre nuovi e che possano adattarsi alle capacità di ciascuno». «Abbiamo avuto più di 150 artisti venuti in maniera gratuita a lavorare con i ragazzi e di far uscire fuori la loro creatività – racconta Diva Moriani – anche con l’intento di far venire fuori opere d’arte molto belle, per cui c’è un lavoro a monte con l’artista». «Oggi abbiamo oltre 2000 opere che esponiamo in una galleria che abbiamo al Camp, ma abbiamo anche realizzato una collettiva in Triennale a Milano, e solo in un mese e mezzo ci sono stati 13 mila visitatori».

Proprio con Triennale Milano è iniziata l’avventura di Dynamo Art Factory nei Musei, un progetto che ha permesso ai ragazzi con disabilità cognitive di visitare i più importanti musei italiani d’arte contemporanea, dal MAXXI di Roma al Madre di Napoli, fino al MAST di Bologna. Un dato che dà l’idea dell’apertura alla trasformazione e alla raccolta di stimoli da parte delle istituzioni dedicate ai linguaggi del contemporaneo. Resta da chiedersi se il cambiamento caratterizzi solo queste ultime o se l’ampliamento degli orizzonti in quanto a inclusività riguardi in generale le realtà museali. Con istituzioni che non si occupano di arte contemporanea Dynamo Art Factory non ci ha mai provato. Come affermano Moriani e Corsini, «sono sicuramente realtà più complesse: è anche vero che noi ci occupiamo di arte contemporanea, quindi andremmo un po’ fuori tema, ma chiaramente sarebbe interessante interfacciarsi con un altro tipo di arte».

Un progetto pilota: Dynamo Art Gallery

Dynamo Art Factory non è certo una realtà istituita dall’alto. Dopo aver investito per molti anni sulla produzione d’arte, oltre che nelle visite ai musei, e forte della consapevolezza di ciò che serve e manca alle istituzioni, il centro pistoiese sta dando vita a un nuovo progetto. Si tratta di Dynamo Art Gallery, un vero e proprio museo che aprirà fuori dal Camp e che vuole fare da «pilota». «Vorremmo creare quello che ci piace definire il museo più inclusivo d’Italia – spiega Diva Moriani – ed è un discorso che non vale soltanto sul piano delle barriere architettoniche, che ormai costituiscono la normalità delle iniziative di accessibilità e inclusività, ma per eliminare quelle cognitive, un fronte molto meno sviluppato».

«Come nel fare arte abbiamo cercato di realizzare al 100% l’inclusività, allo stesso tempo vogliamo crearla anche nella fruizione dell’arte: un progetto che prende le mosse dalla visita del sito fino all’esperienza in loco, per far sì che chiunque entri nel museo, in qualunque condizione fisica o psichica, sia nelle condizioni di percepire il messaggio», chiarisce l’ideatrice di Dynamo Art Factory. «È un doppio salto mortale che vogliamo fare: a breve avremo questo spazio a Fornace di Barga, in un ex centro ricerche dall’architettura modernista che stiamo ristrutturando e che ospiterà le opere da esperire secondo questa logica. Quello che faremo in questo museo – conclude Moriani – è dimostrare come l’arte possa essere fruita da tutti: non vogliamo giudicare nessuno né compararci ai grandi musei, ma sicuramente indicare una strada, perché sappiamo di cosa parliamo».

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