Una mazzata per i quarantenni che devono abituarsi all’idea di godersi la pensione non prima dei settant’anni, ma più in generale un problema per tutti, anche per quelli che in pensione sono andati da poco, con qualche scivolo, e quelli che avevano cominciato il countdown per l’arrivederci nel 2027. L’allungamento dell’età pensionabile a seguito dell’aumento dell’aspettativa di vita, ricordato in questi giorni dall’Istat, ha messo in subbuglio tutta la platea dei lavoratori del Friuli Venezia Giulia, e non solo, e con essi le organizzazioni che li rappresentano, cioè i sindacati. «È una prospettiva inaccettabile», afferma senza mezzi termini il segretario regionale della Cgil, Michele Piga. «E nel confronto con l’età pensionabile degli altri Paesi europei – aggiunge – e per lo stato di vecchiaia cui occorre giungere per la pensione. Senza contare che – prosegue – questo Governo aveva detto di voler mettere mano alle pensioni intervenendo sulla legge Fornero; invece, non fa che aggravare la situazione».
I NUMERI
In sintesi, rispetto agli attuali 67 anni, si passerebbe a 67 anni e 3 mesi dal 2027, a 67 anni e 6 mesi dal 2029 e a 67 anni e 9 mesi a decorrere dal 2031, per arrivare a 69 e 6 mesi dal 2051 hanno sentenziato le recentissime proiezioni dell’Istat. E per il Friuli, considerando la popolazione tra i 20 e i 40 anni, si parlerebbe di 150mila persone. «Un innalzamento che – ricorda il segretario della Cgil – ha origine in una norma del 2010 targata era Berlusconi, quando l’età pensionabile è stata agganciata alle aspettative di vita. Il tema è emerso ora in maniera forte per la proiezione che il bilancio statale triennale ha messo in evidenza». Il punto, nella lettura della Cgil, è che questo crescendo produrrà conti salati sin da subito, per pensionandi e pensionati usciti dal lavoro con formule di anticipo.
«È una prospettiva che, se confermata, creerà una nuova ondata di esodati – afferma Piga -. Si tratta di quelle persone che, uscite dal lavoro a seguito di grandi ristrutturazioni o azioni simili, si troveranno ad avere tre o sei mesi di contributi scoperti e non avranno i requisiti per andare in pensione dopo che hanno lasciato il mondo del lavoro da tre, quattro anni». Rivendicata la primogenitura della «denuncia di questo scenario molto grave», la Cgil ora sta già meditando su come intervenire per un deciso cambio di rotta. «Di certo – considera Piga – avremo con noi chi lavora». Allarmati per la situazione che si sta determinando anche i pensionati della Cgil, il cui sguardo però non è rivolto solo a coloro che oggi entrano nel mondo del lavoro o che sono a metà del guado e devono pensare di allungare il loro impegno attivo. Si focalizza, infatti, sulla causa prima di questa condizione, ovvero la denatalità. «È da lì che bisogna ripartire per invertire la curva e riportare a una condizione sostenibile il rapporto tra quanti lavorano e quanti sono in pensione», afferma il segretario regionale Spi Cgil, Renato Bressan. Una politica per la genitorialità che, avverte il sindacalista, «deve agire su più fronti: un welfare pensato come potenziamento di servizi e non erogazioni di bonus – mille euro per un neonato in poche settimane per pannolini -; un aumento dei salari, perché non si può auspicare che i giovani facciano figli se hanno lavori precari e sottopagati. Un impiego che, in aggiunta, non dà neppure certezza sulla pensione futura».
LE CRITICITÀ
Dall’osservatorio Spi-Cgil si evince che, se non si agisce in maniera combinata su questi gangli vitali, il futuro prossimo, non solo quello lontano, sarà tutt’altro che positivo. «A questi tassi di natalità, l’attuale sistema pensionistico a ripartizione tra dieci anni è destinato a crollare», sostiene Bressan, che da tempo affina i numeri al riguardo. Perciò, sottolinea, «il vero problema ora non è l’allungamento dell’età pensionabile, ma capire se la pensione che si percepirà sarà in grado di garantire una vita dignitosa e avremo le risorse per sostenere un sistema socio-sanitario capace di rispondere alle necessità di una popolazione anziana». Anche per questo Bressan aggiunge un ulteriore operazione che i decisori politici dovrebbe mettere in atto per immettere ossigeno nel sistema: «Trattenere i giovani, impedire la loro emigrazione. Negli ultimi dieci anni se ne sono andati 30mila solo dal Friuli Venezia Giulia».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link