VENEZIA – «Ho sbagliato… È vero che volevo continuare la mia attività di consulente immobiliare, ma mi rendo conto che, per come si sono sviluppati i rapporti con le persone e gli imprenditori che mi corrispondevano denaro, è successo che questi si sentivano in diritto di chiedermi conto della mia azione assessoriale e chiedermi interventi e informazioni presso dirigenti e funzionari comunali, che io acquisivo in ragione del mio ruolo. A tale proposito preciso che non ho mai preso contatto con alcun commissario o componente di commissioni aggiudicatrici e neppure ho preso parte a delibere che siano poi state dichiarate illegittime».
Si apre con un’ammissione di responsabilità, seppure parziale, il verbale d’interrogatorio dello scorso 18 agosto, il primo dei cinque sostenuti, di fronte ai pm Federica Baccaglini e Roberto Terzo, dall’ex assessore comunale alla Mobilità, Renato Boraso, agli arresti da sei mesi con l’accusa di corruzione nell’ambito dell’operazione Palude, nella quale gli vengono contestati una dozzina di episodi (ma altri ne sono emersi). Verbale ora depositato con la richiesta di rito immediato formulata nei confronti di Boraso e tre imprenditori ai domiciliari, tutti impegnati a trattare per definire la loro posizione con il patteggiamento.
«INFLUENZAVO I TECNICI»
«Prendo atto del mio errore, che era quello di utilizzare la mia figura di assessore per influenzare i tecnici, senza però indurli a prendere posizioni contrarie alla legge, ma per seguire le pratiche mi stavano a cuore – ha dichiarato Boraso – Ciò dico perché è evidente che chi svolge il mio ruolo non può interferire su atti e provvedimenti amministrativi».
Soltanto un funzionario ha resistito alle sue pressioni: «Marzio Ceselin è stato l’unico che si è opposto al mio agire e alle mie interferenze». L’ex assessore ha ammesso di aver preso denaro da imprenditori per due causali: «in alcuni casi per favorire contratti immobiliari nonché la mediazione, venendo compensato come mediatore immobiliare; il mio errore è che mi avevano promesso altre dazioni legate al successivo sviluppo delle iniziazione immobiliari (…); in altri casi come consulente aziendale e civile».
Per spiegare le somme ricevute per il secondo tipo di consulenze, Boraso ha citato l’esempio della società Mafra: Nel 2019 feci un contratto con Gislon (Francesco, anche lui indagato, ndr), ma questi prese a chiedermi informazioni privilegiate che ho esaudito sfruttando il mio ruolo assessoriale chiamando i tecnici per prendere informazioni. Ammetto di avere dichiaratamente fatto valere il mio ruolo politico di alto amministratore».
«INFORMAZIONI RAPIDISSIME»
Boraso ha confessato di aver fornito «in tempi rapidissimi» informazioni… e talora contestualmente ai provvedimenti e alle decisioni di giunta», spiegando che alcuni assessori comunali contavano poco o nulla, mentre altri «avevano la facoltà di esprimere la posizione del loro assessorato». E tra questi, oltre a lui figura l’assessore al Bilancio, Michele Zuin. «È vero che chiedevo al sindaco a che punto stavano le pratiche che mi interessavano. Chiedevo al Ceron (Morris, capo di gabinetto del sindaco, ndr) o al Brugnaro perché erano i primi a sapere e a che punto era una pratica e quando sarebbe stata sbloccata».
OPERAZIONE PILI
L’ex assessore alla Mobilità di Venezia ha dichiarato di non essere stato in alcun modo coinvolto da Brugnaro nella vicenda della presunta compravendita dell’area ai Pili, di proprietà del sindaco per la quale, secondo la procura, il magnate di Singapore Ching Chiat Kwong sarebbe stato disponibile a pagare 150 milioni di euro in cambio della modifica dell’indice di edificabilità, così da poter realizzare villette e un grattacielo. Per questa vicenda Brugnaro è indagato per corruzione assieme ai suoi più stretti collaboratori.
«Come consulente immobiliare devo dire che non avrei mai comperato quel terreno, né avrei suggerito di comperarlo perché ha una situazione ambientale insostenibile… ad oggi la bonifica costerebbe almeno 4 milioni di euro ad ettaro».
Del progetto di sviluppo immobiliare dell’area e della presunta trattativa Boraso sostiene di aver saputo soltanto quando iniziarono a parlarne in media, nel 2019, e Brugnaro si presentò in Consiglio a fornire spiegazioni. «Il resto delle informazioni sui Pili le ho avute da Vanin (Claudio, l’imprenditore trevigiano che con le sue denunce ha fatto partire l’inchiesta) nell’aprile/maggio 2020 quando mi ha chiamato e mi ha spiegato il suo ruolo nella progettazione, chiedendomi di intervenire sullo staff di Brugnaro, in primis Derek Donadini (vicecapo di gabinetto del sindaco, ndr) per ottenere di essere pagato… Vanin è tornato alla carica nel 2021 chiedendomi nuovamente di intervenire chiamando Lotti (Luis, referente in Italia di Ching). Ho chiamato Lotti e ha negato che Vanin avesse progettato alcunché».
PALAZZO PAPADOPOLI
Boraso è accusato di corruzione anche per una somma di 73mila euro che, secondo la procura si riferiscono alla cessione a Ching di un immobile comunale, Palazzo Papadopoli, con lo sconto di oltre 3 milioni di euro. Ma l’ex assessore ha negato, sostenendo di aver sottoscritto con Vanin, nel 2017, un generico contratto di consulenza immobiliare generico e di avergli fornito informazioni su una serie di possibili investimenti, ma non su palazzo Papadopoli. «Nego di aver in alcun modo caldeggiato l’abbattimento del valore di palazzo Papadopoli», ha assicurato, smentendo le dichiarazioni rese da un tecnico comunale, e sostenendo che se ne occuparono i tecnici del settore Patrimonio. «Aggiungo che Brugnaro era molto contrario alla vendita del patrimonio, ma questo serviva per risanare i nostri conti».
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