Il presidente del comitato militare della Nato: Trump ha ragione
«La pace e la sicurezza non sono gratis. Ma la guerra ha costi immensamente superiori», dice Giuseppe Cavo Dragone, da oggi presidente del Comitato militare della Nato. L’ammiraglio, 67 anni, è l’italiano nella posizione più alta all’interno dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico. Dal quartier generale di Bruxelles coordinerà l’organismo che tiene in raccordo tramite i rispettivi rappresentanti o di persona i capi di stato maggiore della Difesa dei 32 Stati membri, l’incarico ricoperto dallo stesso Cavo Dragone nel nostro Paese fino al 2024.
Tra i compiti del Comitato militare rientra valutare la fattibilità delle operazioni volute dal livello diplomatico-politico della Nato, il Consiglio del Nord Atlantico. A rispondere in questa intervista è dunque una voce da tenere presente in una fase movimentata della storia, mentre è in via di superamento l’ordine internazionale conosciuto dopo la divisione del mondo in un blocco filo-americano e uno sottoposto all’Unione Sovietica e di prossimi assetti si percepiscono le doglie: nuove competizioni, crisi, conflitti.
Donald Trump sostiene che i Paesi della Nato dovrebbero spendere per la difesa il 5% del proprio Prodotto interno lordo. Per avere un’idea riguardo al nostro Paese, rispetto all’obiettivo del 2% concordato in sede Nato nel 2014 l’Italia ritiene un progresso essere arrivati all’1,54% e si prefigge l’1,61% per il 2027. Quali conseguenze può generare sugli alleati la mossa del prossimo presidente degli Stati Uniti?
«Devo essere sincero. Nei tempi e nei modi lo vedremo, tuttavia in linea di massima il presidente Trump ha le sue ragioni. Dobbiamo spendere di più. Prima ancora, spendere meglio. I Paesi membri della Nato e dell’Unione Europea hanno 172 sistemi di arma differenti. Gli americani 35. Non adottando economie di scala noi spendiamo molto di più. Difendiamo a spada tratta la nostra sovranità industriale, sbagliando. Le nostre industrie sono in ritardo».
Dal suo punto di osservazione, che cosa in particolare lo segnala?
«Si ripete una minaccia analoga, se non peggiore, a quella che c’era durante la Guerra Fredda. Logica vorrebbe che si ritornasse a determinati valori di impegno. Vedremo come, a seconda delle nazioni, però questo è un dato di fatto. Perché la minaccia c’è. L’abbiamo alle porte di casa, è in Europa. Siamo in ritardo. Avremmo dovuto essere più previdenti e dobbiamo risalire una china».
Si riferisce all’invasione russa dell’Ucraina e a ciò che ne può conseguire?
«Sì. Siamo in salita e stiamo correndo, dobbiamo fare sforzi sostanziali per raggiungere di corsa determinati livelli di investimento. Ciò che il presidente Trump chiede e che Paesi europei faranno – secondo i tempi e i modi che decideranno gli Stati, i quali sono sovrani – è corretto. Non è altro che un’equa distribuzione dello sforzo che attualmente non mi pare ci sia».
Secondo lei come si sarebbe dovuti essere previdenti negli stanziamenti per la difesa?
«Abbiamo vinto la Guerra Fredda e quando era in corso i Paesi europei della Nato spendevano in media il 3% del Pil. Scoppiata la pace, forse ci siamo un po’ seduti. Calcoli che se dai primi anni Novanta avessimo continuato a destinare alla difesa il 3% dei Pil avremmo speso 8.600 miliardi di euro in più. Sono andati ad altro tipo di uscite. Temo sia stato un errore: adesso siamo in ritardo».
Molti il ritardo non lo percepiscono.
«Il segretario generale della Nato Mark Rutte parla di ”mentalità di guerra”. Potrà farci paura, ma sicuramente non potremo avere una mentalità di pace. Non so come possiamo chiamarla per essere politically correct, però non più una mentalità di pace. Perché vediamo che cosa ha generato adesso».
Nell’essere consapevoli della minaccia alle porte avverte un senso di solitudine del suo mondo?
«Sì. La nostra società non lo sa e non lo vuole sapere. Forse è anche colpa nostra, dovremmo spiegare quanto costa la pace, avere una deterrenza che imponga all’ipotetico avversario di non mettere in atto determinate misure perché sconveniente per lui. Quanto costa? Tanto, lo sappiamo. Quanto costa la guerra? Cifre immensamente superiori rispetto al costo della pace. Probabilmente il cittadino non lo sa. Cerchiamo di convincere che siamo in pericolo. Perché lo siamo, la minaccia c’è. Il presidente Putin non si è fermato all’annessione della Crimea del 2014».
Nei giorni scorsi avete avviato l’esercitazione «Steadfast Dart 2025». Mobiliterà circa diecimila militari da nove Paesi, 1.500 veicoli più navi e aerei. Li porterà in Bulgaria, Grecia e Romania per dimostrare che è possibile dispiegare velocemente sul versante Est della Nato la «Forza alleata di reazione rapida». É un messaggio rivolto al Cremlino?
«Innanzitutto a noi, perché è un’esercitazione molto impegnativa: tende a sollecitare il nostro sistema nel reagire rapidamente sul dispositivo orientale. Comporterà anche un altro messaggio, non c’è dubbio. Di coesione, rapidità. D’altronde quando ci sono quelle famose attività di intercettazione sullo spazio aereo servono anche dalla parte opposta per vedere la nostra reazione, in quanto tempo il nostro dispositivo si attiva».
Intende dire le intercettazioni di aerei russi che sconfinano volutamente. Insomma, anche Mosca si esercita verso di noi e non solo nelle esercitazioni ufficiali.
«Certo. Fa parte del gioco. Dunque si dà un messaggio al presidente Putin che ne invia tanti di strategici all’Alleanza. La quale ha risposto: contrariamente ai suoi auspici, sulla guerra in Ucraina abbiamo dato dimostrazione di grande coesione e reattività. E prima che la Russia attaccasse eravamo 30 Stati membri, ora siamo 32. L’Allied reaction force sarà a guida italiana da Solbiate Olona. L’esercitazione servirà a testare l’Alleanza tutta e l’Italia come Paese che fornisce il comando».
E da oggi il presidente del Comitato militare.
«Il governo italiano, in particolare il ministro della Difesa, ha agito con efficacia perché fosse così e ne sono onorato. Più che Cavo Dragone credo sia l’Italia a ricevere un grosso riconoscimento».
Con la caduta di Bashar el Assad la Russia ridimensiona le forze in Siria. Quante ne sposta in Libia?
«Presto per dirlo. Si tiene d’occhio. Il porto di Tartus le è indispensabile. Di fatto per Mosca è una grossa debacle».
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