Ambasciator porta pena. Matteo Salvini riceve il messaggio di Luca Zaia e lo recapita a Giorgia Meloni: la Lega farà la battaglia a tutto campo per il terzo mandato. Ma se non dovesse passare, non accetterà di perdere il Veneto. Anzi di più: “Deve essere chiaro che il nord non si tocca”, dicono i partecipanti al consiglio federale, al termine della riunione a Montecitorio.
Salvini ascolta e incassa: non ha alternative, anche a costo di vedere appannata l’idea della Lega nazionale, la Lega Salvini premier, che è il suo marchio di fabbrica. Raccontano a fine vertice: il segretario si è fatto “concavo e convesso pur di assecondare le richieste dei territori”. E ci mancherebbe: senza il partito del nord, Salvini rischia di perdere il congresso prossimo venturo (confermato, per ora a marzo). Insomma, Salvini deve portare la grana Lega dentro alla coalizione. Con più convinzione di quanto abbia fatto fin qui. Sintetizza Giancarlo Giorgetti: “Siamo tutti Luca, troveremo un accordo”.
A Montecitorio il giovedì pomeriggio è giorno di partenze. I deputati, trolley alla mano, schizzano fuori dal portone per rientrare nei collegi. Stavolta i leghisti devono fare gli straordinari a Roma. Non Zaia, che si collega da remoto, mentre alla Camera oltre al ministro dell’economia sono presenti il presidente dei senatori Massimiliano Romeo e quello dei deputati Riccardo Molinari, rispettivamente segretari della Lega Lombarda e della Lega Piemonte. C’è il viceministro Edoardo Rixi, capo della Lega Liguria e Alberto Stefani, segretario della Liga Veneta e vicesegretario. La Liga che ha nella bandiera il Leone di San Marco compie 45 anni, fondata a Padova il 16 gennaio del 1980. Oggi è al crocevia dei rapporti nel governo di destra-centro.
L’intervento di Luca Zaia è netto: se non ci sarà il terzo mandato, la Lega è comunque pronta a presentarsi da sola. “Possiamo fare 7 liste ‘venetiste’ e prendere più del 40 per cento”. L’idea è che lui si presenti capolista della lista che reca il suo nome. Attorno avrebbe una lista di partito, una dei centristi, Azione e due civiche. L’ipotesi è stata fatta anche sondare: vale il 40,5 per cento. E’ la ricetta Marcato, dal nome di Roberto Marcato, il vulcanico assessore regionale che l’ha ideata. Zaia sarebbe eletto consigliere regionale, ma nell’ipotesi farebbe il presidente de facto. Ma questo varrebbe solo dopo che sarà nuovamente bocciato il tentativo di ottenere il terzo mandato.
Parlando al federale il governatore torna sul tema e risponde alle critiche più aspre. “Gasparri dice che troverà un modo per sfamarmi? Io non ho bisogno, pensi a lui che sta da 40 anni in Parlamento”, dice. Trova incredibile che si faccia un problema del terzo mandato nel caso di un presidente votato direttamente dagli elettori, in un Paese in cui due presidenti della Repubblica hanno raddoppiato i loro mandati.
In consiglio federale si fanno anche previsioni sulla fattibilità dell’operazione. Resta difficile, ma sarebbe la via principale. Meloni, viene ricordato, non ha detto un ‘no’ di principio. Ha detto che la questione non può essere appannaggio di una norma regionale. Di qui il ricorso del governo alla Corte costituzionale contro la norma della Campania. Ma se il Parlamento approvasse una norma ad hoc, una legge nazionale, anche la pronuncia della Consulta sarebbe bypassata, perché cambierebbe la legge nazionale. Si prende dunque in considerazione l’idea di un emendamento leghista a uno dei prossimi provvedimenti, oppure di una proposta di legge ad hoc su cui gli alleati devono pronunciarsi. Il Carroccio spera di convincere FdI e Forza Italia, e prendere magari anche voti dalle opposizioni. Nel Pd il dibattito è ancora aperto, oggi anche il sindaco di Milano Beppe Sala confessa di essere favorevole al terzo mandato. Salvini non può che recepire in toto l’impianto che gli propongono Zaia e Massimiliano Fedriga. Per lui si tratta di una mossa cruciale per tenere unito il partito alla vigilia del congresso.
Il segretario si limita a ricordare che la battaglia per il terzo mandato è stata già fatta, nel marzo del 2024, quando fu bocciato in Senato un emendamento della Lega alla conversione del decreto elezioni. Ma questo non significa che non ci si può tornare. Per questo raccoglie l’invito del federale a chiedere al governo che per le regionali del 2025 – Campania, Veneto, Toscana, Puglia, Marche e Valle d’Aosta – si vada all’election day nella primavera del 2026. Questo allungherebbe i tempi e darebbe modo di intervenire per legge. Meloni ha già detto di non essere favorevole. Ma anche su questo, toccherà a Salvini essere persuasivo. In fatto di rapporti con gli alleati, il leader leghista ricorda che in Piemonte è stato FdI a presentare un emendamento che rende possibile il terzo mandato. Come fa Meloni a opporsi ora? Per convinzione o per convenienza i leghisti fanno quadrato. “C’è totale sintonia. Il Veneto è un modello di buon governo apprezzato a livello nazionale e internazionale. Per la Lega, squadra che vince non si cambia”, riferisce la nota di fine vertice. Ma se pure fallisse il tentativo di ottenere il terzo mandato – viene messa in conto anche l’opposizione del Colle – il punto su cui la Lega non deflette è avere una sua candidatura per il Veneto. E in prospettiva anche per la Lombardia. Garrulo . Dal punto di vista dei rapporti politici il piano B – mantenere le amministrazioni regionali leghiste in Veneto e in Lombardia – per FdI rischia di essere più indigesto che concedere il terzo mandato. Ma se sulla Lombardia se ne parlerà dopo le politiche del 2027, tra tre anni, il caso Veneto è qui e ora. In consiglio federale, il segretario della Lega Lombarda Massimiliano Romeo mette le mani avanti: “Noi siamo il partito dei territori, quello è il nostro apporto specifico alla coalizione. Meloni ne deve tenere conto”. Vengono snocciolati i numeri: “Abbiamo il doppio dei sindaci di FdI. E non si possono citare le europee per dire che un partito al 30 per cento come FdI deve governare al nord. I risultati delle regionali sono molto diversi”. Per Salvini non sarà una battaglia facile convincere Meloni. Deve caricarsi sulle spalle la modifica della grammatica interna alla coalizione, che oggi prevede una rotazione su tutte le regioni che vanno al voto: a te la Campania, a me la Puglia, a loro il Veneto. Ma domani, il patto che le proporrà la Lega è una specie di riedizione di quello che legava Umberto Bossi a Gianfranco Fini, ai tempi di Berlusconi: a voi il sud, a noi il nord e amen. Un lavoro duro per il segretario leghista, che deve considerare anche gli appetiti di Forza Italia, in qualche modo intuibili nell’attacco di Maurizio Gasparri a Zaia.
Ma il Salvini del 2025, acciaccato dai disguidi ferroviari e dal rimontare dei nordisti, ha la strada segnata: se vuole stare in sella deve correre per tutti. Oggi i membri del federale lo hanno rincuorato sul caos treni. “Vedrete – ha detto loro – verranno belle sorprese dall’inchiesta sui sabotaggi…”. Che torni la sempre verde pista anarchica, intramontabile scaricabarile? Peccato non poterla evocare per le cose della politica.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link