Torino vende le sue fabbriche: 807 annunci su Immobiliare.it: «E i prezzi stanno crollando»

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Christian Benna

Aumenta l’offerta di capannoni. Prezzi dimezzati in 10 anni: ora a 300 euro al metro quadro

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AAA vendesi industria. Discreto stato dei fabbricati, buone connessioni logistiche e manodopera di qualità a disposizione. Il prezzo, ovviamente, è trattabile. Torino ha messo in vendita i suoi impianti industriali su Immobiliare.it: sono più di 800 le offerte di capannoni che affollano il sito della piattaforma digitale. Non solo Stellantis quindi, che aveva proposto online la ex fabbrica Maserati di Grugliasco intitolata a Giovanni Agnelli (su cui oggi ci sarebbe un’opzione degli americani di Nexus) e l’ex palazzina Mopar di Rivalta. In rete oggi si può comprare un bel pezzo di indotto auto già dismesso o in fase di dismissione.
 
L’ex Fiat Ricambi di Rivalta di Volvera è in vendita per 15 milioni, l’ex MA di Rivoli, componenti metallici per l’automotive (gruppo Cln) è valutata a partire da 9 milioni; la sede di Sigit, componenti termoplastici, di corso Orbassano è offerta per 4,5 ; la cartotecnica Sit di Oviglia è trattata per 3,5 milioni. E l’ex Sogefi di Sant’Antonino di Susa è stata messa in vendita dal fondo Usa che la possiede con i lavoratori ancora dentro, operativi in fabbrica. Torino, ex locomotiva industriale d’Italia, perde i pezzi e prova a salvare il salvabile, vendendo almeno le mura.

Il problema è che aumentando l’offerta di impianti sul mercato i prezzi stanno crollando: si parla di 300-400 euro al metro quadro, quasi la metà di quanto di chiedeva dieci anni fa. «E purtroppo non c’è la fila per aggiudicarsi tutti questi stabilimenti — spiega Giovanni Piccolo, industrial project manager di Fiminter Immobili —. La ritirata della grande industria ha ridotto il nostro indotto». Non a caso il 2024 è stato caratterizzato non tanto da chiusure ma da riduzione degli spazi e dagli accorpamenti. Come Proma e Olsa che hanno concentrato in una sola sede produttiva alcune attività. E così altre fabbriche finiscono sul mercato.




















































La Torino industriale si fa più piccola anche in settori non toccati dalla crisi dell’auto. I giocattoli Quercetti, i mitici chiodini, hanno messo in vendita lo storico stabilimento di corso Vigevano già da un paio d’anni. Senza trovare però un acquirente. «I costi della fabbrica torinese, dall’energia all’Imu e la Tari, sono troppo alti e così fa fatica a generare margini sui prodotti — spiegano i sindacalisti Elisabetta Mesturino della Filcams Cgil e Giuseppe Filippone della Femca Cisl —. L’azienda cerca una nuova sede con superfici più ridotte per continuare a produrre sul territorio». Nel gran bazar della «fabbrica Torino» c’è di tutto. C’è chi vende la proprietà dell’immobile ma vuole continuare l’attività; chi vende e basta; stabilimenti all’incanto delle aste giudiziari a seguito di fallimenti. 

«Dal 2028 a oggi hanno chiuso i battenti 500 aziende. Quello che abbiamo perso non è stato sostituito: lo vediamo dal gran numero di annunci di stabilimenti in vendita — afferma Edi Lazzi della Fiom Cgil — La città non può arrendersi al declino ma deve trovare vie alternative allo sviluppo». A comprare le vecchie fabbriche, tante costruite negli anni Settanta non c’è la fila, ricorda Giovanni Piccolo. «Ma ci sono medie aziende manifatturiere italiane che sono interessate a investire. Non dimentichiamo — precisa il manager di Fiminter — che i prezzi molto più bassi rispetto all’area milanese possono fare gola». E infatti negli ultimi mesi qualche cantiere è partito: da quello di Pattern e di Burberry nell’area di Pianezza alla nuova sede di Pastiglie Leone. 

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