Un giudizio senza paraocchi su Donald Trump

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Donald Trump

di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, l’intervento dell’istrionico Donald Trump da Mar-a-Lago ha lasciato tutti un po’perplessi sia per i toni sia per gli argomenti. Ho molti dubbi sulle feroci affermazioni che, a mio parere, fanno più parte di atteggiamenti teatrali (che il “nostro” usa per condire la comunicazione delle sue intenzioni e spesso per confonderle) che non a veri propositi della politica della realtà. Credo occorra leggere ciò che è stato detto senza i paraocchi della polemica.

Tre elementi sono da considerare. Uno: la semplice riapparizione di quell’isolazionismo che, sempre presente nella politica americana in modo più o meno sommerso, ha spesso caratterizzato la storia degli USA le cui origini risalgono addirittura ai Padri fondatori. George Washington nel 1796 auspicava che il nuovo Stato “… si tenesse immune da alleanze di carattere permanente con qualsiasi parte del mondo estero”. Thomas Jefferson nel1801 metteva in guardia contro i pericoli di un entanglement (coinvolgimento). Ancora James Monroe ed il suo celebre slogan “l’America agli Americani”. Poi apparve Theodore Roosevelt con la sua politica del ”Nodoso Bastone” e l’America si affacciò al mondo del Novecento e, nel1916, gli Stati Uniti si fecero coinvolgere nella Grande Guerra degli europei.

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Seguì un repentino dietro front, favorito anche dalla crisi del ’29, sino all’attacco giapponese a Pearl Harbour il 7 dicembre 1941 (benedetto da Churchill). Infatti Franklin Delano Roosevelt, sapeva benissimo che la maggior parte degli americani, pur preoccupati delle vicende europee, non avevano alcuna intenzione di partecipare alla guerra. Probabilmente Trump vuole dar voce a quella parte dell’opinione pubblica che, bene o male, è convinta che l’America è grande per conto suo e non ha bisogno di alleanze piuttosto costose che vengono sostenute con le tasse dei cittadini.

Due: Trump probabilmente vuole indicare una nuova direzione degli interessi geopolitici della nuova amministrazione, in particolare in quella parte di mondo che coincide con la piattaforma dell’America del Nord, i cui confini sono da un lato il canale di Panama, dall’altro la Groenlandia. Queste località sono da tempo oggetto di osservazione. Il canale di Panama è molto di più di una scorciatoia fra i due continenti. Con i suoi 82 Km rappresenta la via più breve dei traffici commerciali tra il Pacifico e l’Atlantico. Da Panama passa circa il 2,5 % del volume mondiale del commercio marittimo, ma soprattutto il 46 % del traffico commerciale navale tra l’Asia settentrionale e la costa orientale degli Stati Uniti. Il rapporto tra Usa e Panama cominciò a sgretolarsi a causa dei disaccordi sul controllo e sul trattamento dei lavoratori panamensi fino a quando, il 9 gennaio 1964, i due paesi interruppero le relazioni diplomatiche. Fu Jimmy Carter nel 1977 a raggiungere un accordo che nel 1999 ha ridato pieno controllo a Panama.

La Repubblica popolare cinese dal 2017 ha avviato una serie di negoziazioni commerciali con Panama per il controllo di due dei cinque porti adiacenti al Canale, nell’ambito degli investimenti e progetti infrastrutturali della Belt and Road Initiative. Il Paese centroamericano è stato il primo dell’America Latina ad aderire al progetto infrastrutturale cinese e in questi anni l’interscambio della regione con Pechino è esploso, passando da 14 miliardi di dollari nel 2000 a 500 miliardi di dollari nel 2022. Non c’è da stupire se il governo di Washington sia preoccupato.

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Ivanoe Pellerin

Tre: se guardiamo dall’alto il Mar Glaciale Artico con al centro il Polo Nord vediamo che cinque sono gli stati che si affacciano: Canada, Russia, Stati Uniti, Norvegia e Danimarca. Secondo la teoria del “patrimonio comune del genere umano” l’Artico dovrebbe essere aperto a tutti. Ma è così? Gli stati artici sanno di trovarsi in una zona turbolenta, non solo per le dispute territoriali ma per evidenti problemi geografici. Nella regione artica ci sono 14 milioni di Km quadrati di mare, acque scure, pericolose, a volte mortali. Non è un buon posto per ritrovarsi senza amici.

Attualmente vi sono almeno nove vertenze sulla sua sovranità. Una rivendicazione tra le più sfacciate viene dai russi: Mosca ha già posizionato un indicatore di confine in fondo al mare. Nel 2007 due sommergibili hanno piantato una bandiera russa al titanio a 4.261 mt di profondità per simboleggiare le proprie ambizioni. Inoltre ha già riattivato 50 vecchie postazioni militari dell’epoca sovietica nell’Artico e rimodernato 475 presidi militari, costruiti durante gli anni della “guerra fredda”, con l’obiettivo di controllare un territorio estremamente vasto, ma soprattutto ricco di risorse (petrolio, gas e terre rare) che la de-glaciazione e lo sviluppo tecnologico rende ora possibile sfruttare. Dopo l’aggressione all’Ucraina il Cremlino ha varato una “dottrina marittima” che descrive la militarizzazione del tratto di mare fra lo stretto di Bering e la Norvegia. La posta in gioco commerciale è notevolissima: la Russia ha una notevole flotta di rompighiaccio in grado di mantenere aperta quella via quasi tutto l’anno. Il canale di Suez ha perso il 30% dei passaggi a causa degli Houthi, la circumnavigazione dell’Africa dalla Cina ai porti europei richiede almeno 48 giorni di navigazione, la rotta artica richiede “solo” 23 giorni a costi ridotti. Cosa ne dite?

La Cina, dal canto suo, fin dal 2018, aveva manifestato l’intenzione di creare la sua “polar silk road” al fine di facilitare gli scambi con l’Europa. Ora Pechino cerca di sottolineare la relazione di “sottomissione” di Mosca per ottenere dal Cremlino un diritto esclusivo di passaggio per i prodotti cinesi verso l’Europa e l’Atlantico a prezzi imbattibili. Inoltre vorrebbe definirsi uno stato “quasi artico”. Come dice Fubini dalle pagine del Corriere della Sera, si aprirebbe così una “Via della seta polare”. Questa regione sarà un ennesimo campo si battaglia?

Cari amici vicini e lontani cerchiamo di vedere Trump senza paraocchi poiché l’America è densa di contraddizioni. Per esempio al porto di San Diego (California) vi è la marina USA con 200 aerei da combattimento di ultima generazione (immaginate il costo) ma in tutti gli USA i Canadair, utili contro gli incendi, sono dieci. Gli americani hanno tifato Trump ma sono poi enormemente gelosi delle loro comunità e temono moltissimo l’ingerenza del governo di Washington. Trump stesso ha sottolineato come la sua precedente presidenza non abbia visto nuove guerre guerreggiate.

L’America vede che nel mondo si sostiene a parole una politica di rispetto dei diritti dei popoli ma poi nei nuovi scenari internazionali conta sempre più l’hard power rispetto al sistema di alleanze. Tutto ciò giustifica le roboanti parole del futuro presidente? Certamente no, ma la comprensione dei problemi in campo ci aiuta a tentare di capire il gioco dei players mondiali.

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