I malpensanti che si imbattessero nel volume di Ernesto Madeo e Rosina Santo dal titolo “Il coraggio della restanza” (Cairo Edizioni, prefazione di Tommaso Labate)) potrebbero pensare sul momento ad un libro celebrativo ed auto-elogiativo della famiglia Madeo (nella foto) e della loro nota azienda imprenditoriale, nata e sviluppatasi in Calabria. Ma commetterebbero certamente un grave errore in questo loro frettoloso giudizio. Mostrando oltretutto di non possedere quell’adeguata, particolare, sensibilità, vera dote di lettori, commentatori e critici, di saper recepire il messaggio e le sottolineature contenuti tra le righe del testo del volume edito.
Giova soffermarsi, però, prima di entrare negli arcani del testo, unicamente su una precisa parte del titolo del volume, sulla parola “restanza”. Trattasi di un “neologismo” che, avendo radici antiche, vien per questo poco utilizzato nel linguaggio corrente, con il quale si indica la posizione di chi decide di restare nel luogo dove ha avuto i natali rinunciando all’esigenza di recidere il legame con la propria terra, con la propria comunità d’origine, non per rassegnazione ma con costruttiva serenità, conservando un atteggiamento
positivo e propositivo, volto alla realizzazione di iniziative con le quali intende rendere onore e perpetrare le tradizioni della propria gente.
E principale protagonista del libro in esame e fine realizzatore di questa “restanza” si rivela Ernesto Madeo, ma con l’aiuto e unitamente alla sua famiglia.
Voglia di tramandare la tradizione, grande intuizione e inarrestabile giovanile iniziativa: saranno queste le doti e il capitale solo umano iniziale per facilitarlo nel suo originale investimento imprenditoriale, doti che sommate ad un grande amore per il territorio della italica regione Calabria, allora desertico e dimenticato, daranno vita alla Filiera Agroalimentare Madeo. Una vera e propria oasi aziendale di notevole rilievo imprenditoriale, creata con il primo allevamento di suini neri nel lontano 1984, cioè 40 anni addietro e ubicata sulle colline Joniche presilane, nel comune di San Demetrio Corone.
Ma al di là dell’evidenziazione di una azienda agroalimentare modello di alto livello, peraltro curata in ogni suo aspetto e di grandi prospettive lavorative e impiegatizie vitali per il territorio e la Regione, il messaggio contenuto nel libro di Ernesto Madeo, è chiaro e volutamente diretto non solo all’intera Comunità Arbereshe, gli italo-albanesi d’Italia, ma
anche e soprattutto rivolto in maniera decisa e garbata alla troppo distratta attuale classe politica al governo in Italia.
Se un semplice arbereshe quale lui, senza capitali, appoggi politici, ed un territorio e una comunità locale poco favorevoli a contribuire alla sua iniziativa riesce, dal nulla e con il solo aiuto della sua famiglia, a creare una azienda delle dimensioni e produttività quale la Filiera Madeo di S. Demetrio Corone, cosa potranno fare e come sapranno e riusciranno a
rendersi utili per loro stessi e per il Paese gli oltre centomila italo albanesi (censimento effettuato molti anni or sono e mai ripetuto) diffusi in 50 comuni della Penisola, ci cui solo 30 in Calabria?
Un quesito subliminale il suo, derivante dalla lettura del suo testo, posto e inviato in maniera molta garbata all’universo mondo politico dal protagonista del libro, un quesito come quasi sempre accade recepito indifferentemente e con scarsa lungimiranza da una classe politica generalizzata attenta solo alle proprie riconferme in ambiti istituzionali ed
unicamente alle proprie esigenze personali e pertanto incurante della gente, quale ad esempio la comunità arbereshe della nostra Italia.
Al riguardo, una breve, personale notazione e chiosa finale fuoriesce spontanea e inevitabile quale la seguente, ovviamente precisiamo al di là dei contenuti del libro. Se un personaggio quale il protagonista del volume e della sua grande avventura-impresa calabrese, quale Ernesto Madeo, decide, per aiutare la propria comunità della cittadina di S. Demetrio ove dimora, di prestarsi alla politica, nelle ultime recenti elezioni, riuscendo a
diventare Sindaco senza problemi di sorta, ottenendo il massimo dei consensi e aiutando per davvero in seguito ad accontentare e soddisfare la sua comunità con scelte politiche da lui operate in sinergia con loro, cosa capiterebbe se gli oltre centomila italo-albanesi che compongono la vasta Comunità Arbereshe in tutta Italia decidessero di impegnarsi politicamente con un loro partito per poter conseguire una reale tutela per loro stessi, non
ultima quella della salvaguardia linguistica tanto richiesta e del tutto trascurata?
Senza voler fare della piaggeria, riteniamo che con l’attuale politica e schieramenti collocati in ogni direzione, non ce ne sarebbe per nessuno.
Occhio allora agli Arbereshe! (P. F. C.)
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