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Il Rapporto sul futuro della competitività europea di Mario Draghi è stato ed è oggetto di un ampio dibattito politico, diversi interventi hanno sottolineato come una parte di primo piano vi sia riservata ai sistemi d’istruzione. Dalle proposte sulle competenze trae spunto la lettera d’incarico che a dicembre scorso Ursula von der Leyen ha inviato a Roxana Mînzatu, vice presidente esecutivo della Commissione che si occuperà di competenze, a segnare l’impronta che il Rapporto darà alla nuova Commissione. Alcuni dei temi del Piano sono riproposti e indicati come obiettivi della Mînzatu, fino ad assumere la felice espressione di “Unione delle competenze” coniata da Draghi.



Il Piano prende le mosse dal dissolversi del paradigma globale che abbiamo finora conosciuto, sia dal punto di vista economico che geopolitico, mentre le tecnologie impongono una tumultuosa evoluzione. Preoccupa che l’Europa abbia in gran parte mancato la rivoluzione digitale degli anni 90 trainata da Internet e gli aumenti di produttività che ne sono conseguiti e di cui hanno goduto altre economie, come quella statunitense. L’Unione Europea non ha una posizione solida nell’ambito delle tecnologie che guideranno la crescita futura: tra le prime 50 imprese tecnologiche al mondo solo 4 sono europee.

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Questo panorama è ulteriormente aggravato dall’inverno demografico, perché l’Unione, per la prima volta nella sua storia recente, sta entrando in una fase in cui la crescita economica non sarà sostenuta da una crescita della popolazione: in effetti si prevede che entro il 2040 la forza lavoro si ridurrà di quasi due milioni di unità l’anno.

L’analisi dice che le fondamenta sulle quali abbiamo edificato il nostro modello economico, sociale e politico stanno vacillando. Per invertire la rotta, Draghi vede una sola strada: fare più affidamento sulla produttività per sostenere la crescita. In termini d’investimento questo vorrà dire circa il 5% del Pil da mettere in campo, realizzando uno sforzo senza precedenti visto che gli investimenti aggiuntivi forniti dal Piano Marshall ammontarono annualmente a circa 1-2% del Pil. Basta quest’ultimo dato per chiarire perché, ad avviso di Draghi, l’Europa sia davanti ad una sfida esistenziale.



Se dalla sfera continentale ci spostiamo a quella nazionale, possiamo individuare nelle scuole quel microcosmo istituzionale che deve e può dare il suo contributo per vincere questa sfida esistenziale che si gioca così tanto sul piano delle competenze e su quello del calo della popolazione, due questioni che le istituzioni scolastiche e l’Ue hanno in comune. A ben guardare, le scuole possono farsi interpreti dell’analisi proposta da Draghi perché sono istituzioni multilivello, tengono insieme e necessariamente armonizzano il terreno locale (il più delle volte la proprietà degli edifici occupati dalle scuole è di un ente locale, solo per fare il più banale degli esempi), quello regionale (tra le altre cose alle Regioni è affidata la programmazione della rete scolastica e la determinazione del calendario scolastico), il piano nazionale e quello europeo (basti solo citare la Raccomandazione del 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente, per norma orizzonte di riferimento dei nostri istituti).

Larga parte del programma proposto dall’ex presidente della Bce, volto a potenziare il tasso d’innovazione della nostra economia, è incentrato sul fornire ai cittadini europei le competenze di cui hanno bisogno per trarre beneficio dalle nuove tecnologie, cosicché innovazione e inclusione sociale vadano di pari passo. Su questo piano, la ricerca realizzata da Randstad Research e Fondazione per la Sussidiarietà, Nuovi modelli per il lavoro: cresce la domanda di significato e di sviluppo professionale, di recente uscita, si pone in perfetta sintonia con l’analisi proposta da Draghi: “è la nuova centralità della formazione e dei servizi di sostegno all’occupazione che faranno la differenza per aumentare il tasso di occupazione ed il tasso di attività”.

Dalle pagine del Rapporto emerge con assoluta evidenza come oggi la competitività non riguardi tanto il costo relativo del lavoro, quanto le conoscenze e le competenze che i dipendenti portano nelle imprese. Il tema delle competenze chiama in causa tutte le agenzie formative, in primis le scuole, e, vista la rilevanza che le competenze hanno nel discorso di Draghi, si può ben dire che al centro del Rapporto vi siano le competenze e, con esse, le scuole.

Queste sono le premesse per un viaggio che, attraverso diverse tappe, ci porterà ad esplorare le azioni che le scuole italiane possono realizzare per dare attuazione, nei loro territori di riferimento, alle proposte del Piano per la competitività europea.

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(1 – continua)

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