Pd megafono dell’Anm, sinistra al traino delle toghe sulla separazione delle carriere: “Pm sottomesso a governo”

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È giunto il momento del saper vincere e cogliere il senso della nemesi storica, con l’affermazione del Parlamento sulle toghe. All’inaugurazione dell’Anno giudiziario del 2001 vinse il procuratore Saverio Borrelli con il suo famoso “resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave”. E pensare che la riforma Castelli del governo Berlusconi proponeva solo la separazione delle funzioni, neanche delle carriere.

Ma oggi, quando la riforma Nordio va ben più in là – anche se le proteste dei magistrati sono le stesse e con le stesse parole – è Berlusconi con la sua bandiera di allora a portare a casa la vittoria. Che non è solo di resistenza, ma di attacco. Ne sono ben consapevoli le stesse forze politiche che in Parlamento si sono opposte al progetto, senza riuscire a trovare parole di critica che siano – neppure sul piano formale – diverse da quel che suggeriscono loro gli uomini e le donne in toga. “Provvedimento blindato”, dice il capo dei sindacalisti di Anm, Giuseppe Santalucia. E gli fa eco Debora Serracchiani, responsabile Giustizia del Pd, la quale – essendo una deputata – dovrebbe ben sapere che la discussione sulla separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente ha avuto una gestazione parlamentare di ben 2 anni, con la discussione di 4 diverse proposte di legge, oltre al disegno presentato dal ministro Carlo Nordio a nome del governo. Quello che è poi diventato il testo base. Argomento che avrebbe ben potuto essere usato, questo sì, per denunciare una preponderanza del potere esecutivo rispetto al legislativo. Ma le toghe non ne hanno parlato e di conseguenza neppure i partiti.

Nessuna vera critica è in realtà mai arrivata sul merito del provvedimento, proprio come era già capitato nel passato. Se il procuratore Borrelli denunciava l’attacco all’autonomia della magistratura e l’intento segreto della sottoposizione del pm all’esecutivo, altrettanto dice l’attuale capo del sindacato delle toghe. Impressionante l’immagine del lato sinistro dell’emiciclo della Camera giovedì scorso, con le dichiarazioni di voto dei diversi gruppi. Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale antimafia, a nome del Movimento 5 Stelle parlava con ancora la toga sulle spalle. E rilanciava l’orrendo sospetto: volete sottomettere il pubblico ministero al governo! E così Bonelli e Fratoianni. Non importa che questo fondamentale passaggio nel testo di legge non ci sia.

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Ma il processo alle intenzioni è pur sempre una specie di processo. E poco contano – o sembrano contare – parole molto sagge come quelle di Antonio Tajani, leader di Forza Italia, che rassicura: “Non c’è nessuna intenzione punitiva. Per noi la riforma della giustizia è fondamentale. Noi vogliamo esaltare il ruolo del giudice giudicante”. O quelle di chi non sbaglia un colpo, come l’azzurro Enrico Costa: “Oggi noi abbiamo un processo capovolto, la sentenza è quella pronunciata durante le indagini preliminari con l’accusa del pubblico ministero. In questa fase il giudice è sopraffatto dalla forza, anche mediatica, del pubblico ministero, e se prova a interferire o a rigettarne una richiesta viene travolto da contestazioni e accuse di impedire il corso naturale della giustizia”. La difesa dei giudici, è questo il senso. Ma si finge di non capirlo.

E succede anche che coloro – come i radicali di +Europa o gli esponenti di Azione e di Italia Viva – che condividono il progetto nel nome dei princìpi liberali dello Stato di diritto, hanno difficoltà ad accettare che la riforma sia una conquista di una maggioranza di centrodestra. Anzi, di destra-centro, come alcuni amano definire. Dimenticando per esempio che fin da quando Berlusconi entrò in Parlamento nel 1994 e iniziò il percorso di riforma della giustizia, fin dal decreto Biondi sulla custodia cautelare, Marco Pannella era con lui. E con lui erano tanti personaggi che provenivano dal mondo socialista.

Per questo paiono un po’ ingiusti i comportamenti – per esempio – degli esponenti di IV, che hanno deciso un’astensione non limpidissima, motivata un po’ per la “blindatura” del provvedimento (dopo 2 anni?) e un po’ per il dissenso sul sorteggio dei componenti dei Csm. C’entra qualcosa il conflitto esistente di questi tempi tra Matteo Renzi e Gorgia Meloni? E un po’ ingiusto è forse anche l’atteggiamento di Riccardo Magi – un altro di quelli che in genere non derogano dai princìpi sulle garanzie e diritti dei cittadini – che ha votato la riforma, ma pare infastidito dall’evocazione di Berlusconi come il vero padre del progetto.

Anzi, definisce il leader di Forza Italia quasi come un “intralcio”, a causa del suo “conflitto con la magistratura”. Quasi come se se lo fosse cercato e non fosse stato inseguito e perseguitato da certi pm anche oltre la morte. Sarebbe bene che ora tutti quanti sapessero anche vincere, dopo aver invano atteso il risultato per qualche decennio.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.

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