Lunedì 20 sul tavolo del cda delle Generali, l’ad Philippe Donnet dovrebbe portare l’esame di una possibile alleanza fra il Leone e Natixis, secondo gruppo bancario semi-pubblico francese, controllato al 70% dal Gruppo Bpce. La riunione del board dovrebbe essere preceduta, domani, da un Comitato investimenti allargato agli altri consiglieri, in virtù della delicatezza e strategicità del dossier. Il piano, secondo le indiscrezioni circolate negli ultimi giorni, dovrebbe portare alla creazione di un polo del risparmio da quasi 2 mila miliardi, di cui 650 miliardi, tramite 14 veicoli, conferiti cash dalla compagnia italiana in una piattaforma nuova di cui sarebbero soci Generali Investment holding (GIH) – principale gestore del risparmio del Gruppo Generali – e Natixis, terzo gestore europeo del risparmio con 1.300 miliardi di cui 1.200 miliardi (16 veicoli) da trasferire alla joint venture. L’operazione che in apparenza potrebbe dar vita a un player finanziario globale, sempre secondo le indiscrezioni, sta sollevando il disappunto dei soci privati forti di Generali (gruppo Delfin con il 9,9% e gruppo Caltagirone con il 6,9%) che contestano almeno sei criticità e, secondo un copione già tentato da Vivendi sulla vendita della rete Tim a Kkr, ma attuato maldestramente, potrebbero richiedere la convocazione di un’assemblea straordinaria. Vivendi ha avuto torto dal tribunale perché non ha chiesto la convocazione dei soci ma si è solo lamentata. L’operazione Generali-Natixis è stata paragonata alla improvvida vendita di Pioneer del 2017 fatta da Unicredit guidata da Jean Pierre Mustier ad Amundi.
LE DEBOLEZZE
Sotto i riflettori di alcuni azionisti e del mercato sono finiti vari aspetti della struttura del deal, a partire dalla governance. Il nuovo polo dovrebbe essere controllato al 50% da Natixis, al 42% da GIH, all’8% da Cathay Life, azionista con il 16,5% di Conning holding limited, tra i principali asset manager globali. Di Conning holding, 117 miliardi di dollari di asset, Trieste ha da luglio 2023, l’83,5%. Sempre secondo quanto riferito dalla stampa, il timone del nuovo gruppo del risparmio, per i primi cinque anni, spetterebbe a Woody Bradford, ceo di GIH, una new entry del mondo triestino, pertanto poco conosciuto. Con questi rapporti di forza, il cda potrebbe essere squilibrato a favore del socio francese. A proposito di GIH, ieri, ha ufficializzato l’acquisto, tramite Conning & Company, per 320 milioni di dollari, del 77% di Mgg Investment Group, società di prestiti diretti privati con 5 miliardi di dollari di attivi in gestione.
In più, il contratto, secondo indiscrezioni avrebbe durata di 15 anni e in questo periodo le masse gestite finirebbero sotto il dominio di Natixis: in assenza di un patto parasociale – che rappresenta l’ennesimo tallone di Achille -, Natixis potrebbe avere il sopravvento anche sui 37 miliardi di Btp in pancia.
Un accordo di questo genere potrebbe minare la sovranità finanziaria del Paese, con ripercussioni sulla stabilità del sistema, su cui vigilano le Autorità e il golden power. Infatti c’è la possibilità che la piattaforma investa parte del risparmio italiano in asset internazionali con rendimenti fluttuanti. E poi il maggior peso di Natixis solleva riserve legate alle attuali incertezze della Francia.
Nella nuova piattaforma Natixis apporterà le masse raccolte dal gruppo Bpce e da terzi; Generali conferirà GIH che gestisce 650 miliardi di masse non nella sua disponibilità, essendo garanzia sulle polizze degli assicurati. L’ammontare equivale a circa 1/5 del debito pubblico italiano. In questo stock ci sarebbe una parte di immobili che verrebbe gestita dall’estero con scarsa conoscenza delle dinamiche del mercato italiano.
TUTTO AL BUIO
Ora si apre uno scenario imprevedibile per le criticità del progetto sul futuro di Trieste e alcuni soci potrebbero richiedere un’assemblea straordinaria che darebbe agli azionisti un diritto di recesso. Azionisti che non sarebbero trattati con par condicio, se sono vere le indiscrezioni che Generali sia assistita, come advisor, da Mediobanca, primo socio con il 13%: ci sarebbe asimmetria informativa. Infine le manovre arrivano a ridosso dell’assemblea per il rinnovo del cda (8 maggio): secondo le best practice, non è opportuno approvare operazioni strategiche in chiusura di mandato.
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