DEMOCRAZIA, RELIGIONE E SCIENZA, Viaggio di un italiano tra la natura e la cultura degli Stati Uniti d’America (Parte 1) | by Cultura Libera | Jan, 2025

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Agirculture, flag, nature, USA, United States
United States of America

1.

Col treno diretto da New York si arriva in trenta ore a Chicago e si percorre una grande parte dell’America. Passati i monti Alleghany, il paese diviene uniforme e un poco monotono. Ho veduto quelle grandi ondulazioni del terreno con la luce azzurra dell’alba uscire dall’oscurità della notte. I villaggi sparsi per la campagna dormivano ancora: solo da alcuni si solleva un fumo violaceo, che si confondeva con la nebbia, la quale veniva su dagli stagni e dai torrenti.
La grande solitudine e le macchine agricole abbandonate nella campagna, davano l’immagine di un paese quasi deserto. Solo i corvi si alzavano a stormi per fuggire lontano, ed i mulini a vento giravano frettolosi le grandi ruote, pompando l’acqua che si vedeva brillare a quella prima luce negli abbeveratoi sparsi fra i pascoli.

A destra, in faccia, a sinistra, dappertutto un immenso tappeto di verdura e di spighe. In alcuni campi le messi già falciate, lasciavano vedere la terra rossastra, in altre le spighe piegavano i fusti sottili, come se dormissero ancora e formavano dei grandi quadri gialli che avevano circa un miglio di lato, in mezzo ad altri quadrati verdi, coltivati con granoturco o con trifoglio.
Nella campagna sembrava che mancassero le strade, e solo a grandi intervalli comparivano degli alberi, con in mezzo le case dal tetto acuminato a due spioventi, tutte rosse ed uguali, messe attorno ad una grande aia inquadrata da tettoie e da baracche di legno.
Il treno correva in un paese aperto, senza fosse, senza cigli, senza alberi: fino a che non si incontravano le foreste che coprono i terreni abbandonati, quelli dove la coltura costerebbe una fatica troppo grande.
Uscendo dal verde cupo, di sotto all’ombra degli abeti e dei faggi, si incontravano altri prati fioriti, altre mandrie di buoi e di pecore nei vasti pascoli. L’estensione immensa dei campi pareva ingigantire l’abbondanza dei raccolti, e le spighe dorate si confondevano lontano col giallo del cielo là dove cominciava a splendere il mattino.

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2.

A misura che il Sole si alzava, apparivano sempre meglio i particolari in quelle ampie valli; e riconoscevano nei prati i ranuncoli gialli, le margherite bianche, le salvie azzurre. Sul bordo degli stagni si sollevavano i giunchi dai pani bruni e sulle acque si stendevano le grandi foglie delle ninfee. Il vento, agitando le spighe, formava come delle onde che correvano sopra i campi.
Le prime impressioni che ebbi dell’America furono poco diverse da quelle del nostro Paese nell’Italia settentrionale ed in alcune province lungo l’Appennino.
Nella corsa vertiginosa del treno giravano intorno i solchi allineati del granoturco, con le grandi pannocchie nei cartocci ancora verdi. Non avevano mai visto delle estensioni così enormi di granoturco; e seppi dopo che servivano per ingrassare gli animali che si macellano a Chicago. Il treno scorreva per delle ore in mezzo ai solchi dove i gambi succosi, più alti di un uomo, con i loro pennacchi rossastri sfilavano come un esercito fantastico. Poi passavano altri campi di avena con lunghe foglie diradate e giallognole, o di segale con gli steli sottili e glauchi, o di trifoglio con le spighe sanguigne.
Il treno correva a precipizio in mezzo alla campagna, senza incontrare un ponte, attraversando le strade aperte al livello delle rotaie, dove non vi sono guardiani, ma dei semplici affissi piantati su pali che avvertono con indifferenza di prestare attenzione al passaggio dei treni per non essere stritolati. Le stazioni ferroviarie sono povere e le città così diverse dalle nostre, che solo avvicinandosi ai luoghi abitati, l’attenzione viene attratta dall’aspetto strano delle cose.
Alcune città sono vere selve di camini che fumano, e da lontano si ode il frastuono e si sentono gli odori delle fabbriche. Pare che per la fretta il treno non possa schivare i luoghi abitati, e senza deviare passa in mezzo alle case, attraversando le ampie strade prive di selciato, con i marciapiedi in legno. La campana della locomotiva con i rintocchi funerei avverte la folla di sgombrare il passo, mentre gli uomini corrono affaccendati, ed i ragazzini rimangono intenti a giocare con la palla senza voltarsi.
Le pareti delle case sono ricoperte di grandi avvisi di réclame: quegli stessi che vi hanno perseguitato nella campagna con elogi impudenti di merci sconosciute o troppo note. Sui tetti le scritte colossali sono impigliate tra i fili del telegrafo e del telefono, i quali, come ragni giganteschi, pare che avvolgano nelle loro reti quelle città malinconiche soffocate dal fumo.
La fecondità della terra e la maestà solenne della natura dominano tutto; ed in un viaggio così rapido le città quasi scompaiono. La cosa che mi fece più impressione fu il grande uso delle macchine agricole. Pensavo ai nostri modi di coltivazione, che sono ancor poco diversi da quelli che vediamo nei monumenti egiziani di quattromila anni fa. Ed ora tutto d’un tratto è succeduta una trasformazione così profonda che anche i solchi e la seminagione si fanno con le macchine a vapore. Una falciatrice meccanica sega in un giorno tanta erba quanto fanno di lavoro in un prato venti uomini insieme.
L’America fu la nuova patria dell’industria agricola; e le macchine non solo mietono, ma legano le spighe in un fascio, raccolgono i mazzi e posano adagio in terra i covoni senza scuoterli. Le trebbiatrici a vapore ripuliscono il frumento, lo insaccano lungo i binari delle ferrovie, e pochi giorni dopo il grano raccolto sarà già negli elevatori, da dove partirà per i laghi e i fiumi che lo condurranno in Europa.

3.

Presso i grandi laghi d’America, come sulle sponde dell’Atlantico, ci sono dei paesaggi che assomigliano all’Olanda; ma l’America è tanto grande e fertile che nessuno si è ancora dato la pena di risanare quelle paludi e di coltivarle. In altri luoghi si vedono le morene ed i massi erratici delle epoche glaciali, con prospettive simili a quelle che abbiamo vicino alle Alpi; solo che qui la natura ha conservato quasi intatto il suo aspetto primitivo. Fra i monti Alleghany e le Montagne Rocciose si stende un oceano di verdura molto più vasto dell’Europa, dove il terreno uniforme è coperto di pascoli, di campi e di foreste, nelle qual il treno corre per delle ore fra le querce oscure e le bianche betulle, fra i faggi ed i pini, attraversando dei boschi di ontani e di olmi dalle foglie splendenti.
Avvicinandosi ai grandi laghi, uno si accorge di essere penetrato in quel Far West che è il grande regno dei cereali e dell’industria.
Gli scali lunghissimi che si trovano per il bestiame nelle stazioni, fanno comprendere a cosa servono quei pascoli immensi. I lunghi treni pieni di buoi, di vitelli e di maiali, che si dirigono verso Chicago fanno conoscere quali siano le vie che segue la carne vivente, prima di essere distribuita agli ammazzatoi di Chicago, che con le sue enormi “packing houses”, imballerà tutta questa carne e la distribuirà non solo all’America, ma anche all’Europa.
Dopo trenta ore di treno direttissimo per quei campi rigogliosi, uno è convinto che potranno vivere altri cento milioni di uomini lungo il cammino percorso.
Il ricordo che resta del paesaggio americano è quello di un territorio estremamente verde. Vi è un’abbondanza di succhi e di vita nelle erbe e nelle foglie delle piante, come da noi non si trova. È un’armonia indescrivibile della fecondità, che ci dà un sentimento nuovo di vita e di piacere. Tutta la scala del verde si spiega nella pompa dei suoi toni, dal verde cupo delle solanacee e del tabacco, al verde azzurro dell’avena, al verde giallo del frumento, al verde grigio della segale. Il vento produce sulle spighe nei campi dei riflessi pallidi violacei, come di seta dorata, e nel colore vivace delle foreste si rischiarano le fronde agitate.
Sulle erbe lussureggianti scendeva nel tramonto della sera come una polvere d’oro. In mezzo alla solitudine delle pendici boscose di questa natura, io pensavo ai monti azzurri della mia patria Italia. La natura sorrideva ed io ammiravo l’ampiezza sterminata del suo seno, e la potenza infinita delle sue forze. Mi sembrava di sentire l’anelito misterioso della vita che avvolge la Terra, e nel mio cuore si svegliavano i dolci ricordi della giovinezza.

4.

Il clima degli Stati Uniti d’America è diverso dal nostro. È più freddo d’inverno e più caldo d’estate. Gli estremi della temperatura hanno una grande importanza per lo studio dell’uomo nell’America, ed è bene accennare subito le ragioni di tali differenze.
Boston, che si trova sul parallelo di Roma, ha la temperatura del Belgio. Per eguali latitudini i fiori della primavere compaiono nell’America un mese più tardi che non nell’Europa centrale. Le neve scompare verso la fine di marzo, e solo verso la fine di maggio i cespugli e gli alberi si coprono di foglie.
L’America, anche nelle epoche preistoriche, deve essere stata più fredda dell’Europa: perché i ghiacciai primitivi si estendevano fino al 40° parallelo, cioè all’altezza di Palermo, mentre che nell’Europa la grande calotta di ghiaccio dei tempi preistorici si arrestò al 50° grado di latitudine.
Gli inverni sono così freddi che la coltivazione della frutta comincia solo nella Louisiana e nella Florida, che si trovano all’altezza di Palermo; e il Labrador ha un clima tanto inospitale che difficilmente si riuscirà a popolarlo, sebbene si trovi nella medesima latitudine dell’Inghilterra.
Non solo l’inverno è molto più freddo che da noi, ma anche l’estate è sempre più calda rispetto all’Europa. La temperatura massima che si osservò negli Stati Uniti all’ombra fu di 50 gradi centigradi.
Queste differenze enormi della temperatura dipendono in parte dalle correnti di acqua fredda, che dal Polo Nord scendono lungo il Labrador sulle coste dell’America, mentre invece l’Europa è riscaldata dalla grande corrente di acqua calda che viene dal golfo del Messico. Gli estremi della temperatura dipendono anche da ciò che i venti freddi del Nord e quelli caldi del Sud non sono fermati nel loro corso da alcuna catena elevata di montagne. Il sistema dei monti Appalachian corre da nord a sud, e sono montagne che non raggiungono i duemila metri di altezza; poche punte escono brulle e rocciose dal manto delle foreste di pini e di faggi che le ricoprono.

5.

La vita dei campo mi diede le ore più dolci che ho passato nell’America. Da ogni escursione tornavo a casa con le mani piene di fiori, con dei fasci di fronde e ne adornavo la mia stanza. Poco per volta mi tornava in mente la nomenclatura botanica da lunghi anni obliata, e mi pareva di essere come ringiovanito. Nei boschi, lungo i prati, riconoscendo i fiori, ebbi le stesse emozioni di chi ritrova dopo molti anni un amico dell’infanzia.
Nei dintorni di New York e di Boston mi pareva di essere nell’alta Italia, tanto la fisionomia del paese, riguardo alle piante e alla struttura del terreno, assomigliava all’Europa centrale. Non sono le medesime specie, ma sono piante così affini alle nostre, che a volte non riuscivo a capire in cosa fossero differenti: solo mi accorgevo che avevano le foglie più grosse e più succose.
Gli alberi sono gli stessi che da noi, o almeno sono dei rappresentanti delle nostre specie, e chi non li studia attentamente crede che siano i medesimi faggi, i castagni, i noci e gli ontani che vivono da noi. Solo le querce hanno dimensioni più imponenti e sono più varie di aspetto. Le strade sono ombreggiate da olmi altissimi, lungo le rive crescono i rovi con le spine e le foglie sempreverdi, le rose canine con i loro fiori semplici e simpatici. Soprattutto sono ricchi di specie le betulle, i salici ed i pioppi. Non avevo mai visto in Europa delle chiome di alberi più belle per il loro colore bianco d’argento, che dal colore dell’ulivo ha tutte le gradazioni del verde fino al grigio della perla.
La somiglianza fra le piante dell’America e le nostre, fece credere che una volta il nostro continente fosse in comunicazione con quello dell’America, e che solo in un’epoca recente ci abbia divisi l’Atlantico. Infatti Platone racconta che nell’Oceano verso occidente, al di là delle Colonne d’Ercole, si trovava l’isola Atlantis, più grande della Libia e dell’Asia. Il continente di Atlantide sorgeva in un mare pieno di isole, e paragonato con questo grande mare, il Mediterraneo si sarebbe potuto dire un piccolo porto. Questo paese ricco e molto popolato, era scomparso completamente in seguito ai terremoti ed alle inondazioni [1].
Darwin scrisse che Atlantide non è mai esistita e che le piante e gli animali sono passati per lo stretto di Behring, dal vecchio mondo al nuovo, o inversamente[2].
L’America ha un numero di piante sue proprie molto maggiore delle specie indigene che crescono da noi: e si potrebbe credere che la natura abbia favorito l’America con la varietà maggiore della sua flora. Se però entriamo negli orti, o guardiamo sui mercati e nelle case i legumi e le piante domestiche, vediamo che quasi tutte furono portate dall’Europa.
Di piante americane indigene che siano utili, troviamo il mais, il pomodoro, la patata, il tabacco e poche altre che non vale la pena di ricordare, come il girasole, del quale gli Indiani mangiavano i semi.
A questa povertà di piante utili fa riscontro una povertà anche maggiore di animali domestici, perché di grossi mammiferi gli americani ebbero solo il bisonte, ormai quasi estinto, che non poterono addomesticare.
L’Europa media e l’Europa del Nord, nei tempi preistorici, erano nelle stesse condizioni dell’America, perché tutte le piante utili che ora coltiviamo furono importate dai paesi meridionali. Di piante indigene vi sono ancora quelle poche che troviamo nelle foreste e eni luoghi incolti.
Considerando l’Europa media e settentrionale, come un paese moderno, possiamo dire che tutte le piante caratteristiche che servono ad alimentare l’uomo, sono del vecchio mondo. Il frumento, la segale, l’orzo, l’avena, il miglio, il riso, le lenticchie, i piselli, le fave, i ceci, la vite e la frutta furono portate dall’Oriente nell’Europa media, e di qui passarono nell’America. Fu questo mancato soccorso delle piante utili e degli animali domestici, che non ha permesso agli americani di incivilirsi prima.

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6.

Le isole ed i paesi marittimi frastagliati ebbero sempre una civiltà più precoce ed intensa di quella dei vasti continenti. Ippocrate discusse questo soggetto, nel libro più antico che ci sia rimasto della medicina greca. Vediamo verificarsi questa legge nella storia della civiltà, che ebbe la sua origine sulle sponde e nelle isole del Mediterraneo. Anche nell’America le nazioni più civili crebbero nel Messico e nel Perù, e fu da quel golfo ricco di isole che si diffusero sul continente americano i raggi della civiltà primitiva.
Chi guarda la carta degli Stati Uniti e vede che è tagliata così che somiglia ad una scacchiera, si persuade subito che mancano le divisioni naturali dei fiumi e dei monti. Questa straordinaria uniformità fu la causa che ha impedito lo sviluppo della civiltà nell’America, ed è la stessa causa che rende la Cina tanto inferiore al Giappone.
Le montagne dell’America sono molto più antiche di quelle dell’Europa. Forse gli Alleghany furono tra le prime montagne che vennero fuori sul fondo del mare, quando la Terra cominciò a raffreddarsi. Se ora sono basse dobbiamo considerarle come vecchi ricurvi. Per il naturalista l’America è il paese più vasto che ancora sussista del mondo primitivo. L’Italia e gran parte dell’Europa, sono paesi relativamente moderni. Nell’America, là dove si vede una ondulazione del terreno, i geologi ci insegnano che una volta era una catena di montagne; e viaggiando si ha la certezza di trovarsi in un paese tanto antico, che le montagne del Canada furono spianate dalla pioggia e dalle nevi, ancor prima che sorgessero le nostre Alpi.
Le montagne più alte sono le più giovani. Il Caucaso, l’Himalaya, le Ande sono nate come le Alpi nel periodo terziario. Il Cervino si conosce che è giovane dai suoi contorni taglienti, mentre le montagne con le forme tondeggianti come i Vosgi sono le più antiche.
La ricchezza degli animali fossilizzati è maggiore nell’America che altrove: i depositi di carbon fossile sono più abbondanti, e questo prova che la vita primitiva là fu più intensa che da noi. Anche ora il paese è fecondo, ma gli manca quel non so che di irregolare, che rende pittoreschi i quadri o gli aspetti della natura. È l’uniformità che trionfa: i monti sono bassi, le colline smussate. La poesia e la bellezza impareggiabile dell’Italia sta nel contrasto fra il colore del cielo e della terra, fra la vegetazione ed il macigno, fra la pietra grigia od azzurra e la terra fertile che copre di verde le valli e le pendici dei monti. Noi, che siamo abituati al paese del Lazio, al profilo degli Appennini, ai picchi nevosi, proviamo una vaga nostalgia viaggiando per l’America; ma poi uno si abitua alla mancanza dei particolari ed alla monotonia, come nella traversata dell’Oceano si trova imponente il mare. Per il naturalista l’uniformità americano prende un fascino nuovo, perche egli contempla in essa l’antichità della terra e comprende la forza dell’erosione, che trasforma la faccia dei continenti, e intravvede nel profilo di quei monti azzurri, il destino che umilierà le cime superbe delle Alpi.

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NOTE

1 PLATONIS Opera, Timeus, 25.

2 “La vie et la correspondance”, Charles Darwin. Tome II, pag. 166.

3 FRANKLIN, “Scritti minori”, Firenze, Barbera, pag. 99.

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4 E. W. LONGFELLOW, “Liriche e Novelle”, tradotte da C. Faccioli, 1896.

5 FRANKLIN, opera citata, pag. 159.

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FONTE: “La democrazia nella religione e nella scienza: studi sull’America” di Angelo Mosso.
Fratelli Treves Editori, Milano, 1908.



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