Le valutazioni: reato tecnico, l’accusa di truffa pesa di più
«Me lo aspettavo». Può sembrare difficile, vista la nuova bufera giudiziaria e politica in cui si trova immersa, eppure Daniela Santanchè anche questa volta si definisce «tranquilla». Anzi, «tranquillissima». È molto addolorata, certo, per un rinvio a processo che coinvolge gran parte della sua famiglia, ma ai colleghi di governo che l’hanno chiamata o le hanno scritto per esprimerle solidarietà ha risposto fiduciosa, quasi convinta che non sarà condannata. «Non sono agitata, continuo a lavorare, a fare le cose che devo fare… Stiamo parlando del niente». Perché la Visibilia srl da lei fondata e finita al centro dell’inchiesta di Milano «non è fallita, è sul mercato e qualunque imprenditore interpellato direbbe che questa roba non esiste».
Esiste però a livello politico, anche se Salvini e Tajani le hanno offerto uno scudo garantista. Esiste perché Giorgia Meloni non ha alzato il telefono per abbracciarla virtualmente e si è presa del tempo per decidere: «Giorgia non l’ho sentita, non mi ha chiamata, immagino che abbia tante cose importanti da fare…». Lasciare, o restare? Per Santanchè il dilemma non esiste, non su questo dossier almeno, che lei liquida come «un reato valutativo, una questione molto tecnica e tutta basata su perizie per la quale ero già stata archiviata nel 2018». Era certa del rinvio a processo, si è persino stupita che non fosse successo già a dicembre.
Più volte ha fatto capire che si dimetterà se dovesse essere rinviata a giudizio sull’altro fascicolo, quello molto pesante che contiene l’accusa di aver truffato lo Stato, approfittando della cassa integrazione nel periodo drammatico del Covid. Qualora i giudici dovessero chiedere il giudizio lei stessa riterrebbe inevitabile il passo indietro, perché le «implicazioni politiche» le sono chiare. Ma riguardo alle false comunicazioni la posizione della ministra è che lei non valuta le dimissioni come necessarie, né dovute, tantopiù che nessuno gliele avrebbe ancora chieste.
La telefonata da Palazzo Chigi non è arrivata, eppure nessuno dentro FdI esclude che possa accadere nelle prossime ore. Nemmeno la stessa Santanchè: «Su questo reato qua sono molto serena. Poi è chiaro che io sono una donna di partito, non faccio le cose a dispetto dei santi. Aspetto le valutazioni…». Dove il termine «valutazioni» è il verdetto della premier: «Se il mio presidente del Consiglio dovesse chiedermi un passo indietro, di certo lo farò».
Il silenzio freddo dei colleghi di partito è un indizio che non promette bene, ma Santanchè concentra lo sguardo sulla parte mezza piena del bicchiere: «Il governo si è compattato, sono usciti in mia difesa Salvini, Tajani, tutta la Lega, Forza Italia, Noi moderati e persino Renzi, che di solito ce ne fa di tutti i colori». Si sente sostenuta da FdI? «Sono tranquilla, conosco la vicenda nel merito e so che non mi porterà a una condanna. È un processo da imprenditrice, non ha rilevanza politica».
Meloni però tace. E nell’attesa la ministra, sommersa dalle grida delle opposizioni, prova a resistere. La mozione di sfiducia? «Che la facessero pure, non mi preoccupa. Sono già andata in aula due volte». Le accuse di Conte e Schlein, che invocano le sue dimissioni e rimproverano a Meloni di usare «due pesi e due misure», prova a farsele scivolare addosso e però un sassolino lo scaglia ricordando che «la presidente della Sardegna Alessandra Todde sta ancora al suo posto, nonostante sia stata dichiarata decaduta».
La fiducia nella magistratura, assicura Santanchè, non è mai venuta meno, nonostante presunte «stranezze» che sarebbero spuntate fuori dai fascicoli del Tribunale di Milano. «Grazie a Dio — ripete — non ho nessuna condanna, non c’è nessun fallimento, nessuna bancarotta. Vedranno i giudici, decideranno i giudici». Quanto al giudizio dei cittadini, pensa di non aver mai tradito la Costituzione: «Sono rimasta fedele al giuramento, ho sempre agito con disciplina e onore». E se in cuor suo ritiene di poter continuare a rappresentare anche all’estero la bellezza dell’Italia è perché la falsificazione di bilanci aziendali «è un reato che in tanti Paesi nemmeno c’è e perché mai mi è stata fatta un’accusa sulle mie funzioni di ministro».
Se pure la premier dovesse decidere di tenerla politicamente in piedi per giorni o settimane, il caso Santanchè è destinato a riaprirsi prestissimo. Sulla ministra del Turismo pende infatti una seconda richiesta di processo per l’ipotesi di truffa allo Stato: 126.000 euro di cassa integrazione a zero ore dei dipendenti di Visibilia in periodo Covid. Preoccupata? «Non lo sono», sospira la senatrice. I suoi avvocati hanno posto una questione di competenza territoriale e lei spera che il 27 gennaio la Cassazione decida di spostare il processo da Milano a Roma: «Se resta dov’è, potrebbe anche essere archiviato». E se dovesse approdare nella Capitale? «Tutto ricomincerebbe da capo». Ma nel frattempo, da Palazzo Chigi potrebbe arrivare una telefonata. Quella telefonata: «Ciao Daniela, sono Giorgia».
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