Separazione delle carriere, l’unità dei magistrati sullo sciopero. I dubbi tra i moderati

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Giovanni Bianconi

I 5 astenuti contro la protesta al via dell’anno giudiziario

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Cinque astensioni a fronte di ventotto voti a favore e nessuno contrario non sono il segno di divisioni o spaccature, anzi. La protesta varata dal comitato direttivo dell’Associazione nazionale magistrati contro la riforma costituzionale che ha ricevuto il primo sì in Parlamento ribadisce che le toghe di ogni tendenza politica e culturale sono compatte nell’opporsi alla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri

Le astensioni a titolo personale di 4 aderenti alla corrente più moderata, Magistratura indipendente, e di un rappresentante di ciò che resta del gruppo Autonomia e indipendenza, nascono dalla mancata condivisione di un punto: l’abbandono delle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario, il 25 gennaio, quando prenderà la parola il ministro della Giustizia o chi lo rappresenta, come più volte avvenuto oltre vent’anni fa, con Berlusconi al governo.




















































Per il resto c’è totale adesione da parte di tutti, a cominciare dallo sciopero (il primo di una serie) proclamato per il 27 febbraio. Nessun magistrato mette in dubbio che il Parlamento è sovrano e può modificare la Costituzione come crede, rispettando le regole fissate dalla Costituzione stessa, ma nessuno dubita che i magistrati abbiano il diritto di esprimere la propria opinione contraria. Ed è quello che accadrà sabato prossimo nelle sedi delle ventisei corti d’appello italiane.

Il giorno prima, venerdì 24, alla cerimonia nazionale in Cassazione a cui assisterà in prima fila il presidente della Repubblica, non accadrà nulla. Per rispetto a Sergio Mattarella, e perché negli interventi ufficiali si parlerà dei veri problemi della giustizia, legati soprattutto alla lentezza dei processi. Sui quali la separazione delle carriere non avrà alcuna incidenza. Del resto la protesta dell’Anm, associazione privata, non coinvolge minimamente il Quirinale, né ha bisogno di avalli o sconfessioni presidenziali. Diversamente da ciò che accade al Consiglio superiore della magistratura, presieduto dal capo dello Stato, che s’è già espresso in maniera netta e a larghissima maggioranza contro la riforma appena approvata dalla Camera; un parere votato da tutti i consiglieri togati tranne un astenuto, e dai due membri di diritto, il primo presidente della Cassazione Margherita Cassano e il procuratore generale Luigi Salvato.

«La separazione delle carriere non rafforza le garanzie del giusto processo ma ne mina le radici — ha spiegato nel suo intervento al plenum la presidente Cassano — e rischia di essere impropriamente interpretata come una reazione di insofferenza ai controlli di legalità riservati alla magistratura». Questo il giudizio del primo giudice d’Italia sulla riforma al centro dello scontro tra la maggioranza politica di centro-destra e i magistrati di ogni tendenza. Tra i quali alcuni aderenti a Magistratura indipendente restano in disaccordo sull’uscita dall’aula (con annessa esibizione di coccarda tricolore sulla toga ed esposizione all’esterno di cartelli con frasi a difesa della Costituzione attuale), in plateale (ma non inedito) contrasto col rappresentante del governo.

«Per me è una questione di educazione e rispetto — spiega il segretario di Mi Claudio Galoppi —, e ritengo che certe sceneggiate servano a farci passare dalla parte del torto. Sono inutili e possono rivelarsi dannose, quando invece abbiamo mille ragioni nel dichiarare la nostra intransigente contrarietà a questa riforma». Questione di galateo istituzionale, dunque.

Dentro l’Anm c’è chi pensa che sia stato proprio Galoppi, già componente del Csm e collaboratore della ministra per le Riforme Elisabetta Alberti Casellati quando era presidente del Senato, a spingere perché si abbassassero i toni anti-governativi, in virtù dei rapporti politici suoi e della sua corrente con l’esecutivo, a cominciare da quelli coi magistrati arruolati dalla premier Giorgia Meloni: il sottosegretario a palazzo Chigi Alfredo Mantovano e il ministro della Giustizia Carlo Nordio; il quale ha scelto quasi tutti i magistrati che collaborano con lui proprio nelle file di Mi.

«Sono illazioni infondate — replica Galoppi —, noi siamo liberali ed esercitiamo libertà di pensiero e azione. Se una parte di noi ritiene che sia più utile scioperare anziché alzare un cartello, e mantenere tratti urbani anche nel dissenso, chi non è d’accordo deve farsene una ragione». Fatto sta che altri appartenenti a Mi, a partire dal segretario dell’Anm Salvatore Casciaro, hanno aderito senza riserve a tutte le decisioni prese. Forse anche in considerazione di una singolare coincidenza: il giorno dopo l’inaugurazione dell’anno giudiziario si apriranno i seggi per l’elezione del nuovo comitato direttivo dell’Associazione, e Mi confida in un buon risultato per rivendicare una presidenza che non riesce a esprimere da oltre un decennio. Difficile ottenerla smarcandosi troppo da una protesta che, nelle sue motivazioni, continua a tenere uniti i magistrati italiani.

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