Sull’accesso agli atti del procedimento disciplinare da parte del segnalante

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IN POCHE PAROLE …

La qualità di autore di un esposto, che abbia dato luogo a un procedimento disciplinare, è circostanza idonea a radicare nell’autore la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante che, ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 241, legittima all’accesso nei confronti degli atti del procedimento disciplinare che da quell’esposto ha tratto origine.

La legittimazione all’accesso discende quindi dalla qualità di autore dell’esposto e dalla concomitante circostanza di aver dato corso, per i medesimi fatti denunciati, a un giudizio civile.

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Consiglio di Stato, sez. III, sent. n. 149 del 10 gennaio 2025 – Presidente De Nictolis, relatore Scarpato

Il caso

Un professionista, dalla cui segnalazione era scaturito un procedimento disciplinare nei confronti di altro appartenente alla categoria, domanda di avere copia del provvedimento conclusivo del procedimento per adire eventualmente il giudice civile al fine del risarcimento dei danni.

In primo grado, il Tar gli nega l’accesso ritenendo l’interesse ostensivo sprovvisto dei presupposti della concretezza e dell’attualità.

La questione passa quindi la vaglio del Consiglio di Stato.

La sentenza

Secondo il CdS, la sentenza di prime cure non ha fatto applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., Consiglio di Stato, Ad. Plen., 18 marzo 2021, n. 4, e 25 settembre 2020, nn. 19, 20 e 21) in base al quale l’ostensione del documento deve passare attraverso un rigoroso vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale controversa, non essendo sufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando.

Nel bilanciamento tra diritto all’accesso difensivo del richiedente, e tutela della riservatezza del controinteressato, quando non vengono in rilievo dati sensibili, “supersensibili” o giudiziari (come nel caso degli atti di un procedimento disciplinare, che non possono essere configurati come tali), non trova applicazione né il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari), né il criterio dell’indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cc.dd. “supersensibili”), ma il criterio generale della “necessità” ai fini della “cura” e della “difesa” di un proprio interesse giuridico, ritenuto prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso documentale di tipo difensivo (Cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 29 gennaio 2021, n. 884).

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Il collegamento tra la situazione legittimante e la documentazione richiesta impone un’attenta analisi della motivazione che la pubblica amministrazione adotta nel provvedimento con cui accoglie o, viceversa, respinge l’istanza di accesso.

Soltanto attraverso l’esame di questa motivazione è possibile avere evidenza del suddetto collegamento e comparare l’esigenza di difesa con l’interesse alla riservatezza, con l’importante precisazione che, né la pubblica amministrazione detentrice del documento, né il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso, devono svolgere alcuna ultronea valutazione sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato o instaurando, poiché un simile apprezzamento compete solo all’autorità giudiziaria investita della questione.

Rispetto al caso oggetto del giudizio, il CdS osserva che la richiesta di accesso, motivata dall’esigenza di “vedersi riconosciuti i diritti civili connessi all’eventuale accertamento del reato contestato”, si inquadra in un contesto fattuale di reciproci esposti a cui è seguita l’apertura di un procedimento penale.

Il soggetto segnalante l’illecito ha chiesto di accedere al provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare in qualità di persona offesa nel procedimento penale.

L’accesso va pertanto consentito essendo evidente il nesso di strumentalità che lega l’istanza di accesso con la tutela della posizione giuridica soggettiva dell’istante, nesso immanente nella qualità di autore dell’esposto nei confronti del controinteressato e di persona offesa nel procedimento penale relativo ai medesimi fatti.

Il giudice di primo grado, nel ritenere la domanda priva di un’adeguata indicazione dello specifico interesse all’ostensione della documentazione, ha impropriamente esteso il proprio sindacato alla potenziale utilità dell’atto ai fini dell’istaurazione di una futura ed incerta azione civile, ovvero alla sua rilevanza nel procedimento penale in corso.

Di contro, il Tar avrebbe dovuto mantenere il proprio sindacato nei limiti della verifica sulla sussistenza dell’interesse, potendo dichiarare la domanda infondata solo in caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990.

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A questo va aggiunto che la giurisprudenza amministrativa si è più volte occupata della questione relativa alla legittimazione e all’interesse dell’autore di un esposto a prendere visione degli atti e dei provvedimenti attinenti ad un procedimento disciplinare, statuendo che “la qualità di autore di un esposto, che abbia dato luogo a un procedimento disciplinare, è circostanza idonea, unitamente ad altri elementi, a radicare nell’autore la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante che, ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 241, legittima all’accesso nei confronti degli atti del procedimento disciplinare che da quell’esposto ha tratto origine. Più in particolare, la legittimazione all’accesso in capo all’appellante discende, nel caso in esame, dalla qualità di autore dell’esposto che ha dato origine al procedimento disciplinare e dalla concomitante circostanza che lo stesso appellante ha dato corso, per i medesimi fatti denunciati nella sede disciplinare, a un giudizio civile” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 20 aprile 2006, n. 7; Consiglio di Stato, Sez. III, 27 gennaio 2021, n. 884).

Per quanto sopra il Consiglio di Stato accoglie l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

La redazione



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