Papa Francesco da Fazio condanna le armi che alimentano le guerre e i respingimenti: “far pagare ai poveri disgraziati che non hanno nulla, il conto dello squilibrio, non va!”

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“La guerra non è inevitabile. I negoziati sono tanto importanti. Davanti a una crisi, cercare i mediatori che facilitino i negoziati per fare una pace. Delle volte, non sempre, è una pace molto comoda per noi, ma la pace è superiore sempre alla guerra, sempre. Favorire i negoziati internazionali che ci aiutino a evitare la guerra, sempre. Perché sempre la guerra, non dimentichiamolo, è una sconfitta, che ci piaccia o non ci piaccia”. Lo ha detto Papa Francesco rispondendo a Fabio Fazio nel programma tv Che tempo che fa. Tra i tanti argomenti affrontati l’annuncio di una seconda nomina al femminile nei vertici della Santa Sede, suor Raffaella Petrini che in marso sarà la prima donna a guidare lo Stato Città del Vaticano. Ma i temi della guerra come conseguenza degli ingenti investimenti nelle armi e l’immoralità della chiusura delle frontiere sono quelli che il Papa ha affrontato con maggiore passione. “È vero il reddito che danno le fabbriche delle armi è grande. Ma dove ti porta tutto questo? Alla distruzione! E anche il mondo patisce la fame. Dobbiamo pensare a questo. La guerra sempre – sempre! è una sconfitta e dobbiamo dircelo. La guerra è una sconfitta! Guarda quello che sta succedendo in Ucraina, guarda la Palestina, Israele: come distruggono le cose. È triste!”, ha osservato il Pontefice.

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E sul fatto che la politica spesso cerchi soluzioni per respingere i migranti piuttosto che accoglierli, il Papa ha commentato: “Ci sono per esempio alcuni problemi. L’Italia in questo momento ha un’età media di 46 anni. Pensa! 46. Non fa figli. Faccia entrare i migranti! Invece, per esempio, in Albania, credo l’età media sia 23. 46 l’Italia. La Spagna di più. Deve risolvere questo problema. Se non fa i figli, fa entrare i migranti. Questa è una cosa che va risolta. Va risolta soprattutto al Sud.
Alla domanda se si è già sentito con Trump, di cui domani ci sarà l’insediamento e che ha già fatto sapere che vuole cominciare subito il suo programma di espulsione degli immigrati irregolari dagli Stati Uniti: “No. Non ci siamo sentiti. Lui è venuto una volta qui, quando era presidente l’altra volta, ma non ci siamo sentiti. Ma questo, se è vero, sarà una disgrazia, perché fa pagare ai poveri disgraziati che non hanno nulla, il conto dello squilibrio. Non va! Così non si risolvono le cose. Così non si risolvono”

Pubblichiamo il testo integrale della intervista che Papa Francesco ha rilasciato questa sera, 19 gennaio 2025, a Fabio Fazio per il programma televisivo Che tempo che fa, in onda su Nove.

Grazie per questa conversazione con noi. Prima di tutto volevo chiederle come sta il suo braccio?
Il braccio sta bene. Si muove meglio…

Perfetto! Mi fa piacere. Mi fa piacere anche cominciare questa nostra conversazione in un giorno importante, perché finalmente oggi è iniziata la tregua fra Palestina e Israele a Gaza e sono state finalmente liberate le prime tre donne ostaggio. È una bellissima notizia!
Sulla tregua io vorrei ringraziare, ringraziare tanto, i mediatori: quelle persone che sono capaci di mediare perché si risolvano le situazioni. I mediatori sono bravi. Ringrazio tanto per quello che hanno fatto. Grazie!

Santo Padre, lei stamattina all’Angelus ha auspicato ancora una volta la soluzione di due popoli e due Stati. Lei pensa che dopo questi quindici mesi così tragici, con tutto quello che è successo dal 7 ottobre con gli ostaggi e poi la tragedia di Gaza, pensa che ci sia tra le due parti questa volontà e questa possibilità di perseguire questa ipotesi?
La possibilità c’è! Credo anche che sia l’unica soluzione. La disponibilità alcuni ce l’hanno, altri no. E dobbiamo convincere, dobbiamo convincere con quella retorica mite che convince. La pace è superiore alla guerra, sempre. Sempre! Per fare la pace tante volte si perde qualcosa, ma si guadagna di più con la pace … Per la pace ci vuole coraggio!

Santo Padre, qual è il significato profondo di questo Giubileo? Lei ha più volte ribadito una esortazione: ricominciare. Ecco, che cosa vuol dire esattamente?
Parlando chiaro, la nostra vita è un continuo rincominciare. Sai, ogni giorno, si ricomincia: dopo una caduta, ci si rialza e si ricomincia; dopo un successo, si va avanti e si ricomincia. E questa è una cosa molto importante: ricominciare, che vuole dire camminare. Quando il cuore di una persona si ferma succede quello che succede all’acqua ferma: si rovina, si imputridisce. Un uomo deve camminare sempre, come l’acqua del fiume deve andare sempre.

Il Giubileo è l’occasione soprattutto per chiedere e per ottenere il perdono. E anche ciascuno di noi dovrebbe perdonare. Però perdonare non è facile e spesso, Santo Padre, non è neanche facile perdonare sé stessi…
Mi piace pensare e dire una cosa: Dio non si stanca mai di perdonare. Mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono. Dio perdona sempre, sempre! E questo mettetelo nella testa, nel cuore: Dio perdona sempre! Dobbiamo soltanto bussare alla porta. Non c’è peccato che non possa essere perdonato; non c’è. Perché Dio vuole avere tutti con sé, come figli, come fratelli fra noi. Questo dobbiamo impararlo bene.

Questo è un grande conforto che lei ci regala con queste parole. Lei ha voluto, tra l’altro, che questo Giubileo fosse il Giubileo della Speranza. Lei crede che nel mondo di oggi manchi la speranza?
Un po’, un po’. Tante volte ci viene la filosofia della Turandot: la speranza che sempre delude… No, la speranza non delude mai! La speranza è l’ancora sulla spiaggia e noi aggrappati alla corda. Sempre. La speranza non delude. È la virtù dell’andare quotidiano; è la virtù quotidiana. Io faccio questo perché spero qualcosa.

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Lei ancora una volta ha sorpreso tutti: il giorno di Santo Stefano ha aperto personalmente – lo abbiamo visto nelle immagini – una Porta Santa nel Carcere di Rebibbia. È la prima volta che accede in un carcere… E alla fine della cerimonia ha detto, rispondendo ad una domanda, che lei si è chiesto: “Perché è successo a loro e non a me? Potevo esserci io al posto loro”. E questa è una domanda che purtroppo ci facciamo poco e che dovremmo, in realtà, farci tutti quanti…
Io ho voluto fare quello perché porto sempre nel cuore i carcerati. Quando ero nell’altra diocesi ogni Giovedì Santo andavo a lavare i piedi in un carcere; lo faccio anche qui… Il primo anno come Papa, sono andato a Rebibbia a lavare i piedi, perché mi fanno tenerezza. Tutti noi abbiamo nella vita delle cadute e una caduta ti porta all’altra e poi ti può portare al delitto, a fare una cosa brutta. E se noi siamo stati salvati dobbiamo ringraziare e andare da loro, a dare conforto, ad accompagnarli nelle loro prove. I carcerati…È una delle cose che Gesù dice per entrare in Cielo: “Sono stato in carcere e mi avete visitato”. Non dimenticatevi dei carcerati. Tanti che sono fuori sono più colpevoli di loro. Non dimenticare.

Lei ha ricordato anche che il Giubileo non è venire a Roma e attraversare la Porta Santa, ma è un pellegrinaggio interiore. La Porta Santa l’abbiamo dentro di noi, ognuno di noi. Insomma, non è turismo…
È vero quello. Se tu vieni a Roma e vai alla Porta Santa come un turista, senza un senso religioso, non serve a nulla. Ma se tu vai con questa Porta Santa che hai dentro di te e che tu devi passare, tu devi convertirti. La parola è “convertirsi”, cambiare stile di vita, almeno pentirsi. Tante volte non si può cambiare ma c’è il pentimento. Questo è male, questo non va: questo cambia il cuore, lentamente. Il Giubileo è cambiare il cuore, farlo più umano, più vicino al cuore del Signore. Lasciare che il Signore ci dia lo Spirito Santo e ci cambi il cuore.

Qualche giorno fa, il 14 gennaio per l’esattezza, in tutto il mondo è uscita una sua autobiografia. Una autobiografia che si intitola “Spera”, io ce l’ho qui con me, scritta con Carlo Musso e l’editore è Mondadori. Ho letto che, in un primo tempo, lei aveva pensato di farla uscire postuma: che cosa le ha fatto cambiare idea, Santo Padre?
Negli ultimi tempi, nell’ultimo anno, sono uscite due autobiografie: una fatta da Carlo Musso, questa; e l’altra fatta da Fabio Marchese Ragona. L’altra prende alcuni momenti della mia vita: la persecuzione agli ebrei, le Torri gemelle, l’andare sulla luna… Ecco, come io ho vissuto queste cose. È autobiografica. Quella di Carlo Musso è classica, nel senso che prende dall’inizio alla fine i racconti della vita, anche alcuni più piccoli, ma che danno il senso di come sono io. Il lavoro di Carlo Musso è stato molto, molto delicato… E poi dovevano farla postuma… Non so, hanno pensato che era meglio farla cosi e io li lascio fare… Ma ambedue sono importanti!

Io vorrei dire una cosa al pubblico… Io ho avuto il piacere di leggerla e mi ha molto emozionato perché non è, Santo Padre, l’autobiografia di un Papa, ma è l’autobiografia di un uomo che è diventato Papa; di un uomo che, però, è riuscito a dare un senso profondo a tutte le azioni quotidiane, a tutto quello che gli è accaduto nella sua vita, una vita peraltro che ha avuto momenti molto difficili, della sua famiglia, la storia di emigrazione che ha conosciuto anche grandi difficoltà, un ragazzo che è andato a scuola, che ha addirittura partecipato ad una rissa; è il racconto di un ragazzo che è stato attratto dalle ragazze; che ha giocato a calcio, anche se non era fortissimo da quello che ho capito, che però andava col papà a vedere le partite del San Lorenzo e, poi, al ritorno, mangiava la pizza in una specie di rito familiare… Una autobiografia nella quale lei racconta delle barzellette. È il racconto di una famiglia che lo ha molto amato, è il racconto di un ragazzo che ha lavorato e che, ad un certo punto, ha sentito la chiamata… Ma mi ha commosso sinceramente, perché è il racconto di un Papa che conosce profondamente gli uomini e che ha camminato tutta la vita in mezzo agli uomini. E di questo la ringrazio di cuore, con tutto l’affetto che sa…
Grazie.

Ma quella rissa per che cos’era, se lo ricorda Santo Padre?
Dopo la scuola, cose da ragazzi: uno ha detto una cosa all’altro; abbiamo litigato un po’ e poi tutto finito.

Però poi è andato a trovarlo e gli ha chiesto scusa e siete diventati molto amici nel corso della vita…
Sì, si! È una cosa curiosa: lui, alla fine, si è convertito al protestantesimo; è diventato pastore. E ci siamo visti tante volte e pregato insieme. Poi è morto…

Però siete diventati amici nel frattempo… Senta, invece, siccome ho capito che è molto tifoso del San Lorenzo, nel libro dice che c’è qualcuno che la informa quotidianamente sull’andamento della sua squadra: tra poco comincia il campionato, com’è il San Lorenzo quest’anno?
Quotidianamente no. Ma ho informazioni…

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E quest’anno com’è? È forte il San Lorenzo?
Non ho chiaro come sta andando.

E allora la informeranno. Santo Padre, la sua famiglia è una famiglia di migranti, partiti dal Piemonte, come tutti sappiamo, alla volta dell’Argentina, con tutte le sofferenze e le enormi difficoltà che ha comportato. Mi piace ricordare a chi ci sta ascoltando che dall’Italia sono emigrate decine di milioni di persone nel secolo scorso: decine di milioni… Lei continuamente richiama con forza alle nostre responsabilità individuali, e anche a quelle collettive, nei confronti dei migranti in questo mondo che sembra aver dimenticato la compassione…
Quattro cose che si devono fare con il migrante: il migrante va accolto, accompagnato, promosso e integrato. È la nostra esperienza argentina, un Paese di migranti: abbiamo questa esperienza di integrazione. Da noi c’è l’italiano, lo spagnolo, il gallego e poi l’ucraino, il russo… Ma tutti integrati. Tutti integrati! È un Paese di integrazione. Se il migrante non è integrato è un problema. Deve fare la patria insieme con gli altri. Accolto, accompagnato, promosso e integrato: così si deve fare con il migrante.

Quattro passi fondamentali. Lei scrive che immigrazione e guerra sono due facce della stessa medaglia e che ai poveri di oggi non si perdona neppure la loro stessa povertà. Sono parole che mi hanno emozionato profondamente, ma temo molto vere…
Sì. Oggi la povertà è grande. Pensi una cosa: mi hanno spiegato, quelli che capiscono queste cose, che se per un anno non si fabbricassero le armi, sarebbe risolto il problema della povertà e della fame. Invece delle armi, dare da mangiare. La fame nel mondo è grande. È grande! I bambini che hanno fame sono tanti e dobbiamo pensare a questo.

Tra l’altro siamo a quasi tre anni dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, Santo Padre. Lei lo ha detto e nel libro è durissimo contro i fabbricanti di armi e contro la guerra che peraltro – lo ribadisce continuamente – è una pazzia!
È vero questo: è vero! È vero il guadagno che danno le fabbriche delle armi è grande. Ma dove ti porta tutto questo? Alla distruzione! E anche il mondo patisce la fame. Dobbiamo pensare a questo. La guerra sempre – sempre! – è una sconfitta e dobbiamo dircelo. La guerra è una sconfitta! Guarda quello che sta succedendo in Ucraina, guarda la Palestina, Israele: come distruggono le cose. È triste!

Riguardo ai migranti però, Santo Padre, sembra che la politica cerchi più che altro soluzioni per respingere più che per accogliere. Grandi dibattiti su come facciamo a tenerli lontani, non come facciamo ad accoglierli. Lei su questo è stato chiaro e molto severo …
Ci sono per esempio alcuni problemi. L’Italia in questo momento ha un’età media di 46 anni. Pensa! 46. Non fa figli. Faccia entrare i migranti! Invece, per esempio, in Albania, credo l’età media sia 23. 46 l’Italia. La Spagna di più. Deve risolvere questo problema. Se non fa i figli, fa entrare i migranti. Questa è una cosa che va risolta. Va risolta soprattutto al Sud.

È un dato oggettivo, certo. Ogni giorno tra l’altro ci sono storie terribili di naufragi, di disperazione … qualche giorno fa, il 7 gennaio, è uscito su La Stampa un articolo scritto dal cappellano della nave Mediterranea che noi abbiamo anche ospitato qui in trasmissione, don Mattia Ferrari. Ha raccontato la storia terribile di una ragazza etiope torturata in Libia e tenuta come schiava dagli aguzzini che poi mandavano i video a casa della famiglia di questa ragazza e hanno chiesto seimila euro per liberarla. Ecco, questa storia, quando l’ho letta, mi sono detto: “Beh, dovrebbe bastare questo per ridisegnare le priorità del mondo, e invece, ahimè, voltiamo pagina e andiamo avanti.
Don Mattia è bravo. È un ragazzo bravo che lavora bene. È già riuscito – credo – l’ho sentito al telefono – a pagare e a liberare quella signora. È già quasi sicuro.

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Questa è una grande notizia. Questa è una bellissima notizia.
Voglio dire questo. Don Mattia lavora e prega. E per fare questo lavoro ci vuole la preghiera. Questo è molto importante.

Parlavamo delle armi. Un anno senza armi risolverebbe la fame nel mondo. Il mondo invece illudendosi di costruire maggiore sicurezza, vuole aumentare le spese militari. Domani ci sarà l’insediamento del presidente Trump, il quale ha già fatto sapere che tra due giorni vuole cominciare il suo programma di espulsione degli immigrati irregolari dagli Stati Uniti. Volevo chiederle se vi siete già sentiti, se ne avete parlato.
No. Non ci siamo sentiti. Lui è venuto una volta qui, quando era presidente l’altra volta, ma non ci siamo sentiti. Ma questo, se è vero, sarà una disgrazia, perché fa pagare ai poveri disgraziati che non hanno nulla, il conto dello squilibrio. Non va! Così non si risolvono le cose. Così non si risolvono.

Nel libro [Spera] lei rivela di piangere spesso per le sofferenze degli altri, come se il pianto fosse una forma di preghiera – mi è sembrato -, in particolare per la guerra. Ha pubblicato una fotografia che l’ha molto colpita e che spesso lei distribuisce. È una foto di un bambino in coda a Nagasaki che tiene nello zaino il fratellino morto per le radiazioni. Lui è in coda per aspettare il momento in cui può dare sepoltura al fratellino. È una foto di Nagasaki, ma è una foto che purtroppo potrebbe essere scattata questa mattina. Non è cambiato un granché.
È così. Questo mi dice tanto. Io distribuisco quella foto. Quando scrivo una lettera, metto dentro quella, perché la gente si accorga che la guerra sempre, sempre, è una sconfitta.

Al tempo stesso lei ci invita però a resistere e a non cedere a quelli che vogliono farci credere che la guerra è inevitabile e che è inevitabile vivere contro gli altri.
Sì, non è inevitabile. I negoziati sono tanto importanti. Davanti a una crisi, anche come ho detto prima, cercare i mediatori che facilitino i negoziati per fare una pace. Delle volte, non sempre, è una pace molto comoda per noi, ma la pace è superiore sempre alla guerra, sempre. Favorire i negoziati internazionali che ci aiutino a evitare la guerra, sempre. Perché sempre la guerra, non dimentichiamolo, è una sconfitta, che ci piaccia o non ci piaccia.

Vorrei tornare al libro Santo Padre, perché si capisce che il legame della sua famiglia con l’Italia è sempre stato molto forte. La famiglia, come ho detto, arrivava dal Piemonte e dalla Liguria e questo rapporto era tenuto vivo dal cinema, con i film di Fellini e di De Sica, ma anche dalla musica. Lei dice che ha imparato a memoria O’ sole mio e che le piaceva molto Parole, parole di Mina e Zingara di Iva Zanicchi. È così?
I genitori ci hanno fatto vedere tutti i film del Dopoguerra: la Magnani, Fabrizi … tutti. Da bambini ci portavano a vedere questo. Poi, ci hanno fatto sentire attraverso la radio, in quel tempo, le canzoni di Carlo Buti, quel fascista che è andato in Argentina … Ma cantava bene. Tutte le canzoni di Carlo Buti, le canzonette italiane che noi cantavamo tra noi. Noi abbiamo avuto un’educazione italiana in questo senso. E anche con l’opera. Il sabato alle due di pomeriggio la radio statale faceva sentire l’opera. E la mamma si sedeva con noi e ci spiegava l’opera. Io ricordo una volta che nell’Otello diceva: “State attenti: adesso l’ammazza”, “Adesso fa questo, quell’altro …”. È stata una cultura musicale e cinematografica che i genitori ci hanno dato sempre.

C’è anche una sua foto che la ritrae a Carnevale in maschera nel libro …
Sì! Io sono il più grande, quello vestito da tirolese. L’altro è il mio secondo fratello… e papà dietro. È una bella foto.

Nella sua biografia parla molto anche della Provvidenza, non solo per la sua passione per Manzoni e per i Promessi Sposi, ma lei dice perché ha sentito più volte il potere della Provvidenza. Noi spesso, Santo Padre, abbiamo nei confronti della Provvidenza, un atteggiamento passivo. Per noi la Provvidenza è: “Vabbè, qualcuno ci penserà, qualcuno provvederà”. E invece che cos’è esattamente la Provvidenza? Che rapporto ha la Provvidenza con il nostro libero arbitrio?
La Provvidenza è la mano paterna di Dio che ti accompagna nella vita. Lui ci prende per mano, sempre. Noi forse non ce ne accorgiamo, ma Lui ci prende e ci porta avanti. Sempre ti porta avanti.

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E il rapporto con il libero arbitrio? Quanto noi possiamo fare di nostro rispetto alla Provvidenza?
Il libero arbitrio per me è l’onorificenza più grande che Dio ci ha dato. Dio ti insegna le cose, ma ti vuole libero. Totalmente libero.

La libertà a volte può essere un grande peso …
Un grande peso. Ma noi abbiamo la possibilità del perdono. Tu sbagli e Lui ti perdona. Lui non si stanca mai di perdonare. Ci accompagna per mano, sempre.

Nel suo libro ci sono poi delle pagine struggenti su quello che è successo in Argentina sotto la dittatura di Videla: trentamila desaparecidos, torture, violenze di ogni genere, la disperazione delle madri de Plaza de Mayo e il suo impegno per cercare di salvare quelli che ha potuto salvare correndo grandi rischi. Ci sono stati suoi amici uccisi in modo atroce. E questo racconto si ricollega a quanto dicevamo prima sulla guerra. Mentre leggevo, mi è venuto da chiederle: lei pensa che la natura umana sia buona o cattiva?
È buona. Ha la capacità di andare avanti. È buona. Dio l’ha fatta buona. La Genesi dice: “Dio vide che tutto era buono”. È buona. Pensiamo alla storia di Caino: è buona, ma libera. È capace di fare male, quando le passioni ti portano contro l’armonia. Il peccato più grande sempre è contro l’armonia, l’armonia che fa lo Spirito Santo. Caino rompe l’armonia con il fratello. La Torre di Babele rompe l’armonia fra la gente. Quando si rompe l’armonia la cosa è brutta.


Santo Padre, nel libro lei racconta una cosa che tutti avremmo voluto sapere: come è avvenuta la sua elezione al Soglio pontificio. Lei confida che mentre per la prima volta da Papa stava recandosi al balcone di San Pietro per salutare tutto il mondo, è inciampato.

È vero! È stato il primo inciampo del Papa. Sì, sono andato a salutare il cardinale Dias che era sulla sedia a rotelle e non ho visto lo scalino e sono inciampato. Il Papa “infallibile” ha cominciato con una cosa fallita: ha inciampato. È curioso!

Questo libro “Spera” è un libro anche in cui si ritrova tutto l’umorismo e lo spirito di Papa Francesco. Lei racconta anche delle barzellette nel libro. Una riguarda anche lei. La barzelletta è questa. C’è Papa Francesco che va in visita all’estero. Lo vanno a prendere con una macchina bellissima e lui chiede a un certo punto all’autista: “Mi fa guidare?” – “Non posso Santo Padre, non posso farla guidare” – “Ma io è tanto che non guido, vorrei tanto guidare per un po’ … appena, appena” – “No, no. Assolutamente non posso”. Ma Papa Francesco, lo sappiamo, per fortuna è tenace e quindi lo convince e guida. Solo che dopo pochissimo una pattuglia lo ferma. Allora il poliziotto, fa tirare giù il finestrino, lo vede, non sa cosa fare. Chiama la centrale e dice: “Io ho fermato una persona molto importante” – “E chi è? Il sindaco?” – “No, no di più, di più!” – “Ma chi è? Il Presidente della Repubblica?” – “No, no! Di più, di più!” – “Ma chi è?” – “E non lo so! So soltanto che il Papa gli fa da autista!”. È bellissima.
Le barzellette sono una cosa molto bella della vita. Una persona che non sa ridere con le barzellette gli manca qualcosa. Gli manca il senso dell’umorismo. E questo voglio sottolinearlo. Noi abbiamo bisogno di senso dell’umorismo. C’è una bella preghiera di San Thomas More dove si chiede quel senso dell’umorismo, avere quella capacità di ridere di se stesso e degli altri. Questo ti fa il cuore largo, grande. Non dimenticate: senso dell’umorismo.

Santo Padre, pochi giorni fa lei ha nominato suor Simona Brambilla come prima donna Prefetta di un Dicastero del Vaticano. Già in passato San Giovanni Paolo II aveva dedicato una Lettera importante, la Mulieris dignitatem, sul ruolo della donna nella Chiesa. Lei che ruolo si immagina per la donna nella Chiesa del futuro?
Ma anche del presente. Il lavoro delle donne nelle curie è una cosa che è andata lentamente e si è compresa bene. Adesso ne abbiamo tante. Per esempio, per scegliere i vescovi: nella Commissione ci sono tre donne che scelgono i nuovi vescovi. Nel Governatorato, la vice-governatrice, che diventerà governatrice a marzo, è una suora. Nel Dicastero per l’Economia una vice è una suora che ha due lauree. Le donne sanno fare meglio di noi. Una volta ho avuto davanti a me la Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, mamma di sette figli. E io le ho detto: “Ma signora, come fatto a risolvere questo problema, il problema del tempo?”. E lei: “Come fanno le mamme”. Le donne sono gestire meglio di noi. E come diceva quel cinico, era un’altra realtà, dal giorno del Paradiso terrestre comandano loro.

Santo Padre, c’è nel libro un passaggio che io ho trovato molto bello che fa parte del “todos, todos, todos” che lei ha tante volte ribadito. Un passaggio in cui lei ricorda la prima volta che un gruppo di transessuali è venuto in Vaticano. Dice che sono andate via commosse perché lei aveva dato loro la mano, aveva dato un bacio, insomma era stato vicino.
Vicinanza! Quella è la parola. Vicinanza a tutti. Tutti. Ma voglio ricordare questo. I peccati più gravi, sono quelli che hanno più “angelicalità”. I peccati della carne hanno meno “angelicalità”. I peccati della gola, i peccati sessuali hanno meno “angelicalità”. Invece, non prendersi cura di papà e mamma, le bugie, le truffe … questi hanno tanta “angelicalità”. Dobbiamo essere rispettosi e non mettere tutto nei peccati della carne. A me fa schifo quando alcuni nella Confessione cercano sempre quello. I peccati della carne hanno meno “angelicalità”, ma gli altri, non li dimenticare. È tanto brutto non prendersi cura di papà e mamma, tanto brutto. Hanno più “angelicalità”. Questa è la chiave per capire un peccato grave.

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È una cosa meravigliosa quella che ha detto, Papa Francesco! Tra l’altro, le azioni per un cristiano sono davvero la cartina di tornasole della propria fede; sono le azioni che contano, quello che facciamo per gli altri…
Si! E avere sempre i tre linguaggi: quello della mente, quello del cuore e quello delle mani. Pensare bene, sentire bene e fare il bene. I tre linguaggi, è molto importante…

Lei è anche chiarissimo nei confronti, anche qualche giorno fa ne ha parlato, dei ragazzi, dei bambini e degli abusi. Nella sua autobiografia degli scandali della pedofilia all’interno della Chiesa, lei dice – e guardate che è un passaggio fortissimo, proprio non c’è alcuna reticenza di Papa Francesco – “Basta! Si sta sempre dalla parte delle vittime! Denunciate. Gli abusi sessuali sono una vergogna!”. E il Papa è chiarissimo su questo punto. Posso chiederle se questa sua posizione adesso è finalmente consolidata anche all’interno della Chiesa?

Questo, si va avanti. Questa cosa che io ho ricevuto già in cammino adesso si sta consolidando bene. Grazie a Dio! Ma gli abusi sono un male molto grande. Pensa che il 40% più o meno è nella famiglia, nel quartiere. I bambini, le bambine sono sempre a rischio di essere abusati. E dobbiamo lottare su questo. Dobbiamo lottare tanto!

Grazie Papa Francesco. Tra l’altro c’è un’altra grande sfida che riguarda l’oggi: il gravissimo disagio che cresce fra i giovani. Una volta ne abbiamo parlato qui con la fondatrice di Nuovi Orizzonti, Chiara Amirante, e ci ha dato alcuni dati tremendi: il 50 % dei ragazzi subisce bullismo; c’è stato un aumento del 75 % dei suicidi; il 20 % soffre di salute mentale; e stanno aumentando le dipendenze. Ecco, secondo lei, ci sono risposte concrete che si possono dare a questo disagio, che soprattutto cresce fra i giovani, nella nostra società?
Ce ne sono, ce ne sono. Ci sono risposte e la prima di tutte è essere vicino e accompagnare. Essere vicino e accompagnare. I giovani hanno forza, possono reagire bene. Dobbiamo essere vicini e accompagnare. Non dimenticare questo: la vicinanza e andare per mano per il cammino della vita.

Volevo tornare, prima di salutarla, al Giubileo Santo Padre. Se dico bene: nel Vangelo, Gesù menziona la bestemmia contro lo Spirito Santo come l’unico peccato che non sarà perdonato. Ecco, per lei c’è un peccato imperdonabile?
No! E Gesù dice questo per far capire come è una cosa brutta, la bestemmia contro lo Spirito. Ma se tu, dopo aver bestemmiato contro lo Spirito, chiedi perdono al Signore, il Signore perdona sempre. Ma è il modo di dire che la bestemmia contro lo Spirito è l’apostasia forse più grande, più grande che ci può accadere. E dobbiamo custodire lo Spirito. Una parola che viene nei primi secoli: custodire lo Spirito che è dentro di noi. È lo Spirito Santo che ci porta avanti.

Santo Padre, ancora una cosa le volevo chiedere: fra qualche giorno – il 27 di gennaio – sarà la giornata della memoria; si ricorderanno gli ottant’anni dalla liberazione di Auschwitz, per l’appunto, e tutto il mondo ricorderà la più grande tragedia di sempre. Posso chiederle qual è il suo sentimento a questo proposito?
Un sentimento di pietà e di vergogna: pietà, perché dobbiamo aprirci a quel dramma; e vergogna, perché noi uomini siamo stati capaci di fare quello. Io ricordo quando sono andato ad Auschwitz: mi sono seduto, prima di entrare, davanti alla forca dove sono stati assassinati tanti, tanti, tanti… E ho guardato quella forca: cosa ha fatto… E poi quando tu entri lì, quelle parole “Arbeit macht frei”: “Arbeit macht frei”… Ma che lavoro? Il lavoro lì dentro, di schiavi? Poi ho visitato alcune celle, ho pregato. E ho visto alcuni filmati del tempo, su come uccidevano i prigionieri: è stata una vergogna umana! E un dolore umano… Dobbiamo sentire queste storie. E qui, a Roma, ho un rapporto con la grande signora, 92 anni, Edith Bruck, una poetessa ungherese… Brava, brava! È una brava signora che ci può dire tante cose, tante cose. E questa signora va nelle scuole, a 92 anni, a spiegare ai ragazzi quel dramma. Sarebbe bello se lei la intervistasse, la Edith Bruck…

Allora, do una notizia a tutti: la signora Bruck sarà con noi domenica prossima… è già stata invitata e viene da noi domenica prossima per ricordare proprio la Giornata della Memoria. Santo Padre, qual è la prima cosa che ha pensato quando hanno nominato lei Papa, quando si è raggiunto il quorum ed è toccato a lei? Qual è stato il suo primo pensiero?

Sono pazzi! Ma che si faccia quello che Dio vuole…

Per concludere, Santo Padre, accetti davvero il nostro abbraccio, di tutti noi, e il nostro ringraziamento. Lei chiederei, se vuole, in questo anno giubilare rivolgersi direttamente a tutti quelli che la stanno ascoltando attraverso la televisione e dire loro quello che crede…

Fratelli, sorelle, l’anno giubilare è per aprire il cuore. Non lasciate passare questa opportunità. Avanti e coraggio. E non perdere il senso dell’umorismo. Grazie!

Grazie Santo Padre! Io vi ricordo “Spera”, la biografia di Papa Francesco, e a nome di tutti: grazie per questo indimenticabile incontro, con tanto tanto affetto. Papa Francesco, grazie! Grazie, Santo Padre! Grazie di cuore.



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