La previdenza complementare – attualmente disciplinata dal D. Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 – rappresenta il secondo pilastro del sistema pensionistico, il cui scopo è proprio quello di concorrere ad assicurare al lavoratore, per il futuro, un livello adeguato di tutela pensionistica, insieme alle prestazioni garantite dal sistema pubblico di base. A tal fine la previdenza complementare è basata su un sistema di forme pensionistiche, incaricate di raccogliere il risparmio previdenziale mediante il quale – al termine della vita lavorativa – si potrà beneficiare di una pensione integrativa.
I destinatari dei fondi pensione sono:
Il finanziamento delle forme pensionistiche complementari è a carico del lavoratore destinatario della prestazione e – in caso di rapporto di lavoro dipendente – in parte anche a carico del datore di lavoro. Inoltre, i lavoratori dipendenti possono decidere di integrare i versamenti contributivi anche mediante il conferimento al Fondo del trattamento di fine rapporto (TFR).
Il TFR, disciplinato dall’art. 2120 del codice civile, costituisce un elemento della retribuzione, la cui erogazione è differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
I vantaggi di trasferire il TFR a un fondo pensione sono molteplici. Non solo aiuta ad accumulare una maggiore rendita previdenziale, facilitando l’accesso alla pensione anticipata a 64 anni con 25 anni di contributi, ma offre anche benefici fiscali e di rendimento.
Con la finalità di rendere possibile l’accesso alla pensione anticipata a 64 anni, il legislatore infatti consente – ai lavoratori che hanno iniziato a versare i contributi dal 1996 – di utilizzare la pensione complementare per raggiungere la soglia minima di pensione, pari a 3 volte l’assegno sociale.
Raggiungere importi pensionistici superiori a 1.400 euro può risultare difficile. Per questo motivo, il governo ha introdotto una misura che permette di includere nella pensione anche l’eventuale rendita derivante dalla previdenza complementare. Ma non basta più avere 20 anni di contributi all’INPS, poiché la normativa richiede almeno 25 anni di versamenti.
Si tratta di una facoltà che opera con il meccanismo del silenzio assenso: ciò sta a significare che, se non viene espressa alcuna opzione, il TFR viene automaticamente destinato al fondo pensione.
Questa opzione, invero, non è una novità recente, poiché dal 2005, con il decreto legislativo n. 252, è già stato previsto che il lavoratore possa destinare parte o tutto il TFR ai fondi pensione, anche se il meccanismo del silenzio assenso ne rende, oggi, automatica l’attuazione in assenza di scelta.
Quali sono i benefici fiscali e di rendimento?
Secondo i dati ufficiali, solo un terzo dei lavoratori ha scelto di destinare il TFR alla previdenza complementare, spesso per scetticismo o per mancanza di informazioni. Molti continuano a lasciare il TFR nell’azienda, dove, nelle imprese con meno di 50 dipendenti, rimane nel bilancio aziendale, mentre nelle aziende più grandi viene destinato alla Tesoreria INPS.
Se il TFR rimane presso l’azienda, la sua rivalutazione avviene con un tasso misto, composto da una quota fissa dell’1,5% e una quota variabile pari al 75% dell’inflazione ISTAT annuale. Tuttavia, il TFR destinato ai fondi pensione può generare rendimenti mediamente superiori, raggiungendo circa il 5% annuo.
Inoltre, gli investimenti nei fondi pensione godono di una tassazione favorevole: il 12,5% sui titoli di Stato e il 20% sugli altri tipi di investimento. Anche al momento della liquidazione, che può avvenire come rendita o come liquidazione unica, le imposte sono più basse, con una possibile riduzione fino al 9% per chi ha versato per almeno 15 anni o ha mantenuto il fondo attivo per lo stesso periodo.
In definitiva, destinare il TFR a un fondo pensione non solo aiuta a incrementare la propria pensione futura, ma offre anche vantaggi fiscali e un rendimento più elevato rispetto alla rivalutazione tradizionale.
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