Trasformare i processi in successi: la lezione di Samsung

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Nel mondo di oggi, in cui il vantaggio competitivo dipende tanto dalla maturità dei processi quanto dal prodotto, la questione è come evitare di rimanere indietro sul fronte dell’innovazione di processo.

Le barriere all’innovazione di processo

La realtà, in base alle nostre esperienze, è che per la maggior parte delle aziende l’innovazione di processo non viene messa su un piano elevato come quella di prodotto.

Ciò è dovuto a motivi storici comprensibili.

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Il primo è che le origini dei processi aziendali, basate sulla divisione in silos tra le funzioni, hanno fatto sì che l’innovazione di processo non sia mai stata considerata una grande idea.

Il secondo è che a differenza dell’ambito dei prodotti, in cui il ruolo del product manager consente di attribuire responsabilità chiare per l’innovazione, in quello dei processi l’equivalente del service management non è mai esistito finora.

Il terzo e ultimo motivo è che i ruoli esistenti incentrati sulla ownership dei processi, come il GPO (global process owner), tendono a dare la priorità alla governance degli standard invece che all’innovazione disruptive. Il risultato è che l’innovazione incrementale dei processi rappresenta una vera e propria trappola. Nello stesso tempo le aziende classificabili come native digitali sviluppano prodotti e servizi senza vincoli pregressi, il che rende le imprese tradizionali fortemente svantaggiate.

Il caso Samsung come esempio di successo

Anche in questo caso possiamo andare in cerca di idee esplorando i migliori approcci all’innovazione nel mondo dei prodotti. Approfondiremo il caso di Samsung, perché è una grande azienda che si è evoluta a tal punto dai suoi inizi molto tradizionali da essere oggi riconosciuta come una delle più innovative al mondo.

Boston Consulting Group (BCG) ha pubblicato un report sull’innovazione ogni anno a partire dal 2005, con l’elenco delle 50 aziende più innovative. L’edizione del 20211 ha compreso tutti i “soliti sospetti” – Apple, Alphabet, Amazon, Alibaba, Fast Retailing e Procter & Gamble.

In classifica c’è anche un’azienda che fu fondata nel 1938 affinché vendesse pesce essiccato, generi alimentari prodotti localmente e noodle; stiamo parlando di Samsung. Occupa il sesto posto in classifica, il che non sorprende, dato che ha conquistato addirittura la prima posizione fra le aziende tech più innovative secondo la società finanziaria Capital on Tap.

L’evoluzione di Samsung

L’evoluzione sperimentata da Samsung rispetto ai suoi umili inizi nel settore dei generi alimentari fino a diventare una conglomerata di un’ottantina di società in diversi settori, dall’abbigliamento alle spedizioni, le telecomunicazioni e naturalmente l’elettronica, è in parte dovuta alla sua strategia di innovazione. Nell’ambito dell’elettronica di consumo, Samsung ha dovuto apprendere a fondo una miriade di cose, sia a livello locale che globale, dagli approcci basati sull’innovazione chiusa a quella aperta, dal decision making su più livelli alle decisioni rapide sull’innovazione e dallo sviluppo ad hoc di capacità di innovazioni a quello sistematico.

Nascita e sviluppo di Samsung

Samsung fu fondata da Lee Byung-Chul per il commercio di alimentari. Dopo la guerra di Corea si espanse nell’ambito manifatturiero e alla fine in quello dell’elettronica. Lee Kun-Hee, figlio del fondatore, gli succedette nel 1987. Fu lui a trasformare Samsung Electronics in un leader globale e una potenza dell’innovazione.

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L’azienda detiene oggi una leadership di mercato duratura ed è un passo avanti nell’innovazione e nella progettazione in tutte le categorie merceologiche di cui si occupa, che vanno dagli smartphone ai televisori LCD e alle schede di memoria flash NAND. Per riuscirci ha dovuto raggiungere l’eccellenza nell’innovazione interna sui prodotti, imparando a identificare le innovazioni giuste, sviluppare i prodotti innovativi nel modo adeguato ed eseguendo correttamente la loro immissione sul mercato.

Strategie Samsung per l’innovazione rapida

Per prevalere a livello mondiale nel settore dell’elettronica di consumo, Samsung ha dovuto eccellere nell’identificazione di poche, ma grandi idee per l’innovazione di prodotto. Trovare l’equilibrio giusto fra i bisogni locali dei diversi mercati del pianeta e i grandi concept globali è difficile, ma non per i motivi che ci si potrebbe aspettare. Pi. che nella natura locale delle idee di innovazione, il problema pu. risiedere nella rapidità con cui si prendono le decisioni in materia di innovazione.

Samsung se ne occupò nei primi anni Novanta, impegnandosi per globalizzare e velocizzare il decision making sull’innovazione. Nel 1989 prevedeva da tre a sette step perch. un progetto fosse approvato. Ciò richiedeva all’incirca 24 giorni per superare i sette livelli di approvazione, compresa la firma finale del presidente dell’azienda. A seguito dell’ottimizzazione del processo, a partire dal 1995 sono state richieste solo tre approvazioni, con la possibilità di ottenerle tutte in un solo giorno. Le decisioni rapide sulle grandi idee hanno cambiato le regole del gioco per l’azienda. L’iniziativa fece parte della strategia iniziale di Samsung ai fini della globalizzazione, che prevedeva un decision-making ottimizzato e la focalizzazione sui mercati internazionali. Anche il template usato per le proposte progettuali era in inglese, per promuovere una gestione dei processi a livello mondiale.

Samsung dovette anche sviluppare un approccio volto a separare le persone che si occupavano di innovazione trasformativa da quelle che seguivano il core business. Per esempio era consapevole che per innovare nel design a fini competitivi avrebbe avuto bisogno di persone dotate di competenze nuove e diverse. Così trasferì il centro di progettazione da una cittadina di provincia a Seoul, per essere più vicina a un prezioso bacino di giovani professionisti del design ed esperti del settore. La separazione delle competenze, delle persone e dei fondi richiesti dall’innovazione trasformativa da quelli necessari ai fini del miglioramento costante ha dato buoni risultati all’azienda.

Dall’innovazione chiusa all’open innovation

Giù dalle sue prime fasi di vita Samsung Electronics capì i limiti del modello basato sull’innovazione chiusa, in cui tutte le competenze vengono sviluppate internamente. Aveva investito in precedenza nell’assunzione delle persone migliori e nella centralizzazione della sua unità di R&S. È un modello che fatica a tenersi al passo nell’ambito consumer, soggetto a rapidi cambiamenti. L’azienda cambiò modello organizzativo passando all’open innovation, così da poter interagire direttamente con clienti e fornitori. Con il passare del tempo ha preso diverse iniziative e formato vari team dedicati all’innovazione, per lo più inseriti nel contesto di Samsung Next, un team di innovazione poliedrico che si occupa di identificare nuove opportunità.

Next comprendeva più sottogruppi, tra cui NEXT Product (progettisti e ingegneri esperti in-house), Ventures (investimenti in startup), Mergers and Acquisitions (per acquisire nuove imprese) e Partnerships (per le opportunità di collaborazione commerciale con soggetti esterni). Per Samsung

Electronics questo modello di innovazione aperta non è solo un costrutto organizzativo. È penetrato nella sua cultura dell’innovazione ed è ormai profondamente integrato nella sua strategia a lungo termine.

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Investimenti nella formazione e sviluppo delle capacità

Il terzo segreto del successo di Samsung Electronics sono stati i suoi investimenti considerevoli in attività di formazione e sviluppo per contribuire a diffondere le capacità di innovazione in ogni area dell’azienda. Oltre ai corsi di formazione interna, l’azienda offre borse di studio, opportunità di formazione post-laurea e posizioni lavorative internazionali per i suoi dipendenti in 120 sedi sparse in 57 Paesi. Una conseguenza è il legame tra Samsung e alcune note università. L’azienda ha inoltre creato nuovi strumenti di knowledge management e sistemi di incentivazione del personale, per consentire la scoperta e la condivisione frequente di conoscenze.

La ricerca della leadership globale da parte di Lee Kun-Hee ha messo Samsung in condizione di cambiare in modo notevole e sistematico il suo approccio all’innovazione.

I risultati dell’approccio Samsung

I risultati? L’azienda raggiunse il primo posto nel mondo fra i produttori di schede di memoria nel 1992, e fra quelli di pannelli LCD dieci anni dopo, mentre sta ancora competendo per conquistare la leadership globale nella produzione di chip. Entro il 2012 divenne la più grande azienda produttrice di telefoni cellulari del mondo in termini di unità vendute. Superò Nokia e mantiene ancora il proprio dominio globale, creando distanza da competitor attuali come Apple e Xiaomi. Nel 2015 è arrivata a detenere più brevetti ufficiali di qualunque altra azienda, grazie all’approvazione di oltre 7.500 brevetti per modelli di utilità entro la fine di quell’anno. Il suo brand è oggi riconosciuto a livello globale, tanto da rientrare nella Top 5 delle migliori marche pubblicata da Interbrand.

Insegnamenti dall’esperienza di Samsung

Per numerosi motivi, la storia del percorso di innovazione di Samsung offre una base eccellente da cui trarre lezioni su come innovare più velocemente i processi. Noi la apprezziamo perchè suggerisce un modo per passare da un approccio tradizionale all’innovazione a uno moderno. Per riuscirci, l’azienda ha dovuto apportare modifiche intenzionali in termini di metodologia, modello organizzativo e capacità del personale. Ecco gli insegnamenti più importanti per l’innovazione di processo.

Per numerosi motivi, la storia del percorso di innovazione di Samsung offre una base eccellente da cui trarre lezioni su come innovare più velocemente i processi. Noi la apprezziamo perchè suggerisce un modo per passare da un approccio tradizionale all’innovazione a uno moderno. Per riuscirci, l’azienda ha dovuto apportare modifiche intenzionali in termini di metodologia, modello organizzativo e capacità del personale. Ecco gli insegnamenti pi. importanti per l’innovazione di processo.

L’azienda affrontò il problema della lentezza decisionale in materia di innovazione, caratteristico delle grandi imprese, riducendo i livelli previsti dal processo di approvazione. Si assicurò inoltre che le capacità di innovazione disruptive fossero separate dalle operations fondamentali, e organizzò i due ambiti in modo diverso.

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Il ruolo del pmo e delle idee disruptive

Le unità che si occupano dei processi possono trarre ottime indicazioni da questo caso. Pensiamo prima di tutto all’approccio seguito per identificare le grandi idee sull’innovazione. L’innovazione di processo tende a essere sbilanciata sulle idee minori. Di fatto la maggior parte delle aziende è consapevole che ciò rappresenta una sfida da vincere. Il motivo è che gli obiettivi delle unità tradizionali dedicate ai processi sono orientati alla riduzione dei costi e alla stabilizzazione dei livelli di servizio, due aspetti che favoriscono i piccoli miglioramenti. Per rimediare, le aziende si rivolgono al loro PMO (program management office) per ottenere più valore mediante un’attribuzione migliore delle priorità fra le varie innovazioni.

Il PMO è una struttura che offre competenze di gestione professionale di progetti e ottimizzazione di portafogli di iniziative. Tali unità ottimizzano il portafoglio accantonando le idee minori. Questa è una strategia insufficiente.

“Tagliare la coda lunga” è il motto di chi crede che la sospensione dei lavori su tutti i progetti di scarso valore (la “coda”) sblocchi la capacità di occuparsi di progetti basati su grandi idee. Il problema è che esiste una differenza tra l’accantonamento delle idee minori e lo sviluppo di grandi idee nuove.

La soppressione di quelle più piccole non porta necessariamente a generarne di grandi. I processi dei PMO eccellono nell’assegnazione e ottimizzazione delle risorse, non nell’ideazione. Sottolineiamo che i PMO offrono principi operativi importanti. Ma non confondiamoli con la generazione di idee nuove, grandi e rivoluzionarie, soprattutto in materia di innovazione dei processi.

Modelli di innovazione aperta

Abbiamo bisogno di approcci diversi alla generazione di grandi idee per innovare i processi. Quando passò dall’innovazione interna chiusa a quella aperta, Samsung creò un modello organizzativo per generare un maggior numero di grandi idee. L’approccio dell’open innovation oggi è diffuso fra le unità che si occupano dei prodotti trasversalmente ai diversi settori. Se attraverso i product manager viene abbinato all’accountability unificata, la quale garantisce che i prodotti rimangano competitivi, funziona in modo molto efficace.

Nell’ambito dell’innovazione di processo, tale esito viene ostacolato da due problemi. Il primo è il fatto che i ruoli basati sull’accountability unificata, come quello del service manager, sono nuovi; di conseguenza, a volte le responsabilità per l’innovazione sono ancora poco chiare. Il secondo problema è che nell’innovazione di processo, gli approcci aperti sono rari.

Sviluppo delle capacità per l’innovazione sistematica

Il caso di Samsung illustra le modalità di utilizzo dello sviluppo sistematico delle capacità. Quest’ambito comprende la formazione, l’ampliamento degli incarichi, le partnership con università e con fornitori esterni, tutte iniziative che contribuiscono ad approfondire all’interno dell’impresa lo sviluppo di una mentalità orientata all’innovazione e delle relative capacità. Nella maggior parte delle unità che si occupano dei processi, anche quando ha luogo un certo sviluppo interno delle capacità, di solito è legato alla gestione delle operations invece che all’innovazione.

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La realtà è che abbiamo bisogno di entrambe le cose.

Per evitare la gradualità nell’innovazione di processo occorre prendere alcune decisioni intenzionali. Come probabilmente avrete capito dagli apprendimenti che abbiamo messo in evidenza attraverso il caso di Samsung, queste scelte riguardano la metodologia di innovazione, il modello organizzativo e lo sviluppo sistematico di capacit. interne.

Le grandi innovazioni di processo emergeranno in modo sistematico se si segue un processo strutturato di innovazione per identificare le idee disruptive sui processi. Il fatto è che la maggior parte delle aziende non ha neppure una struttura dedicata all’innovazione di processo, men che meno dei team dediti all’innovazione disruptive dei processi. Questa è un’altra lezione che dobbiamo apprendere dalla “gestione dei processi come se fossero un business incentrato su un prodotto”. Per sviluppare un vantaggio competitivo permanente attraverso le operations, abbiamo bisogno di dedicare energie all’innovazione dei processi aziendali.

Oltre a ciò, abbiamo bisogno di un portafoglio equilibrato di innovazioni di processo. Un buon mix di idee su questa attività dovrebbe comprendere: (a) idee volte a migliorare le operations del quotidiano, (b) idee che consentano l’evoluzione costante dei processi e (c) idee disruptive sui processi, di quelle che cambiano le regole del gioco – chiamate idee 10X, perchè hanno il decuplo dell’impatto rispetto ai miglioramenti che si limitano al 10%.

Il modello 70-20-10

Gli esempi dei mix scelti dalle varie aziende per l’innovazione basata su questi tipi di idee abbondano: Google (oggi Alphabet) appoggia da tempo il modello 70-20-10, che essenzialmente riflette la proporzione che regola lo sfruttamento della capacità di innovazione dei dipendenti. Nello specifico:

• il 70% delle capacità delle persone viene dedicato all’operatività legata al core business;

• il 20% viene usato per i miglioramenti continui apportati al core business;

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• il 10% viene riservato a idee disruptive su nuovi business.

In un articolo pubblicato su Harvard Business Review, Bansi Nagji e Geoff Tuff hanno osservato che le aziende che allocavano il 70% delle loro attività di innovazione al core business, il 20% a iniziative adiacenti e il 10% a idee trasformative avevano una performance superiore a quella dei peer, pari a un rapporto prezzo dell’azione/utili del 10-20% in più. Ciò riguarda nello stesso modo anche il mix dell’innovazione di processo. Vorremmo dire chiaramente che il rapporto 70-20-10 non è una formula universale. Al vostro settore o alla vostra impresa potrebbe bastare un rapporto di 80-19-1, o 90-8-2 o qualunque altro.

Integrazione delle nuove competenze e incentivazione

Ciò che importa è effettuare una pianificazione intenzionale per le grandi opportunità di innovazione disruptive dei processi, separata da quella relativa alle iniziative di miglioramento o a quelle incentrate sul core business.

Questo punto prevede due parti. La prima riguarda l’utilizzo di un modello basato sull’innovazione aperta. Il termine open innovation è riferito alla collaborazione fra imprese, individui ed enti esterni, orientata all’innovazione accompagnata dalla condivisione di rischi e benefici. Questo modello ha avuto un successo comprovato anche nell’ambito dell’innovazione di processo. L’innovazione aperta sembra un approccio logico in quest’area, specialmente per le grandi idee. I fornitori di tecnologie preferirebbero innovare interagendo con clienti (nel loro caso aziende) e utenti reali. I clienti godrebbero dell’accesso anticipato a prodotti innovativi a fronte di costi e rischi inferiori. Non hanno bisogno di detenere la proprietà intellettuale di un’innovazione per trarre benefici dal suo utilizzo.

Importanza dell’accountability unificata

La seconda parte prevede l’introduzione dell’accountability unificata per raggiungere gli esiti desiderati. I modelli basati sull’open innovation possono essere rischiosi se non vengono attribuite responsabilità chiare in relazione ai risultati. La cosa migliore è che siano stabilite dai service manager, che, come ricorderete, equivalgono ai product manager nel contesto della gestione dei processi.

Le unità che si occupano dei processi in genere hanno un solido background di competenze analitiche e operative. Questa base spesso viene rafforzata mediante sistemi di incentivazione per accrescere l’affidabilità dei processi e ridurre i costi. Per ottenere un miglioramento complessivo dei processi, dobbiamo integrare questi elementi attraverso lo sviluppo di capacità di innovazione; abbiamo bisogno di nuove competenze, nuovi talenti e incentivi.

Vanno introdotte pratiche di identificazione e sviluppo dei talenti nell’ambito dell’innovazione.

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Vanno sviluppate capacità aggiuntive, legate sia all’emisfero sinistro del cervello che al destro.

Esempio del “20% del tempo” di Google

Forse però il punto più importante è che devono esserci dei sistemi di incentivazione che creino nell’azienda un clima ricettivo verso le nuove idee. La creazione di questi sistemi e la promozione di una cultura che incoraggi a pensare in grande danno sempre buoni frutti. Nel mondo del business esistono molteidee relative a programmi di intrapreneurship, finalizzati a diffondere nelle imprese una mentalità imprenditoriale. Un esempio noto riguarda la filosofia manageriale di Google (Alphabet) del “20% del tempo”.

Promuovere l’innovazione di processo

L’idea è semplice: incoraggiare ogni dipendente a occuparsi di ciò che a suo parere darà più benefici a Google, di qualunque cosa si tratti, oltre a svolgere il lavoro a lui assegnato. Fra i progetti nati in questo 20% del tempo dei dipendenti si trovano prodotti famosi come Google News, Gmail e AdSense. L’insistenza sullo sfruttamento di questo tempo . stata discontinua nel corso degli anni, ma è l’idea di quel 20% a essere importante. Si può fornire alle persone dotate di creatività e talento un sistema per lavorare su grandi idee al di fuori dell’ambito in cui sono soggette a una supervisione formale.

Le strategie intenzionali e strutturate volte a promuovere innovazioni di processo di grande entità sono indispensabili in un mondo nel quale i processi possono generare un vantaggio competitivo pari a quello che deriva dai prodotti. Il segreto è cominciare con un’accountability chiara in relazione agli esiti delle grandi innovazioni di processo e, a partire da questa base, sviluppare metodologie, modelli organizzativi e capacità del personale.



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