Donald Trump, che oggi si insedia ufficialmente come 47esimo presidente degli Stati Uniti, dovrà fare i conti con una serie di sfide economiche di non poco conto, alcune delle quali alimentate dalle sue stesse promesse elettorali. Abbiamo provato a evidenziarne alcune, legate maggiormente all’ambito del risparmio e degli investimenti, pur nella consapevolezza di non poter essere del tutto esaustivi.
Da Wall Street al dollaro, la reazione del mercato
La risposta di Wall Street al successo di Trump alle elezioni del 5 novembre è stata all’insegna dell’entusiasmo, con rialzi generalizzati in seguito alle promesse elettorali di meno tassi e meno regole per il settore finanziario. Tuttavia, tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025 sui listini statunitensi hanno prevalso le vendite e i guadagni sono stati quasi del tutto riassorbiti. Insomma, adesso gli investitori attendono atti concreti.
Dollaro, cosa fare
Invece non si è mai fermata la corsa del dollaro, che sembra ormai proiettato verso la parità con l’euro, con ricadute importanti anche nei rapporti geopolitici (ne abbiamo parlato qui). Ma il rafforzamento del biglietto verde ha ragioni complesse. Nelle ultime settimane si sono rafforzate le convinzioni che nella seduta del 29 gennaio la Fed terrà fermi i tassi ufficiali, mentre la Bce li taglierà ancora una volta e questo differente approccio potrebbe caratterizzare tutto il primo semestre dell’anno in seguito alle differenti dinamiche dell’inflazione tra le due sponde dell’Atlantico. Proprio sul fronte valutario si gioca una grande sfida per Trump. Il fatto che tanti investitori vendano euro, renmimbi cinese e yen giapponese per comprare dollari è una dimostrazione di fiducia verso la solidità dell’economia americana, tuttavia questa dinamica rischia di annacquare i dazi. Ricordiamo che questi ultimi sono stati il cavallo di battaglia della campagna di Trump: imporre un extracosto alle merci importate, in modo da favorire i produttori made in Usa. Ma se il dollaro si rafforza, i prodotti importati diventano meno cari. Insomma, un bel dilemma.
Indipendenza della Fed alla prova
L’indipendenza della Banca centrale è da sempre un caposaldo della democrazia americana. Durante il primo mandato presidenziale di Trump ha resistito ai suoi attacchi, che si sono fatti ancora più veementi durante l’ultima campagna elettorale. Anche dopo il successo elettorale, il tycoon è tornato ad attaccare “i tassi troppo alti, che creano difficoltà alle famiglie e alle imprese”. Dai verbali dell’ultima riunione della Fed è emerso l’orientamento dei componenti della Fed a tagliare i tassi complessivamente di appena mezzo punto percentuale quest’anno. Insomma, sembra esserci poca voglia di farsi condizionare dalla politica, ma intanto nei giorni scorsi la Banca centrale Usa è uscita dall’alleanza globale per la finanza green, di fatto sposando una battaglia dello stesso Trump. E il presidente della Fed, Jerome Powell, fu nominato proprio da Trump nella sua prima presidenza.
Dall’Europa all’Asia, le possibili ricadute
La prospettiva dei dazi sull’import pesa sulle performance dei mercati finanziari europei e asiatici, anche se ai ribassi immediati per i titoli più esposti verso l’export Usa sono in parte rientrati. Sta di fatto che il prospettato peggioramento delle relazioni commerciali con la prima economia mondiale non è di certo un fatto positivo per le aziende del resto del mondo.
Criptovalute, dopo il boom, l’ora dei fatti
Per le criptovalute, il successo di Trump è stata una scarica di energia. Il Bitcoin ha iniziato a rafforzarsi a metà ottobre, quando ha iniziato ad apparire possibile un successo di Trump e rispetto ad allora è cresciuto di circa il 70%, in seguito alle promesse di ridurre le regole per il settore e di creare una riserva statale basata sulla regina delle criptovalute. Una prospettiva, quest’ultima, che comporterebbe massicci acquisti di Bitcoin da parte del Tesoro Usa, con la conseguenza di un incremento del valore. Intanto, poco prima del suo insediamento, Trump ha lanciato una criptovaluta che porta il suo nome, $Trump, scatenando una febbre d’acquisto che ha fatto salire in poche ore la sua valutazione complessiva fino a diversi miliardi di dollari.
Finora la regolamentazione in merito alle criptovalute è stata stringente sia per evitare che la speculazione crei problemi ai piccoli investitori, sia perché le stesse non sono soggette al controllo della Banca centrale, come invece avviene per il dollaro. Dunque, la crescita delle cripto rischia di limitare il potere della Fed nell’intervenire in caso di necessità. Anche su questo fronte, non sarà facile dare seguito alle promesse elettorali.
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Immagine: Pixabay
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