Gi Ateez conquistano Milano: il k-pop è una faccenda serissima

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Hallyu ci ha travolti tutti. È l’onda di cultura coreana che dalla fine degli anni Novanta investe l’Occidente: serie tv, film, musica e qualsivoglia uso e costume. Il suo arrivo, come ogni calamità che si rispetti, avviene senza preavviso. O meglio, alcuni esperti riescono a prevederlo, non somigliano però al buon Mario Giuliacci e a nessun altro meteorologo, sono molto più giovani, armati di lightsick, il bastone colorato che scuotono nervosamente ai concerti, e sanno ogni cosa dei propri idoli. A questo giro Hallyu non ci ha dato nemmeno il tempo di riprenderci dall’ultima stagione di Squid Game, e ci ha portato gli Ateez, uno dei gruppi K-pop più popolari del momento. Così, mentre alcuni di noi erano ancora alle prese con la ricetta dei biscotti al caramello e con gli incubi causati dalla bambola di un, due, tre stella, altri hanno potuto assistere allo show del gruppo all’Unipol Forum e affrontare dal vivo le temibili «Atiny», la frangia più integralista della fan base. La loro caratteristica? Urlano, tantissimo e senza cognizione di causa. Raggiungono l’apice della loro estensione vocale ogni volta che un membro del gruppo viene proiettato sui maxi schermi, perdono il senno all’inizio dello show e lo ritrovano solo all’uscita del palazzetto.

Non si può negare che il concerto degli Ateez è stato incredibile. Loro hanno debuttato nel 2018 e sono otto: Hongjoong, Seonghwa, Yunho, Yeosang, San, Mingi, Wooyoung e Jongho (riconoscerli però è un altro conto). Sono tanti, ma è la normale rotazione delle band K-pop: tutti i componenti lasciano temporaneamente il gruppo quando sono chiamati alla leva militare obbligatoria. In questo momento, per esempio, ben cinque dei sette membri dei BTS sono nell’esercito. Chi non è avvezzo al genere ha sicuramente avuto qualche difficoltà a capire la proposta musicale della band, perché fanno un po’ di tutto: rap, pop, r&b, rock e punk. Una fattore è sempre costante in ogni esibizione: si balla. Gli otto membri hanno una coreografia per tutti i brani e sono degli showmen a tutto tondo. Fanno quello che facevano i Take That e i Backstreet Boys negli anni Novanta, ma con mega scenografie, che cambiano a ogni singolo brano: ci sono quelle ambientate nei saloon, alcune sono dei giochi di luci e fuochi d’artificio, una ha persino dei tentacoli gonfiabili giganti. Gli Ateez sono bravissimi e, mentre si destreggiano tra aggeggi pirotecnici e cose mostruose colorate, recitano la parte dei sex symbol: ammiccano alle fan, mandano baci in camera e sculettano.

Il livello di fanatismo intorno alla band è incommensurabile. Le «Atiny» non si limitano a seguirli in concerto, al forum la quasi totalità del pubblico è italiana, si informano sui loro idoli sui social che le case discografiche coreane hanno creato appositamente. La più famosa è Weverse ed è quella in cui ci sono i BTS e i Seventeen, tra i gruppi più in voga nel panorama k-pop, ma anche artisti che non appartengono direttamente al genere, come Ariana Grande e Kid Laroi che appaiono per via delle loro collaborazioni, ormai sempre più frequenti tra Occidente e Corea del Sud.

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Tra le ultime c’è anche quella recente di Bruno Mars con Rosé, star delle Blackpink con il tormentone APT. Su questi social è possibile interagire con gli artisti, mandare messaggi ed essere informati su ogni loro attività. Sono le stesse piattaforme a generare un rapporto quasi morboso con i cantanti, la chiamata alla leva militare è uno dei motivi per cui le fan tendono a empatizzare così tanto con i loro idoli. Nel caso degli Ateez le piattaforme sono Toqtoq dove fanno dirette live, e Fromm, dov’è possibile contattarli in chat.

Le case discografiche sudcoreane costruiscono le band «a tavolino», istruiscono i membri in accademie in cui migliorano le loro abilità in canto, e li dipingono come ragazzi perfetti. Non sempre l’immagine proposta coincide con la realtà, nel 2019 alcune star vennero coinvolte nello scandalo sessuale Burning Sun, e l’industria k-pop ne risentì parecchio. Altri finiscono al centro dell’attenzione mediatica per reati che in altri paesi sarebbero di poco conto, come l’ex cantante dei Big Bang, T.O.P., che è stato condannato a dieci mesi di carcere per l’uso di olio di cannabis: lo conosciamo tutti perché è il Thanatos di Squid Game 2, il concorrente rapper.

Scandali a parte, gli Ateez sono grandi performer e al Forum lo hanno dimostrato. Certo, deve piacere il genere. Funziona un po’ come la religione per Woody Allen, è stato lui a dire: «Non ho niente contro Dio, è il suo fan club che mi spaventa». Con gli Ateez è su per giù la stessa cosa.



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