Scarcerato ed espulso l’aguzzino di Tripoli

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È stato scarcerato ieri sera, subito espulso e messo su un volo in direzione di casa sua in Libia Najeem Osema Almasri Habish, il 47enne capo della polizia giudiziaria di Tripoli arrestato a Torino domenica su mandato della Corte penale internazionale (Cpi). Su di lui pendevano accuse di crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati per lo più nel famigerato carcere di Mitiga, spesso oggetto di denunce per le torture che vengono praticate al suo interno.

LA DECISIONE, formalmente, è stata presa dalla Corte d’Appello di Roma in virtù di un cavillo procedurale. Nell’ordinanza il pg definisce l’arresto come «irrituale» perché «non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale». Nordio sarebbe stato informato lunedì dopo aver ricevuto gli atti dalla questura di Torino, e, prosegue il pg, «non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito». Così «non ricorrono le condizioni per la convalida e, conseguentemente, per una richiesta volta all’applicazione della misura cautelare. Ne deriva la immediata scarcerazione del pervenuto». Il caso è stato un vero e proprio rebus giudiziario, durato lo spazio di 48 ore: «È un carteggio complesso» è stata la posizione di via Arenula per tutta la giornata di ieri, mentre negli uffici si ragionava su come trovare una soluzione. Ieri il ministero della Giustizia aveva anche fatto uscire un comunicato in cui diceva che Nordio stava valutando se trasmettere o meno la richiesta della Cpi al procuratore generale di Roma, competente sulla base della legge 237 del 2012. L’articolo che si citava era il quarto – che riguarda le modalità di esecuzione della cooperazione giudiziaria e ne attribuisce la competenza appunto al pg della capitale – ma è stato anche soppesato il quinto, soprattutto la parte in cui si afferma che il Guardasigilli può decidere di negare ogni autorizzazione qualora dovesse ritenere che in gioco ci sono questioni attinenti alla sicurezza nazionale.

IL CASO HABISH ha messo in serio imbarazzo l’Italia: se è vero infatti che l’aguzzino di Mitiga sarebbe stato chiamato a rispondere «solo» delle sue azioni personali, o al massimo di quelle che potrebbe aver ordinato ai sottoposti, non si poteva affatto escludere che una volta finito all’Aja avrebbe fatto menzione dei possibili rapporti avuti con Roma sin dai tempi del memorandum del 2017, quando «la difesa dei confini» ancora oggi in voga veniva declinata dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti come risposta «da sinistra» alle paure dei cittadini sull’immigrazione. Alla fine la scelta della Corte d’Appello è stata di scarcerare l’uomo e rispedirlo in Libia. È la seconda volta in una settimana che l’Italia si trova a dover dare un dispiacere alla Corte dell’Aja: già giovedì scorso, dopo la visita a Roma del ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar era filtrata la notizia che, nel caso di un suo viaggio italiano, nessuno avrebbe arrestato il premier Benjamin Netanyahu, sebbene anche su di lui pendano accuse di crimini di guerra e contro l’umanità. Meno calzante, invece, è il precedente dell’affaire Sala-Abedini: l’ingegnere iraniano detenuto in Italia su mandato degli Usa è stato scarcerato sulla base di un trattato bilaterale tra Roma e Washington che esiste da un quarantennio. Per Habish, il problema italiano è per lo più reputazionale: il trattato che ha dato vita alla Cpi, del resto, venne siglato a suo tempo proprio a Roma, anche se adesso non sembra più importare a nessuno.

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DELUSE le aspettative di chi aveva esultato per l’arresto del torturatore libico. L’ong Mediterranea aveva parlato di operazione possibile grazie ad «anni di denunce e testimonianze delle vittime, fatte pervenire alla Corte Penale Internazionale, che ha condotto una difficile indagine». Così invece il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni quando ha appreso la notizia della scarcerazione: «Naturalmente se questo personaggio potrà lasciare tranquillamente l’Italia sarà chiaro a tutti, alla Cpi, all’Interpol, alla comunità internazionale e ai cittadini del nostro paese, che l’attuale governo italiano, Meloni, Nordio, Piantedosi proteggono i trafficanti di esseri umani e i torturatori libici».
Restano sospesi diversi misteri sulla presenza di Habish sul territorio italiano: si sa che sabato sera era all’Allianz Stadium di Torino per assistere alla partita tra Juventus e Milan. Quando e come fosse arrivato, però, non è ancora chiaro. E probabilmente non lo sarà mai.



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