VENEZIA – Alla fine patteggeranno tutti e quattro. Accordo trovato, tra difese e Procura, per Renato Boraso e degli altri tre indagati dell’inchiesta Palude, ancora agli arresti domiciliari: gli imprenditori Fabrizio Ormenese, Francesco Gislon e Daniele Brichese.
Accusati a vario titolo di corruzione, hanno scelto la strada di questo rito alternativo che prevede l’applicazione di una pena concordata, senza entrare nel merito delle accuse, ma con lo sconto di un terzo della pena. L’entità delle pene, su cui è stato trovato l’accordo, non è ancora stata resa nota. Dovrà essere formalizzata al giudice per le indagini preliminari entro oggi, con il consenso della Procura, e dovrebbe aggirarsi tra i 2 e i 3 anni per gli imprenditori, non superare i 5 (il limite previsto dal rito) per l’ex assessore.
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TRATTATIVE SERRATE
Dopo la richiesta di rito immediato, con il processo già fissato per il prossimo 27 marzo, le difese dei quattro – rappresentate dagli avvocati Umberto Pauro, Massimo Pavan, Leonardo De Luca, Paola Bosio, Giuseppe Sacco e Luca Mandro – hanno avuto 15 giorni, in scadenza oggi, per presentare istanza di riti alternativi: patteggiamento o abbreviato. E la scelta per tutti è caduta sul primo. Sono stati giorni di trattative serrate tra i legali e i pubblici ministeri che coordinano le indagini, Federica Baccaglini e Roberto Terzo. Centrale la questione dei risarcimenti che andranno saldati prima dei patteggiamenti. In particolare del prezzo della corruzione, prevista per il corruttore, in questo caso solo l’ex assessore, a cui la Procura presenta un conto salto: oltre 700mila euro di mazzette.
Ma proprio la qualificazione giuridica di alcune imputazioni viene contestata dalle difese, per cui non ci sarebbe stata corruzione, ma il reato meno grave di traffico di influenze illecite. Ora un accordo tra difese e Procura è stato trovato e la parola passa al giudice per le indagini preliminari, con un cambio di titolare. Se tutta la fase dell’inchiesta, dalle misure cautelari alla fissazione dell’immediato, era stata gestita dal giudice Alberto Scaramuzza, ora la competenza passa alla collega Carlotta Franceschetti. Un giudice nuovo che dovrà studiarsi un corposo fascicolo, prima di decidere se applicare o meno i patteggiamenti concordati dalle parti. Scelta non scontata in casi complessi come questo.
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LE TESTIMONIANZE
Sarà un altro momento chiave di un’indagine che continua a scuotere la politica e l’opinione pubblica veneziana, anche alla luce delle testimonianze che emergono dagli atti depositati in questa fase. Conferme delle pressioni di Boraso per gli imprenditori amici, ma anche del ruolo da comandante assoluto del sindaco Luigi Brugnaro (anche lui indagato per corruzione, con i suoi due più stretti collaboratori, il direttore generale e capo di gabinetto, Morris Ceron, e il suo vice Derek Donadini) sono arrivate dall’assessore al bilancio, Michele Zuin, e dall’ex vicesindaco, Luciana Colle. Accuse più pesanti dall’ex direttore dell’Edilizia privata, Maurizio Dorigo, che ha riferito agli inquirenti dei suoi spostamenti e declassamenti a seguito di rilievi tecnici mossi, sgraditi ai vertici politici.
Ora arriva un’altra conferma di un clima difficile dall’attuale dirigente dell’Urbanistica, l’architetto Danilo Gerotto. Interrogato da pm e finanzieri ha raccontato delle «sistematiche interferenze» di Boraso, tanto che «avevamo istituito una procedura per arginarlo». «Interventi sempre ed esclusivamente nell’interesse di un privato. Boraso sosteneva e interferiva su una serie di progetti che riguardavano persone per conto delle quali agiva. In tal modo ogni suo accesso rendeva sospetta la pratica e determinava da parte nostra un surplus di attenzione. Mi accusava di rallentare le pratiche che a lui interessavano». Il dirigente ha anche confermato la gestione centralizzata di Bugnaro. «Il mio assessore è De Martin, ma il suo potere in giunta è limitata». Ha riferito di come ogni delibera dovesse essere prima approvata dal sindaco nel corso di una riunione, a cui partecipavano Gerotto, De Martin e Ceron. «Senza l’approvazione del sindaco Brugnaro nessuna delibera può accedere alla pre-giunta e quindi al Consiglio».
Il direttore dell’Urbanistica ha poi raccontato anche di una sorta di divisione di competenze per importanza: «Gli affari della zona di Favaro, Campalto, Tessera e Dese sono seguiti da Boraso in modo molto presente e a volte asfissiante. I grossi interventi edilizi, come mi si dice quello di Setten (l’imprenditore vicino a Brugnaro, impegnato nella realizzazione della torre di viale San Marco, ndr.), sono invece seguiti da Ceron». Un situazione ben nota a Ca’ Farsetti. «So che Brugnaro e tutti sapevano che Boraso interferiva in settori non di sua competenza» ha aggiunto Gerotto. Che poi prendesse soldi l’«ho appreso dalla trasmissione Report, quando ho sentito che emetteva false fatture… Mai saputo che Boraso fosse un consulente immobiliare. Lui si è presentato solo ed esclusivamente come assessore».Â
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