il paradosso (inquinante) della mobilità in Italia

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Lo rivela una ricerca delle Fs: le quattro ruote sono usate in proporzione più dai redditi medio bassi che da quelli alti. E in generale si tratta di mezzi più inquinanti, perché più convenienti. Per sostenere un settore in crisi e per l’ambiente è l’ora di puntare su veicoli “green” a basso costo 

Il recente, ed eccellente, rapporto sulla mobilità degli italiani, redatto dall’Istituto di ricerca delle Ferrovie dello Stato, esorta come sempre a potenziare i trasporti pubblici. E lo fa con molti dati, e da molti anni, osservando l’estrema difficoltà a ottenere risultati.

Emerge un fatto noto: più del 90 per cento delle famiglie ha almeno un’auto (ci sono 67 auto ogni 100 abitanti). Ma assai meno noto è il fatto che l’auto sembra essere usata in proporzione più dai redditi medio-bassi che dai redditi elevati.

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La spiegazione ha molto a che vedere con la localizzazione delle diverse categorie sociali: i redditi bassi tendono a essere espulsi dalle aree meglio servite dai trasporti pubblici, che sono quelle a più alta densità abitativa. Infatti, nelle aeree esterne ai centri maggiori è quasi impossibile fornire servizi pubblici in grado di sostituire l’automobile. Viaggerebbero semivuoti, con basse frequenze, e richiederebbero, per avere tariffe accettabili, sussidi proibitivi.

Il fenomeno è confermato dal fatto che i trasporti pubblici sono molto più usati nelle città maggiori, dove risiedono le categorie a più alto reddito.

Il paradosso è radicale: i ricchi, che tendono ad abitare in centro, hanno i migliori servizi di trasporto, e li usano molto a causa della elevata congestione. I redditi più bassi sono costretti a servirsi dell’automobile perché abitano in aree poco servite e poco servibili.

Le statistiche internazionali sono impietose: anche per le città meglio servite dai mezzi pubblici solo nelle aree centrali i tempi di spostamento sono competitivi con quelli automobilistici. Per i centri minori o le aree a bassa densità, con l’auto i tempi sono sistematicamente inferiori.

I trasporti pubblici sono in Italia pesantemente sussidiati (le tariffe coprono circa un terzo dei costi), mentre le auto sono pesantemente tassate, sia nell’acquisto che nell’uso (con le accise sulla benzina). Si può dire che i poveri sussidiano con le loro tasse i ricchi.

Ovviamente questo non è vero al 100 per cento: dei trasporti pubblici sussidiati godono anche le categorie a più basso reddito “urbanizzate”, ma sono numeri modesti. E il problema è esacerbato dalla crescente difficoltà a comprare o cambiare l’auto: mentre vent’anni fa bastavano circa 5 mensilità di uno stipendio medio, oggi ne occorrono da 7 a 10. Il fenomeno è causato dalla scarsa o nulla crescita dei redditi da lavoro, e dalla contemporanea crescita dei prezzi delle automobili. Questa crescita dipende in parte da un fenomeno “virtuoso”: crescono i vincoli alle emissioni che danneggiano la salute.

Oggi una macchina inquina un decimo di una di vent’anni fa, ma questo richiede tecnologie più sofisticate e costose. E alcuni accessori sono legati alla sicurezza, come gli airbag. Ma un’altra causa di crescita è legata ad accessori non sempre indispensabili. E gli utili della produzione di automobili si concentrano sui modelli di fascia alta, ovviamente i più accessoriati. Produrre una macchina di fascia alta costa certo di più di una utilitaria, ma il prezzo è molto più che proporzionale. La produzione di utilitarie a volte è addirittura in perdita, per soddisfare gli standard europei per le emissioni complessive dei modelli prodotti.

Dunque, i meno abbienti sono costretti a usare macchine vecchie, inquinanti, e con la benzina fortemente tassata. E si sentono anche oggetto di una qualche ostilità da parte della cultura ambientalista.
Ostilità un po’ ideologica: tra gli inquinatori, gli automobilisti sono i più “virtuosi”, pagando con le loro tasse molto di più di altri, in particolare degli agricoltori, del riscaldamento domestico, e di alcuni settori produttivi “energivori”.

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I gilet gialli, che hanno innestato in Francia moti popolari poi cavalcati dai partiti di destra, sono stati originati dalle proteste degli automobilisti “extraurbani” per l’aumento delle tasse sui carburanti, e hanno trovato anche sostenitori fuori dai confini nazionali, in particolare dalla Lega salviniana. E la mobilità delle categorie a più basso reddito ha una dimensione sociale più vasta: concerne anche il mercato del lavoro e delle abitazioni.

Più mobilità, nello spazio e nel tempo, significa poter accedere a impieghi migliori, o poter cambiare lavoro se non è soddisfacente.
Tempi ragionevoli per raggiungere il posto di lavoro sono ancora più essenziali per l’occupazione femminile, ancora molto condizionata dalla disponibilità di tempo extralavorativo. Per quello che riguarda le abitazioni, poter trovare un alloggio più conveniente ha un grande valore economico, in particolare quando anche i prezzi sono più crescenti dei salari, come succede in Italia.

Per concludere, produrre auto non inquinanti a basso costo non è solo tecnicamente possibile, ma è indispensabile per rilanciare la domanda di un settore in crisi, ed essenziale per l’ambiente.
Ed è necessario anche per la mobilità delle categorie espulse per ragioni di reddito dalle aree urbane centrali.

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