Donald Trump durante il giuramento – Reuters
L’America e il buon senso, prima di tutto. Donald Trump ha posto questi due riferimenti come bussole per il suo secondo mandato. La prima è un’agenda letteralmente espansiva per il Paese, che vuole tornare ad allargare il proprio territorio, prendendosi il Canale di Panama e colonizzando Marte; che punta a diventare ancora più prospero privilegiando la propria economia e tassando le importazioni; che mira a imporre il proprio ordine al mondo, grazie alla figura di “pacificatore” e “unificatore” cui si candida il 47° presidente degli Stati Uniti. La seconda è un programma complessivamente regressivo se lo si guarda da spettatori neutrali, di “ritorno alla normalità” per i suoi entusiasti sostenitori (almeno mezza nazione e tanti anche all’estero). Qui rientrano la militarizzazione dei confini per fermare i migranti e la revoca dello ius soli in violazione del 14° emendamento della Costituzione; la cancellazione delle politiche verdi per frenare il cambiamento climatico e il ritiro dagli accordi di Parigi; l’abolizione di tutte le politiche inclusive di genere; e l’abbandono dell’Organizzazione mondiale per la sanità, con la revoca delle sanzioni per chi non si era vaccinato contro il Covid.
Niente è una sorpresa per chi ha seguito i quattro anni di campagna elettorale del nuovo capo della Casa Bianca, divenuto nel bene e nel male una figura capace di plasmare il periodo che stiamo attraversando. Negli annunci delle prime ore dopo avere assunto la carica, come distinguere la retorica per compiacere gli elettori e mostrare che le promesse verranno mantenute dalla reale possibilità di realizzare i programmi?
Contro lo stop alla cittadinanza per nascita (che, se fosse retroattivo, renderebbe non americana persino Kamala Harris) sono già stati presentati ricorsi legali. E la battaglia sarà lunga. I rimpatri di massa (o deportazioni, ancora una volta conta il punto di vista) non sono cominciati ieri come fatto filtrare alla vigilia del giuramento. Lo smantellamento del governo centrale a partire dal Dipartimento per l’Istruzione, «facendo sì che i bambini non si vergognino più della loro storia», è un provvedimento di là da venire. Il ritorno alla pura meritocrazia – in una società già fortemente disuguale – grazie all’eliminazione delle misure a favore delle minoranze, proprio nel giorno di Martin Luther King, si scontrerà con orientamenti radicati e tante opposizioni.
Tutto questo lavoro di “sottrazione”, abrogando leggi precedenti e insistendo sull’idea di libertà di espressione e intrapresa, contro regolamentazione, burocrazia e lacci pubblici, è comunque destinato a lasciare un segno e avviare una (breve o lunga, lo capiremo) oscillazione del pendolo culturale nella direzione di distruzione creatrice capitalista e di tradizionalismo sociale. Il punto è prima comprendere (non l’ha fatto il Partito democratico) che ci si era spinti troppo, anche solo a parole, sull’altro versante, almeno per i canoni americani. E poi distinguere ciò che può essere condivisibile da ciò che appare decisamente preoccupante, perché la demonizzazione preventiva del tycoon non ha pagato.
Bastava assistere pochi giorni fa a un seminario ristretto sulle fake news nell’ambito della salute. Gli studiosi Usa, tutti rigorosamente anti-trumpiani (d’altra parte, nessun cenno alla cultura e alla scienza nel discorso al Campidoglio), non nascondevano che nelle proposte del più che controverso nuovo ministro della Sanità, RF Kennedy jr, ci sono aspetti positivi, come la lotta ai cibi ultra-processati. Pubblicamente, però, sarà difficile ascoltare queste considerazioni.
Meno ideologia e più buon senso può funzionare in alcuni ambiti, ma se vuol dire affidarsi solo alle proprie intuizioni non elaborate e a un orizzonte limitato, come sembra spesso fare Trump, il rischio di correre verso il precipizio cresce notevolmente. L’orgogliosa rivendicazione di tornare a essere i maggiori produttori e consumatori di energia fossile, di poter comprare l’auto che si vuole e di guidare il disinvestimento dalle fonti alternative (una linea anticipata dai grandi fondi finanziari già sintonizzati sul nuovo corso) non può che accelerare quei disastri che in queste ore devastano Los Angeles. E che il presidente ha attribuito unicamente alle scelte della precedente Amministrazione.
Che succederà con l’Ucraina? Come si muoverà l’America sulle crisi internazionali e umanitarie aperte, dal Sudan ad Haiti, e quelle future che scoppieranno inevitabilmente? La sospensione per 90 giorni degli aiuti non dà un buon segnale. E l’età dell’oro di cui Trump si è proclamato araldo ignorerà semplicemente le epidemie, sperando che non arrivino alle sue frontiere e riconquisterà l’armonia interna espellendo i latino-americani che fanno i lavori meno pagati? Le incognite che noi europei scorgiamo non turbano i sogni dei cittadini festanti (che forse salutano anche il ripristino della pena di morte a livello federale) e dei multimiliardari a capo delle aziende tecnologiche, in prima fila lunedì mentre il presidente giurava su due Bibbie. La preghiera multireligiosa sulla nazione non è un appoggio al leader entrante bensì una solida e sentita consuetudine in un Paese laico ma che riconosce le proprie radici.
La liberal-democrazia americana resta solida: il passaggio dei poteri è stato ordinato, malgrado i tanti timori, seppure con il messaggio sbagliato del perdono agli insorti del 6 gennaio 2021. Ed è interesse di tutti nel mondo che l’America continui a essere la “casa sulla collina”, ovvero un modello e un faro (pur con tutti i suoi limiti e difetti), non un fortino respingente o una propagatrice di tentazioni autoritarie e sovraniste. Di fronte al Donald Trump trionfante e strabordante è compito dell’Europa – e di chi in Europa può trovare più ascolto alla Casa Bianca, come la premier Giorgia Meloni – ricordarlo all’alleato necessario. Alla Ue, tuttavia, spetta la sfida di bilanciare le scelte degli Stati Uniti, intervenendo per compensare o aggiungere laddove il presunto buon senso rischia di sottrarre troppo (come sottolineato dai vescovi americani), a vantaggio solo di pochi.
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