Inchiesta Venezia, accordo con i pm: l’ex assessore Boraso verso il patteggiamento, rischia di tornare in carcere

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di
Gloria Bertasi

Corruzione, chiesto il rito alternativo da tre imprenditori e dall’ex assessore. Il sindaco Brugnaro coinvolto nel secondo filone che riguarda la vendita di palazzo Papadopoli e la trattativa sul terreno dei Pili

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Inchiesta «Palude», l’ex assessore del Comune di Venezia Renato Boraso (nella foto) e tre degli imprenditori — Fabrizio Ormenese, Francesco Gislon e Daniele Brichese che con Boraso sono ancora soggetti a misure cautelari — chiedono di patteggiare. Dal giorno della presentazione della richiesta di giudizio immediato da parte dei pubblici ministeri Roberto Terzo e Federica Baccaglini (subito accordata dal gip Alberto Scaramuzza) è partito il confronto tra avvocati e procura: l’accordo è stato raggiunto e il 22 gennaio, giorno di scadenza dei termini per appunto procedere con la richiesta dei riti alternativi, oltre alle istanze arriverà il consenso dei pm a procedere. Poi sarà da vedere se la gip Carlotta Franceschetti darà il via libera a procedere: sarà la giudice a fissare la data dell’udienza (quella del 27 marzo disposta da Scaramuzza per il giudizio abbreviato sarà annullata nel frattempo). 

I reati contestati

Ai quattro sono contestati i reati di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio (con l’aggravante della stipulazione di contratti) e per l’esercizio della funzione pubblica, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, turbativa d’asta. E in alcuni episodi la recidiva.
Per gli imprenditori coinvolti nei presunti casi di corruzione in gare pubbliche e progetti edilizi le difese (Leonardo De Luca dello studio Simonetti per Ormenese, Paola Bosio per Gislon, Luca Mandro e Giuseppe Sacco per Brichese) avrebbero concordato con i pm una condanna tra i due e i tre anni ciascuno con uno sconto, come previsto dal codice penale, di un terzo della pena. Diversa (e più complicata) la situazione di Boraso, ritenuto dai pm il «motore» sempre pronto a intervenire in appalti, procedimenti urbanistici e vendite di terreni per favorire gli «amici» in cambio di tangenti che lui avrebbe poi fatturato come consulenze attraverso le sue società: per lui la pena sarà entro i cinque anni ed essendo il «corrotto» dovrà anche restituire i soldi, calcolati in 755 mila euro. Una parte, per quanto poco consistente, è stata già sequestrata con la perquisizione e l’arresto del 16 luglio, il resto dovrà essere restituito in seno al patteggiamento, se andrà a buon fine.




















































La somma da restituire

Nelle scorse settimane, avvocato e pm si sono confrontati sull’entità della somma da versare (se dovessero essere rimborsati solo i soldi effettivamente presi come sostenuto dalla difesa o la cifra complessiva promessa anche se non interamente versata) e pareva che le distanze fossero tali che non si sarebbe riusciti ad arrivate a un accordo tra le parti. Ma alla fine sarebbe stata trovata la quadra. E se per gli imprenditori la detenzione sarà evitata, per l’ex assessore, se sarà confermato che la pena supererà i quattro anni, non sarà possibile. In un altro caso di corruzione, quello che ha travolto il Comune di Santa Maria di Sala, l’ex sindaco Nicola Fragomeni, con un patteggiamento appunto di quattro anni, è tornato in carcere (in un secondo momento per motivi di salute gli sono stati accordati i domiciliari).

I filoni dell’inchiesta

L’inchiesta «Palude» è divisa in due filoni. Da un lato ci sono gli episodi di corruzione, contestati a Boraso e ai suoi «amici», che sono al centro della richiesta di giudizio e immediato e dei patteggiamenti, dall’altro c’è l’alienazione di Palazzo Papadopoli a un prezzo, per la procura, ribassato (da 14 a 10,8 milioni) per favorire l’acquirente — il magnate di Singapore Ching Chiat Kwong — e le trattative per la vendita dei terreni di Porto Marghera, i cosiddetti Pili, di proprietà del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. E per cui sono indagati il primo cittadino, i suoi «fedelissimi» Morris Ceron (direttore generale del Comune e capo di gabinetto) e Derek Donadini (vice capo di gabinetto) insieme a Ching e al suo collaboratore Luis Lotti. Boraso sarebbe, per la procura, coinvolto anche in questa parte di «Palude» (gli si contestano 73 mila euro ricevuti per Papadopoli dal «grande accusatore» Claudio Vanin dal cui esposto è partita l’inchiesta) che complessivamente vede iscritte nel registro degli indagati trentatré persone e quattordici aziende. Al di là dei patteggiamenti, tutta l’inchiesta per fine mese sarà chiusa.

22 gennaio 2025

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