Almasri arrestato e liberato, così l’Italia sterilizza i mandati di cattura dell’Aja. L’aereo già in volo mentre Nordio “valutava” le carte

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Com’è possibile che un uomo ricercato dalla Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja per crimini di guerra, violenze e stupri sia liberato e immediatamente “espulso” a bordo di un jet dei servizi italiani? Per la competente Corte d’Appello di Roma, l’arresto del generale di brigata Njeem Osama Elmasry, domenica a Torino, era “irrituale”, eseguito con un vizio di forma che lo rende nullo. Per questo il capo della polizia giudiziaria libica, responsabile di famigerati centri di detenzione a Tripoli, è stato rilasciato. Ma oltre a mettere in dubbio la reale possibilità di arrestare simili ricercati, la conclusione della Corte non può chiarire l’intera vicenda, compreso e soprattutto il comportamento del ministero della Giustizia e l’espulsione firmata dal Viminale ed eseguita in tempi record grazie a un volo di Stato.

Già a Torino sabato 18 gennaio, apparentemente per vedere il match Juventus-Milan, Almasri sarebbe arrivato in Italia con un auto noleggiata in Germania che avrebbe voluto riconsegnare a Fiumicino. Ma lo stesso giorno, la Corte penale spicca il mandato d’arresto e avvisa del suo arrivo in Italia. L’arresto viene eseguito l’indomani, domenica 19, dalla Digos di Torino, dopo che l’Interpol ha confermato il mandato di cattura. Elmasry viene portato nel carcere torinese delle Vallette e la polizia comunica all’autorità giudiziaria la richiesta di convalida dell’arresto. “La medesima comunicazione veniva trasmessa il 19.1.2025 al Ministero della Giustizia”, scriverà poi la Corte d’appello. Se non prima, domenica al più tardi chi doveva sapere, ha saputo. Lo Statuto della Corte Penale prevede che lo Stato che riceve la richiesta di arresto “prende immediatamente provvedimenti per fare arrestare la persona“. Ma secondo la Corte d’Appello di Roma, la legge italiana che attua lo Statuto impedisce che a prendere l’iniziativa sia la polizia. E infatti, nell’ordinanda di martedì 21, scriverà che la legge 237/2012 prevede la ricezione degli atti da parte del Ministro della Giustizia (art. 2), che deve poi trasmetterli alla procura generale presso la corte d’appello di Roma (art. 11), che chiede alla stessa corte l’applicazione della misura cautelare. Solo a quel punto, se deciso dalla corte d’appello, ci sarà l’arresto. Altro che “immediatamente”: non viene concesso nemmeno il carattere d’urgenza, pur previsto dal codice di procedura penale.

Il timore che si finisca per emettere una misura cautelare per chi è già scappato, esiste. Per farsi venire il dubbio basta osservare quello che fa il ministero della Giustizia di Carlo Nordio dalla comunicazione dell’arresto: niente. Da domenica fino a martedì non ha niente da dire alla procura, che conferma: “Ministro interessato da questo Ufficio in data 20 gennaio (lunedì, ndr), immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito“. Il ministero darà segni di vita solo alle 15.55 di martedì pomeriggio, meno di tre ore prima del volo che riporterà Almasri in Libia. Lo fa con una nota in cui spiega che ha ricevuto la richiesta d’arresto della Corte Penale (fatta sabato) e che “considerato il complesso carteggio, il Ministro sta valutando la trasmissione formale della richiesta della CPI al Procuratore generale di Roma”. Ancora: altro che “immediatamente”. Ma c’è di più. Mentre Nordio valuta e non comunica con la procura, che intanto chiede alla Corte di ordinare il rilascio, un aereo era già partito alla volta di Torino. Il Falcon 900 dei servizi è partito da Roma alle 10.14 del mattino e atterrato a Torino un’ora dopo, alle 11.13. Segno che ad Almasri bisognava mettere le ali.

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Visto che il reato di tortura è presente anche in Italia, il generale libico avrebbe potuto essere arrestato un’altra volta. E se andava fatto secondo le regole ribadite dalla Corte d’Appello, allora era il caso che il ministero di Nordio, il primo della lista, si muovesse, attivando la procura per ottenere una nuova misura cautelare. Invece non si è fatto niente. Anzi, ci si è preoccupati di firmare, stavolta immediatamente, un provvedimento di “espulsione” che permettesse ad Almasri di decollare appena lasciato il carcere. Il Viminale di Matteo Piantedosi, da sempre grato ai libici, non ha mai espulso nessuno così in fretta. Perché Nordio non comunica con la procura generale? Perché non si è attivato per un nuovo arresto? Il Viminale come ha motivato l’espulsione record? Perché il Falcon 900 è decollato da Roma alle 10 del mattino? Nordio era al corrente? Perché ha dichiarato di essere impegnato a “valutare” le carte se, a quanto pare, il rimpatrio era già deciso? A queste e ad altre domande le opposizioni hanno chiesto a Giorgia Meloni di rispondere, invocando le dimissioni per il ministro Nordio. “Impensabile che Meloni e il sottosegretario Mantovano non fossero al corrente di questa vicenda”, è stato detto oggi in una conferenza stampa alla Camera. Invece sarà Piantedosi a riferire, domani alle 15 in Senato.

Perché il dubbio che il presunto torturatore e criminale di guerra sia stato sottratto alla giustizia internazionale per volontà politica è finora legittimo. Un comportamento coerente con i silenzi governativi che hanno sempre avvolto il memorandum d’intesa tra Italia e Libia voluto da Marco Minniti e rinnovato da tutti i governi. Venne firmato nel 2017 da quello di Paolo Gentiloni e dall’allora premier Fayez al-Sarraj, dopo trattative alle quali partecipò anche il famigerato Bija, boss di Zawiya divenuto comandante della guardia costiera libica nonostante le pesanti accuse internazionali e assassinato l’anno scorso a colpi di mitra. Del resto, l’accordo di Gentiloni sarebbe stato impraticabile senza la collaborazione delle milizie armate che hanno in mano il Paese dalla caduta di Gheddafi, e che Italia e Unione Europea hanno deciso di finanziare per bloccare i migranti, innescando un business che ruota proprio intorno ai centri di detenzione. Almasri appartiene alla Radaa, gruppo armato legato al Governo di unità nazionale di Tripoli che gestisce anche il carcere di Mitiga, di cui Almasri è a capo e teatro degli orrori di cui è accusato, ai danni di detenuti libici e di migranti, molti dei quali intercettati in mare dalla guardia costiera finanziata ed equipaggiata dall’Italia. Quanto sa? Probabilmente troppo, e almeno per ora non avrà modo di rivelarlo. Il jet italiano è arrivato alle 21.14 all’aeroporto di Mitiga che, dicono le testimonianze raccolte dai giudici dell’Aja, è stato realizzato anche dai detenuti di Almasri, costretti ai lavori forzati per costruire la nuova pista. Una volta a terra, Almasri è stato portato in trionfo da una folla festante (video). Sullo sfondo, il jet e gli uomini dei servizi italiani.



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