Doom spending tra i giovani: shopping compulsivo o terapeutico?

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Si chiama “Doom spending” ed è una tendenza nata negli Stati Uniti che si sta manifestando in tutti i Paesi economicamente sviluppati. Secondo uno studio di Credit Karma, multinazionale americana di finanza personale, il 27% degli americani spende con un unico obiettivo: combattere lo stress. Che lo shopping in sé abbia effetti positivi sul nostro umore, lo dicono diverse ricerche. Ma quando lo shopping può varcare il confine e diventare compulsivo? 

È una riflessione che deve toccarci, soprattutto in un mese sensibile per lo shopping, quello di gennaio, dove desideri e necessità si incontrano favoriti dai saldi di stagione e dalla comodità di eseguire acquisti con pochi e semplici gesti.

“Doom spending” e shopping compulsivo

Poiché il fenomeno è di recente analisi, in italiano non c’è una traduzione letterale di “Doom spending”, ma lo si potrebbe accostare ad un altro fenomeno, di cui più spesso abbiamo sentito parlare: “doom scrolling“, dove gli elementi in comune sono il termine “doom” (in inglese “condanna”), e il comportamento di scrollare, ossia andare su e giù sullo schermo dello smartphone o del Pc, in cerca di non si sa bene cosa.

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Il termine “Doom spending”  consiste nel fare shopping con il preciso obiettivo, spesso inconsapevole, di combattere ansia e stress.

Secondo la ricerca di Credit Karma a preoccupare di più gli americani è l’economia (60%) e come il caro vita influisca sulle loro vite. Nei giovani questa preoccupazione si acuisce e sfoga nell’ansia per la stabilità del futuro. E poiché esso pare terribilmente incerto, quel che si ha lo si spende oggi. Questo atteggiamento accomuna il 37% della cosiddetta Generazione Z e il 39% dei Millennials, ossia quella porzione di popolazione che oggi ha tra i 20 e i 45 anni e che ha più dimestichezza con le piattaforme digitali.

Questi giovani non credono nella stabilità del proprio lavoro, né nel loro futuro. Non mettono da parte niente, ma spendono molto in piccoli acquisti, alla ricerca di cose che danno sollievo nel breve termine ma non la felicità nel lungo periodo.

È da assimilare allo “shopping compulsivo”?

Analizzare le differenze tra shopping compulsivo e “Doom spending” è materia che attiene più alla sfera psicologica che all’analisi dei consumi. La Fondazione Veronesi, istituto che finanzia la ricerca e che si occupa di prevenzione della salute, pone, tuttavia, come  elemento di riconoscimento lassenza di controllo e il forte desiderio di ripetere un acquisto il prima possibile per raggiungere la stessa soddisfazione provata in precedenza.

Il sito della Fondazione cita un ampio studio di riferimento condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Bergen e pubblicato sulla rivista “Frontiers in Psychology”. Questi studiosi norvegesi hanno stilato una lista di 7 sintomi per l’autodiagnosi, che, comunque, vanno presi come mera indicazione e con l’aspirazione, da parte dell’Istituto, a divulgare più che elargire una vera e propria diagnosi, che spetta, sempre e comunque, ad uno specialista in materia e caso per caso.

La “Retail therapy”, i benefici dello shopping

Eccessi patologici a parte, non vuol dire che il piacere di fare shopping in sé sia da demonizzare. Anzi, potrebbe rivelarsi un’attività sana per il nostro benessere psicofisico.

Due ricercatori, Leonard Lee e Tim G. Bottger, hanno indagato sui benefici che lo shopping porta nella vita di tutti i giorni. Nel loro studio dal titolo “The therapeutic utility of shopping” (Il beneficio terapeutico dello shopping), essi mostrano quante siano le motivazioni psicologiche per cui le persone fanno acquisti. In fondo a queste ragioni il piacere occupa un posto importante perché appaga un bisogno la cui realizzazione  ci fa stare bene.

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Acquistiamo prodotti per la casa o per la persona perché ci dà una sensazione di controllo. Se abbiamo bisogno di attenzioni da parte di una persona cara, le compriamo un regalo perché se ne accorga. Abbiamo bisogno di sfuggire dai problemi lavorativi? Potremmo pensare bene che una giornata di shopping ci aiuti a concentrarci su noi stessi.  La stessa attività dell’”andare per vetrine” stimolerebbe i 5 sensi e aiuterebbe diminuire lo stress.

Una specie di cura dell’anima, detta “Retail therapy“, terapia dell’acquisto, che diventa attività sana e appagante solo se siamo consapevoli che sia legata ad un momento, a una circostanza, a uno stato d’animo precisi. Qualcosa di decisamente diverso dal “Doom spending“.



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