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Oggi è la giornata di Donald Trump al Forum economico mondiale di Davos e l’attesa per la prima uscita pubblica del neo-presidente è tremenda. Chi pensava che il furore della campagna elettorale si sarebbe attenuato una volta ottenuta la Casa bianca si è dovuto ricredere di fronte agli oltre 100 decreti esecutivi firmati dal tycoon nel giro di 48 ore dal suo insediamento.
L’Europa si è scoperta improvvisamente fragile dal punto di vista militare e confusa da quello strategico di fronte all’onda anomala nata dall’altro lato dell’Atlantico. Ora il rischio di una guerra commerciale all’interno del blocco uscito dalla Seconda guerra mondiale è palese e la paura per la ridefinizione degli equilibri militari a nostro sfavore è l’altra faccia di una medaglia che l’ottusa cecità di chi in questi mesi ha voluto derubricare l’elezione di Trump come un semplice cambio al vertice a Washington non ha voluto prevenire
È probabile che oggi Trump insisterà sull’aumento delle spese militari fino al 5% del Pil per i Paesi europei membri della Nato. Così come non è da escludere che il magnate dal ciuffo rosso non risparmierà una stoccata sul rapporto commerciale «impari» tra Usa e Ue. In estrema sintesi questo ragionamento si basa su un punto: gli Stati uniti importano dall’Europa molti più prodotti di quanti ne vendono, per un disavanzo pari a oltre 130 miliardi di dollari. Ergo: il Vecchio continente sta sfruttando gli statunitensi. «È il momento di invertire la rotta», dice Trump fedele al suo motto «Prima l’America», mediante nuovi dazi sulle importazioni. Ciò che non dice è che per quanto riguarda i servizi, invece, i pesi della bilancia sono invertiti e la sproporzione diventa favorevole agli Usa per oltre 100 miliardi di dollari. Dato che i flussi di denaro sono tutt’altro che univoci, e lo “sfruttamento” europeo è un tema da propaganda più che da politica economica nazionale, gli analisti si chiedono quale sia il reale obiettivo di questo terrorismo psicologico. L’ipotesi, per ora, è che i dazi siano un’arma di scambio per costringere gli stati europei a cedere su altro, nello specifico su due elementi chiave: la Nato e i combustibili fossili.
Trump nei mesi scorsi si è spinto fino a minacciare un’uscita degli Usa dalla Nato se l’Ue non avesse fatto la sua parte. Al di là della trovata elettorale, è un fatto che la nuova amministrazione di Washington vuole che l’Europa spenda di più per la Difesa e in tempi brevissimi. Se il 5% sembra un traguardo irraggiungibile per gli europei, potrebbe essere comunque un inizio di trattativa per spingerli ad aumenti drastici che permettano agli Usa di ridurre le spese per l’alleanza militare.
Del resto, l’argomento in Europa ha i suoi estimatori, come il premier polacco Tusk (Varsavia già arriva quasi al 3,5%), che ieri ha dichiarato «l’Europa si armi se vuole sopravvivere» o il capo della politica estera comunitaria Kaja Kallas: « Trump ha ragione a dire che non spendiamo abbastanza. Spendiamo miliardi per le nostre scuole, l’assistenza sanitaria e il welfare. Ma se non investiamo di più nella difesa, saremo tutti a rischio». Chi non può che essere d’accordo è Volodymyr Zelensky, che è tornato a parlare dell’eventualità di un contingente di pace pan-europeo in Ucraina – «servono circa 200mila uomini» – e ha insistito nuovamente sulla necessità di armarsi per far fronte alla minaccia russa e «a tutte le minacce esterne».
Secondo una fonte diplomatica dell’Ue citata dall’Ansa ieri, Trump starebbe anche pensando di ridurre la presenza dei suoi soldati del 20% (pari a circa 20mila uomini in meno). Inoltre, dice la stessa fonte: «per quelli che restano vorrebbe un contributo finanziario da parte dei Paesi europei perché questi soldati sono un deterrente e i costi non possono pesare solo sulle spalle dei contribuenti americani».
L’altro elemento chiave è l’acquisto di Lng made in Usa. Dall’invasione russa dell’Ucraina le importazioni di gas naturale siberiano in Europa sono calate costantemente e ora Washington sta usando le necessità energetiche di Bruxelles come nuova leva commerciale. Il nostro impegno ad acquistare più Lng statunitense potrebbe essere una moneta di scambio per evitare i dazi.
E poi c’è la guerra in Ucraina, uno dei principali crucci del neo-presidente, che ieri ha dichiarato: «Non cerco di fare male alla Russia, mi piace il popolo russo e ho sempre avuto una relazione molto buona con il presidente Putin» ma se quest’ultimo non intende «negoziare e mettere fine a questa ridicola guerra a breve», ha aggiunto, «non avrò altra scelta se non imporre nuove tasse, dazi e sanzioni su tutto quello venduto dalla Russia e dai suoi alleati negli Stati Uniti».
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