«Hello darkness my old friend», potrebbero cantare dalle parti del centrosinistra intonando “The sound of silence” – il frastuono del silenzio – di Simon&Garfunkel, e nessun titolo pare più appropriato per il duo nostrano Schlein&Conte per descrivere il vuoto di idee dopo il terrificante discorso di insediamento di Donald Trump e i suoi primi atti concreti. Oddio, Elly qualcosa ha detto esprimendo preoccupazione: si preannuncia per gli Stati Uniti una stagione di «deportazioni, cancellazione dello Ius soli, cancellazione delle politiche di genere». E ancora: «Quello che ci preoccupa è che Trump stia cercando alleati per frammentare e disgregare l’Unione europea». Tutto giusto, persino scontato (anche se “deportation” in inglese vuol dire “espulsione”, non “deportazione”). Ma perché tutto questo sia successo non si sa. E nemmeno cosa pensa di fare la sinistra dinanzi alla più pericolosa sconfitta degli ultimi decenni.
Persino l’altro duo, Fratoianni&Bonelli, sembra scomparso, eppure loro si ergono a campioni della sinistra vera, quella che se fosse egemone – dicono – magari Trump sarebbe ancora a Mar-a-Lago e non alla Casa Bianca. Macché, silenzio. E sì che la novità è bella grossa, come stanno spiegando, anche qui su Linkiesta, i commentatori più seri. C’è stato un big bang, ha scritto Ezio Mauro: «In questi Anni Venti nessuno attaccherà di nuovo frontalmente la democrazia per detronizzarla, non ce n’è bisogno: la forza propulsiva dell’innovazione tecnologica trasformata in arma politica è tale che mentre ci seduce col suo incantesimo quotidiano fa invecchiare per differenza tutto il resto, lo fa ingiallire ed esaurire come le foglie d’autunno, per deperimento organico accelerato».
Ora, dopo una disfatta si prova a ragionare. Forse il Pci esagerò quando tenne una riunione della Direzione dopo aver perso un’elezione a Castellammare di Stabia, 1978, ed è vero che – notava Francesco Cundari dopo la vittoria di Trump a novembre – «la psicanalisi della sconfitta» è un «antico rituale». E però qui c’è stata una riunione della segreteria del Partito democratico dove non risulta sia venuta fuori anche solo una “scaletta” di ragionamento, meno che mai un percorso di discussione interno ed esterno. Forse prossimamente qualcosa si dirà, in termini di analisi, ma per adesso si conferma l’impressione di una sorta di autoreferenzialità della segretaria e del suo gruppo dirigente, all’ombra di un mantra che in questa condizione appare grottesco, un mantra che recita così: in due anni siamo passati dal quattordici per cento dei sondaggi (mah!) al ventiquattro delle Europee, segno che le cose vanno bene così e non seccateci.
E se Romano Prodi fa notare, in sostanza, che con il venticinque ci fai la birra, e se i convegni di Milano e Orvieto segnalano qualche problema, pazienza: che parlino pure. Oppure, fuori dai denti: vogliono posti. Lasciateci lavorare, dunque. Mentre il mondo ha voltato pagina, il Nazareno non cambia passo né alza lo sguardo, resta chino a esaminare la pratica Vincenzo De Luca o quella di un referendum sul Jobs act destinato al fallimento.
Fuori dalle mura del Nazareno però ci si comincia a domandare dove si è sbagliato, non solo e non tanto il Partito democratico ma il progressismo mondiale, e scusate se è poco. Un’ex parlamentare cui non difettano passione e sincerità come Anna Paola Concia ha gettato il sasso nello stagno: «Con questa sinistra non si va da nessuna parte. Nemica della libertà, nemica della tecnologia, con un’idea cupa del futuro, che vuole mettere le mutande e cancellare libri, storie, scrittori, statue, ecc ecc, andando a braccetto con l’Islam. Nemica delle donne. Una sinistra senza un progetto di società, che ha paura di tutto e vuole regolare tutto».
Dalla parte opposta si sostiene l’esatto contrario, che semmai è un presunto moderatismo liberale che avrebbe infettato la sinistra ad aver aperto la strada alla tecno-destra: riedizione contemporanea della feroce discussione di cent’anni fa se il fascismo fosse colpa dei riformisti o dei massimalisti. Semplificazioni a parte, che dice il Partito democratico? Per non parlare di Giuseppe Conte, detto “Giuseppi” proprio da Donald, il cui partito è tutto concentrato sul Machiavelli in grado di aggirare il vecchio tabù dei due mandati per rimettere in pista Roberto Fico in Campania e due indimenticabili sindache come Chiara Appendino, fresca di condanna definitiva, e Virginia Raggi, che non si sa con quale faccia abbia intenzione di ripresentarsi a Roma dopo averla affogata nella mondezza.
Di queste robe si discute nel piccolo campo, piccolo intellettualmente, diciamo in questo caso. Sulla novità più sconvolgente degli ultimi decenni che rischia di annichilire senza assalti al Campidoglio la sostanza della democrazia, la sinistra italiana intona il suo “sound of silence”.
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