Il profondo legame fra povertà educativa e povertà alimentare

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Esiste un legame profondo e preoccupante tra povertà educativa e povertà alimentare, entrambe sintomi di una scarsità sia quantitativa che qualitativa. La povertà alimentare implica l’impossibilità di accedere a cibo sicuro, nutriente e sufficiente per garantire il benessere.

L’intervista

In occasione della Giornata Internazionale dell’Educazione, Interris.it ha intervistato Barbara Nappini, presidente di Slow Food, movimento che promuove il diritto al piacere e a un cibo sano per tutti.

Presidente, che legame c’è tra povertà educativa e povertà alimentare?

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“In Italia, i disturbi alimentari sono la seconda causa di morte tra gli adolescenti, subito dopo gli incidenti stradali. Questo fenomeno è in aumento, soprattutto tra i più giovani: oggi sono 3,2 milioni i ragazzi tra i 12 e i 17 anni con problemi alimentari, e il numero è raddoppiato tra i bambini di 6-12 anni in soli sei anni. Molti giovani nel mondo occidentale consumano alimenti iperprocessati, ricchi di zuccheri e grassi, ma poveri di nutrienti. Questi prodotti, venduti a basso prezzo, danneggiano l’agricoltura e promuovono l’idea che il cibo debba costare poco, ma in realtà hanno un costo altissimo per la salute e l’ambiente. La povertà educativa, ovvero la mancanza di consapevolezza su come l’alimentazione ci influenzi, insieme alla crescente difficoltà economica, è terreno fertile per la povertà alimentare. Per contrastarla, è fondamentale riscoprire il valore del cibo e lavorare sull’educazione alimentare”.

Che ruolo gioca la scuola nella riscoperta del cibo come elemento di benessere e coesione sociale?

“Le scelte alimentari quotidiane possono diventare un potente strumento di cambiamento, ma solo se vengono accompagnate da un’educazione alimentare che aiuti i giovani a fare scelte consapevoli, che non solo migliorano il loro benessere, ma anche quello del Pianeta. L’educazione alimentare riscopre il piacere del cibo, approfondisce la conoscenza sulla sua produzione, trasformazione e distribuzione, e ci rende consapevoli delle sue implicazioni culturali, storiche, sociali e ambientali. Il cibo diventa così un mezzo per promuovere una cultura di inclusione e di dialogo”.

In alcune parti del mondo, l’educazione alimentare è già una realtà nelle scuole. Quanto è lontana l’Italia da questa prassi? E perché?

“Abbiamo lanciato un appello per l’inserimento dell’educazione alimentare nelle scuole italiane. Dove è presente, però, si concentra principalmente sugli aspetti nutrizionali, che rappresentano solo una parte di un quadro più ampio che coinvolge gastronomia e produzione agricola. Da vent’anni, con Slow Food, portiamo avanti un progetto di orti scolastici, con circa 500 orti che coinvolgono migliaia di bambini. Gli orti sono una risorsa concreta per comprendere da dove proviene il cibo e il lavoro che sta dietro alla sua produzione. Oggi c’è maggiore attenzione, ma l’educazione alimentare deve essere trattata nella sua complessità, dal seme all’uso quotidiano del cibo. Crediamo che un futuro migliore possa partire proprio dal cibo e che sia possibile cambiare il mondo con una rivoluzione gioiosa e gentile”.

Viviamo nell’epoca dello spreco alimentare. Come si educa all’uso consapevole del cibo?

“Per educare all’uso consapevole, bisogna prima comprendere il valore del cibo, che non è una merce qualsiasi, ma la base della nostra sopravvivenza e salute. È fondamentale capire l’entità dello spreco: un terzo del cibo prodotto globalmente finisce sprecato, e con questa quantità potremmo sfamare milioni di persone che soffrono la fame. Inoltre, c’è un tema culturale: ciò che costa poco viene sprecato. Siamo disposti a spendere cifre esorbitanti per prodotti industriali, ma siamo molto più sensibili al prezzo di cibi di qualità. Lo spreco è anche il risultato di un sistema economico che penalizza i piccoli produttori a favore delle grandi multinazionali. La risposta sta nella consapevolezza: conoscere il cibo che acquistiamo, approfondirne la provenienza e scegliere consapevolmente.”

Quali rischi si corrono senza le giuste basi di educazione alimentare?

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“Il rischio principale è che il cibo diventi una fonte di malattia, anziché di salute. Senza consapevolezza, non solo compromettiamo la nostra salute, ma anche il nostro ambiente e la società. Come dice Wendell Berry, ‘mangiare è un atto agricolo’: ogni volta che acquistiamo cibo, sosteniamo una filiera produttiva. Essere consapevoli della filiera che scegliamo significa sostenere pratiche agricole che fanno bene a noi e al Pianeta”.

Qual è il legame tra il cibo e la salvaguardia del Pianeta?

“Il legame è molto stretto: il sistema alimentare è responsabile di circa un terzo delle emissioni di gas serra globali. Abbiamo problemi legati alla fertilità del suolo, alla scarsità di risorse idriche e alla perdita di biodiversità, causata dalla monocoltura industriale. Le scelte sbagliate hanno portato a queste problematiche, ma la buona notizia è che possiamo cambiare direzione. L’agroecologia è la strada giusta: pratiche agricole che rispettano l’ambiente, la stabilità e l’equità sociale. È urgente adottarle, per produrre cibo buono, pulito e giusto per tutti”.



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