Almasri, la cronologia della vicenda. Gli elementi che dimostrano la volontà del governo di sottrarlo all’Aja il più in fretta possibile

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Il silenzio del governo sul capo della polizia giudiziaria di Tripoli, il generale libico noto come Almasri, ha impedito non solo la convalida del suo arresto e la consegna alla Corte penale dell’Aja, che lo accusa di crimini di guerra e contro l’umanità, ma anche di ricostruire la vicenda iniziata sabato 18 gennaio e conclusa, per ora, col rientro a casa del ricercato internazionale. Tanto che alcuni aspetti si sono chiariti solo con la nota stampa della stessa Corte penale, che nella serata di mercoledì 22 ha chiarito tempi e modi del suo operato, tali da garantire l’arresto e la successiva consegna. Così non è stato per volontà del governo Meloni, col ministero della Giustizia che ha negato la collaborazione all’Aja nonostante ad imporlo sia una legge dello Stato, “senza preavviso o consultazione con la Corte”, che infatti adesso chiede spiegazioni. Le stesse che chiedono le opposizioni e tutti coloro che hanno a cuore democrazia e legalità.

Sabato 18 gennaio, l’Italia viene informata – Sabato scorso Njeem Osama Almasri Habish si trovava in Germania, dove si è presentato ad un autonoleggio dove ha chiesto informazioni sulla possibilità di riconsegnare a Fiumicino l’auto a noleggio. In serata, a Torino per assistere al match Juventus-Milan, verrà fermato per un controllo di routine, in via Cigna, mentre è in auto con altri tre libici. Nella nota di mercoledì, la Corte scriverà che sabato “ha presentato una richiesta di arresto dell’indagato a sei Stati parte, tra cui la Repubblica italiana“. In quelle ore, personale dell’Aja ha preso contatto con un funzionario di sicurezza dell’ambasciata italiana in Olanda per comunicargli che Almasri sarebbe entrato in Italia. Il canale diplomatico è infatti uno di quelli previsti dalla legge per la comunicazione delle istanze della Corte penale. Che infatti scrive: “La richiesta della Corte è stata trasmessa attraverso i canali designati da ciascuno Stato ed è stata preceduta da consultazioni e coordinamenti preventivi con ciascuno Stato per garantire l’appropriata ricezione e successiva attuazione della richiesta della Corte”. Nel frattempo, ha richiesto a Interpol di emettere una Red Notice”. Tutto è pronto, chi deve sapere, sa.

Domenica 19, Nordio è informato dell’arresto – All’alba di domenica la Digos di Torino raggiunge Almasri nel suo albergo in piazza Massaua, lo arresta portandolo nel carcere delle Vallette e invia alla competente Corte d’Appello di Roma la richiesta di convalida dell’arresto. “La medesima comunicazione veniva trasmessa il 19.1.2025 al Ministero della Giustizia“, scriverà la Corte nella sua ordinanza. Il Guardasigilli Carlo Nordio ha il mandato dell’Aja e la richiesta della Digos, ma non si muove. Eppure la legge 237/2012 prevede che l’iniziativa spetti al ministero di Giustizia, che interloquisce con la Procura generale presso la Corte d’Appello di Roma perché chieda alla stessa Corte di applicare la misura cautelare. L’arresto rischia di non poter essere convalidato, ma Nordio tace.

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Lunedì 20, Nordio non risponde alla Procura – I funzionari tripolini chiedono l’intervento del loro governo per “un generale di brigata rigoroso e professionale”, definendo l’arresto “un incidente oltraggioso”. Le autorità libiche contattano diversi legali italiani per affiancarli al generale incarcerato a Torino. Ce n’è bisogno? Nel silenzio del ministero della Giustizia di uno Stato, l’Italia, tenuto per legge a prendere “immediatamente provvedimenti per fare arrestare la persona”, il procuratore generale manda comunicazione urgente al ministro. “Ministro interessato da questo Ufficio in data 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito“, è scritto nel parere che il procuratore invierà alla Corte d’appello l’indomani. La giustizia bussa, Nordio non risponde.

Martedì 21, il “cavillo” che libera Almasri – Martedì mattina un jet decolla da Roma e la Procura chiede la scarcerazione di Almasri. Il Falcon 900 della presidenza del Consiglio in uso ai servizi segreti parte alle 10.14 dalla Capitale e un’orda dopo è a Torino, dove attenderà per sette ore prima di decollare ancora, stavolta alla volta di Tripoli. Nel silenzio del ministero, la Procura generale scrive alla Corte d’appello e “chiede che codesta Corte dichiari la irritualità dell’arresto in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il Ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte Penale”. Sarebbe bastato che Nordio desse un segnale per sbloccar l’iter, ma non accadrà. Sulla decisione della Corte, che ordina l’immediato rilascio accogliendo la richiesta del procuratore e della difesa di Almasri, ci sono pareri discordanti. Giuristi ed ex magistrati sentiti dal Fatto concordano nel dire che un mandato della Corte penale internazionale equivale a un provvedimento giudiziario interno e quindi l’arresto non necessitava di un’autorizzazione ministeriale preventiva.

Martedì 21 ore 15.55, Nordio mente? – Nel pomeriggio, dopo quattro giorni in cui è rimasto sordo ad ogni richiamo, il ministero della Giustizia emana una nota: “È pervenuta la richiesta della Corte Penale Internazionale di arresto del cittadino libico Najeem Osema Almasri Habish. Considerato il complesso carteggio, il Ministro sta valutando la trasmissione formale della richiesta della CPI al Procuratore generale di Roma”. Appena due ore dopo, alle 18.45, il Falcon 900 decolla con Almasri a bordo. Il biglietto è un decreto di espulsione firmato dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che definisce il libico “soggetto pericoloso” e gli vieta di rientrare in Italia per i prossimi 15 anni. Stessa sorte, si viene ha sapere, per i tre compagni di viaggio, accusati di favoreggiamento ed espulsi con decreto della Questura di Torino. Insomma, la volontà di farlo uscire dall’Italia il prima possibile non può essere più evidente.

Mercoledì 22, l’Aja sbugiarda i ministri di Meloni – Il governo si aggrappa tenacemente alla versione del “cavillo”, forte dell’ordinanza della Corte d’appello. “Ci sono stati errori da parte di chi doveva parlare con il ministro Nordio. La procedura penale deve essere rispettata: se ci sono vizi nell’applicazione delle norme, i provvedimenti non possono essere applicati”. Questa la favola che raccontano, qui nelle dichiarazioni alla stampa del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. In realtà il cavillo, la “irritualità dell’arresto”, è figlio dell’inerzia del governo e di Nordio. Se avesse rispettato la legge, non saremmo qui a parlarne. A fugare ogni dubbio è la stessa Corte dell’Aja, che nella serata di mercoledì pubblica un comunicato in cui ricostruisce cronologicamente la vicenda: fin da sabato, chi doveva era stato informato e aveva gli elementi necessari. Invece, scrive l’Aja, “il 21 gennaio 2025, senza preavviso o consultazione con la Corte, Osama Elmasry Njeem sarebbe stato rilasciato e riportato in Libia. La Corte sta cercando, e non ha ancora ottenuto, una verifica da parte delle autorità sui passi che sarebbero stati compiuti”.



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