Caso Almasri, lo scontro tra Roma e L’Aia sulle procedure e sulle date. Lui in Europa dal 6 gennaio

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di
Giovanni Bianconi

Il mandato d’arresto nei confronti di Najeem Osema Almasri Habish trasmesso all’ambasciata italiana in Olanda. La scarcerazione rischia di innescare un conflitto senza precedenti

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La scarcerazione e il contestuale rimpatrio di Najeem Osema Almasri rischiano di innescare un conflitto senza precedenti tra la Corte penale internazionale e l’Italia. Cioè tra chi voleva arrestare e processare il generale libico capo della polizia giudiziaria accusato di torture, stupri e omicidi di migranti perpetrati nel suo Paese dal 2015 in avanti, e chi l’ha riaccompagnato a casa con un volo di Stato, considerandolo un «soggetto pericoloso per la sicurezza nazionale». Che per quasi due settimane, dal 6 al 19 gennaio, ha girovagato indisturbato per l’Europa, superando indenne due controlli di polizia.

Alla base della liberazione di Almasri, decisa dalla Corte d’appello di Roma su parere conforme della Procura generale resta il vizio di forma della mancata «irrinunciabile interlocuzione» con il ministro della Giustizia, vanamente interrogato dalla Procura generale per conoscerne le intenzioni.




















































Le mosse dell’Aia

In teoria la richiesta di cattura sarebbe dovuta passare per le mani del Guardasigilli prima di arrivare sulle scrivanie dei magistrati. E questo ufficialmente non è avvenuto. Ma la Corte penale internazionale che ha sede all’Aia sostiene di aver fatto tutto secondo le regole: nota verbale all’ambasciata italiana in Olanda e successiva trasmissione del mandato d’arresto composto da centinaia di pagine, perché la rappresentanza diplomatica è l’ufficio competente individuato da Roma per le comunicazioni con la Cpi. In ambasciata c’è un magistrato di collegamento che ha verosimilmente investito del caso il ministero degli Esteri, ma ciò che è accaduto in seguito non è dato sapere. Per il momento. È uno dei «misteri» da chiarire.

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Dall’Aia ribadiscono che l’Italia, ricevuti gli atti, non ha dato più segni di vita, fino alla scarcerazione del ricercato. Dopo la richiesta della Procura generale di Roma il ministro della Giustizia Carlo Nordio poteva rimuovere il cavillo giuridico che impediva la convalida dell’arresto, dando successivamente il proprio assenso, ma poteva anche chiedere chiarimenti alla Cpi. Invece il suo silenzio-rigetto è valso come un diniego al provvedimento dell’Aia. Arrivato senza ulteriori interlocuzioni. Segno di una volontà politica del governo che potrebbe generare ulteriori reazioni, poiché la Cpi si è mossa sulle denunce sollecitate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, ed è a questo organismo che la Cpi dovrà riferire sul comportamento dell’Italia. Ma a Roma, in attesa di risposte più dettagliate da fornire in seguito al Parlamento, si stanno disseminando dubbi sulla condotta della Corte internazionale e degli altri Paesi europei coinvolti.

Le tappe in Europa

All’Aia sostengono di aver avuto notizia (presumibilmente dalla polizia tedesca) della presenza di Almasri in Germania solo il pomeriggio di venerdì 17 gennaio. E di aver riunito d’urgenza i giudici, la mattina seguente, per esaminare la richiesta d’arresto giacente dall’inizio di ottobre 2024, ed emettere subito il provvedimento di cattura. Inoltrato, sabato 18, all’Italia e altri cinque Paesi (Germania, Austria, Francia, Svizzera e Olanda) insieme alla richiesta di inserire l’«avviso rosso» nella banca dati dell’Interpol. Il problema è che il generale libico era approdato in Europa fin dal 6 gennaio, senza che nessuno — prima del 17 — avvisasse chi doveva trasformare le accuse a suo carico in un mandato d’arresto.

Il giorno dell’Epifania il quarantacinquenne generale libico è arrivato a Fiumicino con un volo proveniente da Tripoli e ha preso un altro aereo per Londra. Dopo una settimana è salito su un treno e passando sotto la Manica è arrivato a Bruxelles. Ma era solo una tappa, perché da lì è subito ripartito in macchina per Bonn, in Germania. Qui è rimasto un paio di giorni, dove pare abbia assistito anche a una partita di calcio. Poi ha affittato un’auto e s’è spostato a Monaco di Baviera, dove il 16 gennaio è stato identificato a un posto di blocco. Superato senza difficoltà, poiché in quel momento non c’era alcuna segnalazione a suo nome sui terminali delle polizie europee.

Cambio macchina

Il 18 s’è presentato all’autonoleggio riconsegnando la macchina e prendendone una più spaziosa per andare in Italia, avvisando che l’avrebbe riconsegnata allo scalo di Fiumicino. Il giorno prima la Corte dell’Aia aveva saputo che Almasri si trovava in Germania, ma il mandato di cattura è stato firmato e trasmesso solo l’indomani, quando il libico era già arrivato in Italia e nuovamente controllato a Torino, prima dell’«avviso rosso» alle forze dell’ordine. Poche ore dopo è diventato un ricercato a tutti gli effetti; tramite lo schedario degli alloggiati è saltato fuori il suo nome registrato in albergo di Torino, e all’alba del 19 gennaio è stato arrestato.

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Il seguito, con la trasmissione degli atti alla corte d’appello di Roma (dopo una consultazione tra polizia e Procura di Torino) è storia (parzialmente) nota. Restano molte domande: dal perché Almasri è stato avvistato ufficialmente solo due settimane dopo il suo ingresso in Europa, al motivo per cui dopo l’invio all’ambasciata italiana il mandato d’arresto nei suoi confronti s’è perso, o è stato abbandonato in qualche meandro ministeriale. Fino alla mancata risposta di Nordio ai magistrati di Roma. Che ha dato il via libera a rilascio ed espulsione a bordo di un aereo con le insegne tricolori.

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24 gennaio 2025 ( modifica il 24 gennaio 2025 | 09:52)

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