Giubileo, “comunicatori” in cammino verso la Porta Santa

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Questa mattina il pellegrinaggio giubilare alla Basilica di San Pietro di operatori dei media, redattori e direttori di testate di 138 diversi Paesi che si sono poi ritrovati nell’Aula Paolo VI per riflettere sul modo in cui comunicare la speranza oggi. Ruffini: tornare alla vocazione di informare, nella libertà delle culture e delle religioni. Calabresi: i fatti tragici e dolorosi non vanno taciuti, ma bisogna raccontare chi costruisce relazioni e si batte per la giustizia

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Il cielo sopra piazza Pia è coperto da una coltre grigia, diradata a tratti, ma il sole appena sorto colora di rosa l’orizzonte. Sono le 7.30 del mattino e migliaia di giornalisti, operatori dei media, videomaker, volti noti della tv, voci della radio, direttori e redattori di innumerevoli testate di ogni parte del mondo, provenienti da 138 diversi Paesi, si preparano al pellegrinaggio verso la Porta Santa della basilica di San Pietro. È il Giubileo del Mondo della Comunicazione, il primo grande evento dell’Anno Santo. Tocca agli operatori dell’informazione essere pellegrini di speranza, in cammino, per riflettere su come comunicarla in una realtà in cui incombono conflitti, povertà, disastri climatici, eventi drammatici.

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Il pellegrinaggio verso la Basilica vaticana

Ci si mette in fila, in grandi gruppi di circa cinquecento persone guidati dalle croci in legno del Giubileo consegnate all’inizio del percorso insieme alla “Preghiera per il pellegrinaggio alla Porta Santa” e al messaggio di Papa Francesco per la 59.ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, diffuso ieri 24 gennaio, nella ricorrenza di san Francesco di Sales, patrono di tutti i comunicatori. Si attraversa via della Conciliazione in silenzio, raccolti. Vivere questa esperienza a livello personale o da cronisti? Un dilemma che ha toccato un po’ tutti, perché un cronista vuole raccontare, informare, comunicare, quello che vede e accade, descrivere fatti e condividerli. Ma qui tocca fare i conti con la coscienza e ruminare quelle parole che Papa Francesco ha consegnato all’universo dei mass media: condividere con mitezza la speranza che alberga nell’interiorità; disarmare la comunicazione; parlare al cuore; raccontare le storie di bene nascoste nelle pieghe della cronaca.

Il pellegrinaggio verso la Porta Santa dei partecipanti al Giubileo della Comunicazione

Il pellegrinaggio verso la Porta Santa dei partecipanti al Giubileo della Comunicazione

Comunicare la speranza

Passo dopo passo si avanza verso il colonnato del Bernini, con la preghiera per il pellegrinaggio alla Porta Santa tra le mani. “Oggi ci siamo messi l’abito del pellegrino per narrarlo agli altri questo Giubileo ed esortare a viverlo, perché ci può ridare la speranza che un mondo nuovo, un mondo migliore nel quale essere tutti fratelli, è possibile costruirlo, sicuramente con l’impegno di ognuno di noi» dice una collega giunta dalla Campania. Ma cosa deve cambiare nell’informazione per comunicare la speranza? “Dobbiamo viverla, anzitutto, dobbiamo portarla dentro noi — risponde una redattrice di Brescia —. E questo pellegrinaggio è una ripartenza, rimettersi in gioco, trovare una nuova speranza, per affrontare quell’orizzonte a volte così confuso, così oscuro che caratterizza i nostri giorni. Occorre ritrovare il cuore della nostra professione”.

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Davanti la Porta Santa

La giornata intanto si scalda, il sole si è alzato, il cielo s’è fatto azzurro e una luce nuova illumina il folto mondo della comunicazione incanalato nell’apposito tragitto creato per i pellegrini del Giubileo. Voltandosi a guardarlo torna alla mente l’invito del Papa a essere compagni di strada nella comunicazione. I volontari indicano con discrezione la direzione verso i varchi per accedere in piazza San Pietro. Il silenzio si fa più intenso, la Porta Santa è più vicina. “Del Signore è la terra e quanto contiene: il mondo, con i suoi abitanti. È Lui che l’ha fondato sui mari e sui fiumi l’ha stabilito — recita il Salmo 23 (24) suggerito dalla preghiera per il pellegrinaggio una volta raggiunta la Porta Santa —. Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo?”. C’è spazio per meditare percorrendo la navata destra della basilica vaticana. Il flusso composto di comunicatori e giornalisti scorre fra gli altri pellegrini, mentre nei confessionali diversi sacerdoti, in varie lingue, amministrano il sacramento della Riconciliazione.

L’esperienza del Giubileo per i comunicatori

Si giunge alla tomba dell’apostolo Pietro e dall’altare della Cattedra si fa la Professione di fede. Arricchiti dal cammino giubilare si raggiunge, poi, l’uscita. In che modo comunicare facendo tesoro di questa esperienza? “Si devono raccontare i fatti, la realtà, la verità, senza alcun pregiudizio – considera una cronista -. Essere qui, per me, è un momento molto speciale. La speranza oggi è una parola che non dobbiamo sottovalutare in questo momento che stiamo vivendo”. Qualcuno risponde che “bisogna essere generatori di grazia», capaci di vedere le cose belle che ci circondano. Un professionista della televisione ritiene che la comunicazione “deve essere più umana, deve nutrirsi dell’ascolto e deve imparare ad aprire le porte alle emozioni più che alle parole”. Ma un giornalista come può coltivare la speranza? “Prendendosi tempo, lasciando anche che il silenzio prenda il posto del rumore, delle parole”.

 In Piazza San Pietro camminando verso la Porta Santa

In Piazza San Pietro camminando verso la Porta Santa

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La responsabilità di chi fa informazione

Nell’Aula Paolo VI, prima dell’udienza con Papa Francesco, si svolge l’incontro culturale “In dialogo con Maria Ressa e Colum McCann”, due testimoni di una comunicazione di speranza. A porgere il benvenuto ai presenti è Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione, insieme al segretario monsignor Lucio Adrián Ruiz. “Siamo qui per interrogarci su come e se è ancora possibile comunicare speranza in un mondo in crisi, in un mondo in guerra – dice Ruffini – su come sperare ancora nella comunicazione fra persone e non fra macchine, su come la tecnologia può e deve essere guidata, la libertà garantita, la conoscenza condivisa su come sia difficile la ricerca della verità e facile il diffondersi delle falsità, su come sia importante il dialogo”. Tutte questioni che sfidano la responsabilità personale e collettiva di chi fa comunicazione e informazione, riguardanti “il modo di concepire non solo il giornalismo, ma anche la tecnologia e l’economia”, prosegue il prefetto, il quale definisce questa giornata con il Papa un’occasione per “tornare alle radici del nostro mestiere, alla vocazione di comunicatori, di giornalisti, di narratori”, per interrogarsi e “ricominciare da qui”, per “comprendere come e se possiamo costruire nella verità una speranza di futuro per tutti noi e raccontarla nella libertà delle culture, delle religioni, di ogni persona, nel dialogo con creatività”.

Dalla parte di chi cerca la verità e si batte per la giustizia

A parlare, poi, è il giornalista Mario Calabresi, che ai tanti colleghi domanda: “Si può ancora comunicare con speranza? O quella dei nostri giorni è solo una narrazione disperata, un’informazione in cui il male è protagonista assoluto, in cui la cronaca nera è il nostro pane quotidiano — riflette —, un’informazione in cui la rabbia e l’odio sono l’aria che respiriamo, in cui la propaganda costruisce ogni giorno un nemico, un colpevole”. Ma se “il male va raccontato” perché i fatti tragici, dolorosi e negativi non vanno taciuti, questa non può essere l’unica narrazione, “non può essere la sola chiave di lettura del mondo e non può essere il motore dell’informazione, perché anche dentro il male esistono e si possono vedere elementi di bene”. Calabresi sottolinea che ci sono “cose che ci possono parlare di speranza e che ci possono aiutare a ricostruire la fiducia negli altri e nell’umanità” e ci sono persone che costruiscono relazioni, si prendono cura, cercano di risolvere situazioni, cercano la verità, si battono per la giustizia. “Dobbiamo stare dalla loro parte”, afferma, rimarcando che oggi ci vuole “la responsabilità di non cavalcare il male nella convinzione che questo funzioni”, perché “un’informazione che racconta ossessivamente solo il male, distrugge la società, ci sottrae la possibilità di vivere e costruire. Ci toglie fiducia e soffoca la speranza”. In questo modo i giornalisti finiscono per smarrire il senso della loro missione e si riducono “a essere seminatori di rabbia, di disperazione, di odio”. Per il cofondatore della podcast company “Chora Media”, c’è “la possibilità di essere seminatori di speranza, costruttori di senso, artefici di cambiamento”, perché, come indica il Papa, “il buon comunicatore fa sì che chi ascolta, legge o guarda, possa essere partecipe, possa essere vicino, possa ritrovare la parte migliore di sé stesso ed entrare con questi atteggiamenti nelle storie raccontate”. Insomma, conclude Calabresi, “abbiamo la possibilità di scegliere da che parte stare e lo possiamo fare ogni giorno”.

L'ingresso nella Basilica di San Pietro

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