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Uno Bianca, Fabio Savi “il Lungo” non ha diritto al permesso premio. I giudici della Cassazione: “Non è cambiato” #adessonews

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Milano – Niente permesso premio per Fabio Savi, co-fondatore della banda della Uno bianca e condannato all’ergastolo (come i fratelli Alberto e Roberto) per i crimini commessi tra il 1987 e il 1994 in Emilia Romagna e Marche. Il sessantaquattrenne forlivese recluso nel carcere di Bollate, leader del gruppo che ha mietuto 24 vittime e ferito 114 persone, si è visto respingere dalla Cassazione il ricorso contro l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Milano datata gennaio 2024 che a sua volta aveva confermato il primo giudizio del magistrato di Sorveglianza.

Il no della Cassazione

Nelle motivazioni del verdetto, rese note ieri, la Suprema Corte ha sposato in toto le conclusioni dei giudici meneghini, spiegando in sintesi che Savi, “autore di molteplici delitti di inaudita gravità”, non ha “ancora mostrato segni tangibili di un concreto avvio di un percorso di revisione critica dell’efferato passato criminale“.

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Savi non è cambiato

Di più: gli ermellini hanno sottolineato l’assenza di “significativi elementi di novità” rispetto a precedenti istanze bocciate, considerato che le presunte ragioni che avrebbero spinto Savi a rapinare e uccidere (dissesto finanziario, necessità di denaro, rabbia e frustrazione) non possono in alcun modo essere messe in relazione con “l’assoluta gratuità delle azioni omicidiarie rispetto alla necessità di procurarsi il bottino o di assicurarsi l’impunità e la fuga”.

Il percorso interrotto

Non è finita. Il detenuto ha interrotto un programma di giustizia riparativa appena iniziato: a questo proposito, il giudice di primo grado ha osservato che, “per poter formulare una compiuta valutazione del percorso intrapreso”, il piano di recupero “avrebbe dovuto essere ripreso al più presto e tenacemente perseguito, non essendosi comprese le ragioni che ne avevano determinato un’anticipata chiusura o che comunque ne avrebbero impedito una sollecita ripresa”. Così, evidentemente, non è stato. 

Il pagamento delle spese processuali

Da qui il “no” al permesso premio, beneficio previsto dall’articolo 30-ter dell’ordinamento penitenziario di cui usufruisce dal 2017 il fratello Alberto. La bocciatura del ricorso comporterà per Savi anche il pagamento delle spese processuali e il versamento di un’ulteriore somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Il profilo

Fabio Savi, nato a Forlì il 22 aprile 1960 e soprannominato “il Lungo”, fece domanda per entrare in polizia, ma, a differenza del fratello Roberto, un difetto alla vista gli impedì di intraprendere la carriera nelle forze dell’ordine. Venne arrestato dalla Stradale per i crimini della Uno bianca qualche giorno dopo il fratello, a 27 chilometri dal confine con l’Austria, mentre tentava di espatriare. Lavorava come carrozziere e camionista e conviveva a Torriana con la compagna romena Eva Mikula, le cui testimonianze si sono poi rivelate decisive per la risoluzione delle indagini.

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Fine pena mai

Dopo la condanna all’ergastolo, Savi è stato trasferito prima nel carcere fiorentino di Sollicciano e poi in quello marchigiano di Fossombrone. Poi è passato a Voghera, a Spoleto e infine a Bollate, dov’è recluso anche il fratello Roberto. Nell’ottobre del 2014, ha chiesto di poter usufruire a posteriori del rito abbreviato, che avrebbe tramutato l’ergastolo in 30 anni di reclusione, ma l’istanza è stata respinta due mesi dopo dalla Corte d’Assise di Bologna. Negli anni scorsi, l’ergastolano aveva già inoltrato richieste di permessi per lavorare all’esterno del carcere, ma i giudici non hanno mai ravvisato le condizioni per dare il via libera.



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