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Israele non ha bisogno di nessun “pretesto” per reagire a 11 mesi di attacchi Hezbollah – Israele.net #adessonews

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Sono tante le voci che in sostanza gridano: come osa Israele agire per rendere inoffensivi coloro che vogliono distruggerlo? Come osa colpire i terroristi che vogliono uccidere i suoi cittadini?

Di Herb Keinon

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Herb Keinon, autore di questo articolo

Martedì scorso, subito dopo che i cercapersone avevano iniziato a esplodere nelle mani e nelle tasche dei terroristi di Hezbollah, la giornalista Laura Rozen, che negli anni ha scritto molto per varie testate sul Medio Oriente e sulla politica estera degli Stati Uniti, ha postato questa domanda su X/Twitter: “Il governo di Israele sta cercando di provocare una escalation di Hezbollah in modo da avere un pretesto per invadere il Libano meridionale?”

Quella domanda era sbalorditiva: come se dopo 11 mesi di attacchi non provocati contro Israele, con razzi missili e droni che hanno spopolato una vasta fascia del nord del paese e ucciso quasi 50 persone, Israele avesse bisogno di un “pretesto” per invadere il Libano meridionale.

No, Israele non stava cercando nessun pretesto per invadere il Libano meridionale. Ciò che invece voleva fare era sferrare un attacco preciso e letale contro i terroristi di Hezbollah che hanno dichiarato guerra allo stato ebraico, garantendo allo stesso tempo il minimo numero possibile di vittime civili.

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Israele avrebbe avuto tutto il diritto già mesi fa di invadere il Libano meridionale e sloggiare Hezbollah, ma ha scelto di non farlo perché non voleva aprire un secondo fronte e voleva piuttosto concentrarsi sulla distruzione di Hamas a Gaza e sulla liberazione degli ostaggi.

Il “pretesto” c’era sin da quando Hezbollah ha aperto il fuoco contro Israele l’8 ottobre e da allora ha sparato oltre 8.000 ordigni contro lo stato ebraico in segno di solidarietà con Hamas.

Un missile a lungo raggio di Hezbollah pronto al lancio su una rampa posizionata nella soffitta di un’abitazione civile nel villaggio di Houmine al-Tahta, nel Libano meridionale (clicca l’immagine per la notizia completa)

Il post di Laura Rozen non ha fatto che anticipare ciò che sarebbe arrivato subito dopo. Le esplosioni dei cercapersone e i successivi attacchi (esplosioni di walkie-talkie, uccisione del numero 3 di Hezbollah, decimazione della dirigenza della forza d’élite Radwan di Hezbollah, attacchi a rampe e magazzini di missili Hezbollah nascosti nelle case civili libanesi) sarebbero stati visti in vari ambienti diplomatici, accademici e giornalistici all’estero non come qualcosa di meritorio e di vantaggioso per l’Occidente, dato che hanno inferto un duro colpo a un’organizzazione terroristica jihadista, bensì come un atteggiamento sempre più bellicoso da parte di Israele.

Come se i soliti israeliani assetati di sangue stessero solo cercando un pretesto per entrare in guerra.

Esattamente come è accaduto dopo il 7 ottobre, quando diversi nell’estrema sinistra hanno singolarmente fatto quadrato attorno a Hamas, chiedendosi come osasse Israele reagire con tutte le sue forze contro un’organizzazione barbarica che ha perpetrato un orrendo pogrom, allo stesso modo anche dopo l’attacco con i cercapersone di martedì scorso si sono levate voci che fanno quadrato attorno a Hezbollah.

Queste voci in sostanza gridano: come osa Israele manomettere i cercapersone di Hezbollah? Come osa Israele adoperarsi per rendere inoffensivi coloro che vogliono distruggerlo? Come osa lo stato ebraico colpire preventivamente i terroristi che vogliono uccidere i suoi cittadini?

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C’è stato Josep Borrell, lo zar della politica estera dell’Unione Europea, che mercoledì ha dichiarato: “Condanno fermamente il nuovo attacco con l’esplosione di un elevato numero di dispositivi elettronici in tutto il Libano, che ha causato diverse vittime e un elevato numero di feriti. Ancora una volta, il metodo indiscriminato [sic] utilizzato è inaccettabile”.

Editoriale di Maurizio Molinari su Repubblica del 22 settembre: “La difficoltà di Israele nel fronteggiare la doppia sfida di Hamas e Hezbollah è evidente, perché si tratta di uno stato sovrano e due organizzazioni terroristiche, dove il primo – essendo anche una democrazia – deve rispondere alla propria opinione pubblica e alle regole del diritto internazionale, mentre Nasrallah e Sinwar non hanno alcuna restrizione, perché il loro unico obbligo è seguire le indicazioni dell’Iran che li arma e finanzia … non si curano della protezione dei civili, non hanno paesi a cui rispondere, non hanno leggi internazionali da rispettare. Tanto il Libano per Hezbollah che la striscia di Gaza per Hamas sono solo piattaforme territoriali da sfruttare in ogni modo al fine di far sanguinare Israele per raggiungere l’obiettivo strategico di Teheran di annientare l’entità sionista” (clicca per ingrandire)

Altrettanto allarmato il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres: “Penso che sia molto importante che ci sia un controllo effettivo degli oggetti civili, che non si trasformino in armi gli oggetti civili dovrebbe essere una regola” (come ha fatto notare il Foglio, Guterres non ha mai chiesto a Hamas di “non trasformare  in armi oggetti civili” come scuole, case, asili, sedi dell’Onu, moschee, ospedali, ambulanze ndr).

La congressista di New York di estrema sinistra Alexandria Ocasio-Cortez ha stabilito che “l’attacco [coi cercapersone] vìola chiaramente e inequivocabilmente il diritto internazionale” e ha chiesto risposte dal Dipartimento di Stato per sapere se “gli Stati Uniti hanno contribuito in qualsiasi modo allo sviluppo o all’impiego di questa tecnologia”. Certo, perché Alexandria Ocasio-Cortez non vuole che i soldi degli Stati Uniti vengano usati per combattere i terroristi.

Queste reazioni dimostrano che, per certi ambienti, Israele semplicemente non ha il diritto di difendersi. Molte delle stesse persone che lo condannano per i presunti bombardamenti “indiscriminati” a Gaza – di per sé una menzogna – ora lo condannano per l’attacco più discriminato e preciso immaginabile contro i terroristi.

Come dovrebbe difendersi, allora, lo stato ebraico? Gli unici a detenere i cercapersone e i walkie-talkie esplosi la scorsa settimana in Libano erano agenti di Hezbollah.

Infliggendo un duro colpo a Hezbollah, così come ha decimato i terroristi Hamas a Gaza, Israele sta facendo un favore al mondo.

Hezbollah è un’organizzazione terrorista jihadista globale, riconosciuta come tale da numerosi paesi in tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti. Ha preso il controllo del Libano ed è il principale gregario dell’Iran nella sua guerra contro Israele e nei suoi sforzi per impadronirsi, alla fine, del Medio Oriente.

La maggior parte delle persone ne è consapevole. Il fatto che le azioni di Israele per mettere fuori gioco questa organizzazione non siano universalmente applaudite in Occidente è un ulteriore segno – se ce ne fosse bisogno – di abdicazione morale.

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Anche i paesi che la scorsa settimana hanno accennato un po’ di comprensione per le azioni di Israele continuano a parlare del timore che ciò possa portare a una conflagrazione più ampia. Anche qui, la pressione è indirizzata male. Ad esempio, il presidente francese Emmanuel Macron, che ha espresso simpatia ed empatia per il popolo libanese in questo momento, pare che abbia rimproverato il primo ministro Benjamin Netanyahu in una conversazione telefonica, sostenendo che sta conducendo la regione verso una guerra più ampia.

Stando ai resoconti della stampa, Netanyahu ha risposto che Macron e la Francia, che ha legami storici con il Libano, anziché fare pressione su Israele dovrebbero fare pressione su Hezbollah.

Ha ragione. Se Hezbollah smettesse di sparare e ritirasse le sue truppe dal confine di Israele (come prescrive sin dal 2006 la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ndr) consentendo ai 60.000 israeliani sfollati di tornare a casa, Israele metterebbe a tacere le sue armi e cesserebbe di bombardare all’interno del Libano. Non ci sarebbe alcuna escalation in Libano. Semplicissimo.

(Da: Jerusalem Post, 22.9.24)



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