«Mps-Mediobanca operazione sul tavolo dal 2021»

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Il riscatto di Mps, certificato ieri dall’Europa che ha escluso i vincoli operativi applicati nel 2017 per il salvataggio di Stato, ha radici antiche. Anche precedenti al dicembre 2022, come sottolineato da Luigi Lovaglio, venerdì scorso in occasione della call in cui ha illustrato l’Ops su Mediobanca. Già l’anno prima, ha ricordato ieri Roberto Gualtieri, oggi sindaco di Roma e fino al febbraio 2021 Ministro del tesoro del governo Conte 2, era in corso il risanamento.

Le reazioni

Alla vigilia della riunione del Cda di Mediobanca, che oggi esaminerà l’offerta pubblica di scambio lanciata da Mps, a parlare è Roberto Gualtieri. Lo fa con una duplice benedizione all’operazione, nei panni attuali di sindaco Pd di Roma e in quelli passati di ex ministro dell’Economia. 
Proprio in qualità di ex titolare del Mef, Gualtieri rivendica il risanamento di Mps, a cui hanno lavorato diversi governi, compreso – «quello di cui ho fatto parte» – e per il quale, ricorda, il merito va dato al management della Banca, al Mef e a Luigi Lovaglio. «Ricordo peraltro che l’ipotesi di un’aggregazione con Mediobanca non nasce ora, ma è sul tavolo già almeno dal 2021-22». Le implicazioni più nette, Roberto Gualteri le traccia, però, in qualità di sindaco della Capitale: «Avendo assistito nei decenni scorsi al costante indebolimento della presenza di imprese finanziarie a Roma e nel Centro-Sud», ragiona l’amministratore dem, la formazione di un terzo polo bancario nazionale con una operazione di mercato che parta da Siena e con «un forte radicamento proprio in questi territori» sarebbe «una buona notizia per tutto il Paese, per uno sviluppo economico più sano ed equilibrato». Sull’Ops che coinvolge Piazzetta Cuccia non mette veti neppure Antonio Tajani: «Deve sempre prevalere il libero mercato», è il mantra che ripete a margine del Consiglio Affari esteri Ue il titolare della Farnesina. E che fa il paio con quanto già dichiarato, sabato, da Meloni: quella di Mps su Mediobanca «è un’operazione di mercato», la chiosa durante il punto stampa a Gedda. Se per il leader di FI è necessario andare avanti per il completamento della privatizzazione di Mps, per la premier prevale, invece, l’orgoglio per il risanamento della banca che, anche nell’assetto societario odierno – con una parte di quote detenute ancora dal Tesoro – può avviare «operazioni ambiziose». Come la creazione di un terzo polo bancario.

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I vecchi limiti

Ma sulla forza e capacità di Montepaschi di puntare al controllo di Mediobanca attraverso l’ops lanciata venerdì scorso, ieri è arrivato il sigillo della Dg Comp che ha escluso la permanenza di vincoli alle strategie dell’istituto, dopo i limiti che erano stati posti per il salvataggio pubblico otto anni fa. Con la discesa del Mef – in un anno è passato dal 64 all’11,7% -, «Mps non è più vincolata al suo impegno ai sensi della decisione sugli aiuti di Stato di astenersi dalle acquisizioni e ciò le consente di intraprendere le azioni aziendali che riterrà appropriate per perseguire i propri interessi commerciali», ha indicato la portavoce dell’Antitrust Ue. Da Bruxelles è stata aggiunta una precisazione tecnica: «Dal punto di vista del controllo delle concentrazioni, l’offerta di Mps di acquisire Mediobanca non è stata notificata alla Commissione». 
Insomma l’Europa ha riabilitato completamente il Monte che fino a qualche tempo fa aveva una libertà di azione vigilata: ora dispone di una solidità patrimoniale. A metà novembre con il collocamento della terza e ultima tranche del 15% e la diluizione della quota pubblica all’11,7%, il Tesoro ha smarcato definitivamente Rocca Salimbeni da qualunque ipoteca. Qualche settimana dopo, infatti, la Bce ha rimosso il vincolo di richiedere un’autorizzazione a Francoforte per distribuire dividendi, a seguito dell’esercizio Srep 2024, cioè gli esami sulla capacità di gestire i rischi in maniera adeguata. 
Questo era l’ultimo vincolo alla piena libertà, raggiunta grazie alla cura ricostituente della gestione di Lovaglio, arrivato al timone a febbraio 2022, ritrovandosi a dover guidare un rilancio con il freno a mano tirato e grazie alla ricapitalizzazione del novembre 2022, ha ridato sprint al motore senese. 
Vanno ricordati infatti quali erano i 22 paletti piantati a luglio 2017 a fronte della ricapitalizzazione precauzionale da 8,1 miliardi, compresi i 4,3 miliardi di conversione dei bond. 
Il piano prevedeva una ristrutturazione di cinque anni, durante i quali la banca doveva riorientare il suo modello di business verso la clientela al dettaglio e le pmi, aumentare l’efficienza e migliorare la gestione del rischio di credito. In questo ambito, l’alta dirigenza ha subìto un tetto retributivo corrispondente a 10 volte il salario medio dei dipendenti di Mps. Inoltre era stata imposta la cessione a condizioni di mercato di un portafoglio di crediti deteriorati di 26,1 miliardi fatta dal fondo Atlante II, tramite la garanzia pubblica Gacs. 
Tra gli impegni presi a livello europeo c’erano il divieto di fare acquisizioni, di pagare dividendi, l’obbligo di portare entro il 2024 le filiali a 1.258 e i dipendenti a 17,634 (oggi sono 16.691). Oltre a vendere questi asset, tra i quali le quote in Visa, Bancomat, Veneto Sviluppo, Mps Tenimenti, Poggio Bonelli, Chigi Saracini, Immobiliare Novoli, la filiale di Shangai e le 7500 quote in Bankitalia. 

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