L’eredità ingombrante del Movimento Sociale, l’esperienza di Alleanza Nazionale e infine Fratelli d’Italia. A trent’anni dalla svolta di Fiuggi cosa resta di quell’esperienza nella destra di oggi: la legittimazione a far parte di coalizioni di governo, rafforzata dal successo delle scorse elezioni e dalla conquista di Palazzo Chigi. Colloquio con il politologo Marco Tarchi
27/01/2025
Fu vera svolta? Fiuggi, nell’immaginario collettivo rappresenta un vero e proprio spartiacque per la storia della destra italiana. L’ex leader di Alleanza Nazionale e delfino di Giorgio Almirante, Gianfranco Fini ha detto molto chiaramente che se non ci fosse stata Fiuggi trent’anni fa, oggi Giorgia Meloni non sarebbe il capo di un governo di centrodestra. Di quell’eredità, principalmente, resta la “legittimazione a far parte di coalizioni di governo”, dice a Formiche.net il politologo Marco Tarchi profondo conoscitore delle dinamiche che hanno caratterizzato la storia della destra italiana.
Trent’anni fa la destra cambiava volto a Fiuggi. Cosa resta di quell’eredità nella destra di oggi?
La legittimazione a far parte di coalizioni di governo, rafforzata dal successo delle scorse elezioni e dalla conquista di Palazzo Chigi.
Facendo un’analisi sull’oggi possiamo dire che Fiuggi segnò ante litteram la strada per la legittimazione della destra di governo?
Sì e no, perché quella legittimazione fu ottenuta grazie allo sdoganamento operato da Berlusconi quando ancora Fini e i suoi inalberavano le insegne del Msi. A quel punto, la strada era già spianata e i sogni di costruire il “fascismo del Duemila”, a cui il futuro presidente di An si era aggrappato pochi anni prima per sconfiggere in congresso il rivale Rauti, erano automaticamente finiti nel cassetto, o nella spazzatura. Fiuggi fu solo un adeguamento formale a una situazione che si era già creata.
Cosa rimase in An dell’eredità del Movimento Sociale e cosa rimane in FdI di An?
Nel primo caso, l’ossatura della classe dirigente, molti dei locali dove avevano sede federazioni e sezioni e una certa quantità di nostalgie per la storia missina, tenute a freno per motivi tattici e strategici al vertice e soprattutto alla base. Nel secondo caso, una percentuale notevolmente più limitata di quei tre fattori.
Di An spesso, rispetto alla destra di oggi, si rimpiange la classe dirigente e la scuola politica. La destra post Fiuggi in termini di capacità politica ha fatto un passo indietro?
Non esagererei. Alleanza nazionale non aveva una classe dirigente straordinaria, e comunque quasi tutti coloro che la componevano si erano fatti le ossa nel Msi, che era stato la loro vera scuola politica. In FdI c’è un’altra generazione al potere, che sconta in parte il non aver potuto avere fin qui a disposizione abbastanza anni per fare esperienza nei governi locali e nelle istituzioni, cosa che invece era stata possibile ai tempi di An grazie ai successi della coalizione di centrodestra nei quasi quindici anni di vita del partito.
Prima del “che fai mi cacci?” An aderì al Pdl. Come valuta quell’esperienza politica anche alla luce dell’esperienza dell’attuale coalizione di governo?
Fallimentare. Portò, in un paio d’anni, alla dispersione di buona parte del ceto politico cresciuto in An e prima nel Msi e alla delusione di molti elettori. Non è casuale che FdI sia nata proprio per contestare ciò che lo pseudo-partito imposto fa Berlusconi aveva prodotto.
Politica estera. Meloni ha scelto una linea molto chiara di appoggio al patto Atlantico. Forse è questa la più grande differenza fra la destra post Fiuggi e quella missina?
Non è l’unica e neanche la più importante. Come ho scritto nel mio recente libro Le tre età della Fiamma, An e poi FdI hanno abbandonato l’obiettivo dei fondatori del Msi, che fino alla morte di Almirante non era mai stato messo in discussione: portare una maggioranza di italiani a coltivare un’immagine non demonizzante dell’esperienza fascista e a ad attribuirle un posto dignitoso nella storia del Paese. Il semi-antifascismo di Fini e l’a-fascismo di Meloni si son discostati fortemente da quell’ambizione, fino ad abbandonarla. Quanto invece all’atlantismo, nel Msi è stato sempre radicato nella classe dirigente. A contestarlo era una minoranza, composta soprattutto da giovani. Un’altra differenza di peso è sul terreno delle politiche socio-economiche: il progetto di “Stato nazionale del lavoro”, che era sempre rimasto in evidenza negli statuti missini, è stato liquidato già da An e gli umori anticapitalistici, e quindi antiliberisti, si sono spenti. Va detto però che il Msi agitava quelle parole d’ordine immaginando di essere condannato ad un eterno ruolo di opposizione, mentre An e FdI hanno dovuto far fronte alle esigenze, e alle leggi, della gestione del potere governativo.
La vera svolta fu nell’approccio al passato e in particolare al regime che fece sprofondare l’Italia nel buio per vent’anni. Ci sono tuttavia nella destra ancora vecchie scorie. Per cui, l’ultima domanda è: Fiuggi, fu vera svolta?
Non so cosa si intenda per “vecchie scorie”. Il nostalgismo non mi pare un vizio coltivato dentro Fratelli d’Italia; appartiene ai gruppuscoli di estrema destra, politicamente insignificante. Se ci si riferisce invece al fatto di non condividere l’immagine macchiettistica e deformata che del fascismo danno gli antifascisti militanti, da Scurati e Augias fino agli altri innumerevoli componenti del ceto intellettuale progressista tuttora egemone nelle università, nei giornali, nelle case editrici e un po’ in tutto l’establishment culturale, il discorso è ben diverso. Opporsi a questa vulgata e rivalutare gli studi della generazione dei veri storici del fascismo, De Felice e i suoi allievi, Linz, Mosse, Payne, Sternhell ecc., tutti capaci di separare le loro convinzioni ideologiche dalle esigenze scientifiche, sarebbe, viceversa, un compito a cui né a Fiuggi né oggi si è prestata la dovuta attenzione.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link