La commissione Bilancio della Camera ha impedito un mese fa di mettere al voto l’emendamento unitario delle opposizioni che avrebbe introdotto il congedo paritario di 5 mesi retribuito al 100% per entrambi i genitori. Alcune grandi aziende del settore privato dimostrano che un cambiamento è possibile: il 14% di quelle quotate a Euronext Milan ha implementato le proprie politiche. Una distanza che rischia di lasciare la paternità attiva confinata a un privilegio di pochi
Nel mese di dicembre, la commissione Bilancio della Camera dei deputati ha impedito di mettere al voto l’emendamento unitario delle opposizioni che avrebbe introdotto il congedo paritario di 5 mesi retribuito al 100% per entrambi i genitori.
Nel frattempo, alcune grandi aziende del settore privato dimostrano che un cambiamento è possibile: come evidenzia un recente report di Tortuga, il 14% delle aziende quotate a Euronext Milan ha autonomamente implementato politiche migliorative del congedo di paternità, segnalando una sensibilità più avanzata rispetto a quella delle istituzioni.
Questo scarto tra pubblico e privato riflette una resistenza istituzionale che rischia di lasciare la paternità attiva confinata a un privilegio di pochi.
La situazione attuale
In Italia, la differenza tra congedo di maternità e congedo di paternità è marcata e significativa. Alle madri lavoratrici è garantito un congedo obbligatorio di cinque mesi, con un’indennità pari all’80% della retribuzione e diverse opzioni di fruizione per conciliare le esigenze della gravidanza e del post-parto.
Per i padri, invece, il congedo obbligatorio è limitato a soli 10 giorni, da utilizzare entro un arco temporale che va dai due mesi precedenti alla nascita fino ai cinque successivi. Questa disparità non è solo legislativa, ma anche simbolica, e sottolinea una visione ancora lontana da una reale parità genitoriale.
Gli effetti positivi del congedo paritario
Secondo il report di Tortuga che ha analizzato le risposte dei dipendenti di 12 grandi aziende, i congedi parentali estesi mostrano benefici significativi su più fronti. Due terzi dei padri beneficiari riferiscono un maggiore equilibrio nella divisione del carico familiare, contribuendo alla parità di genere sia nel lavoro che in famiglia.
Il congedo rafforza il legame padre-figlio nei primi mesi di vita, periodo cruciale poiché i padri tendono naturalmente a sviluppare un attaccamento più tardivo rispetto alle madri. La ricerca di Persson e Rossin-Slater conferma importanti benefici per le neomamme, documentando una riduzione del 12% nelle complicazioni post-parto e del 14% nella prescrizione di antibiotici, oltre a un minor ricorso ad ansiolitici.
Non sorprende quindi che questi congedi paritari aumentino anche la percezione della fattibilità (in termini di tempo, costo e carico del lavoro) di avere altri figli/e.
Il sostegno unanime dei lavoratori
Il dato più significativo emerge dalle preferenze occupazionali: un dipendente su tre non accetterebbe di lavorare in un’azienda priva di questa politica, indipendentemente dall’aumento salariale proposto. Inoltre, il sostegno è pressoché unanime tra i beneficiari: tutti i dipendenti che hanno usufruito del congedo di paternità esteso dichiarano che lo riutilizzerebbero, mentre il 96% di chi non ne ha fatto uso si dice pronto a riconsiderare la propria scelta in futuro.
La stessa percentuale ritiene necessaria un’estensione nazionale del congedo, con oltre la metà dei partecipanti favorevole a renderlo obbligatorio. Invece, solo una frazione consistente dei partecipanti ritiene che, come le madri, anche i padri debbano passare almeno 6 mesi a casa con il/la neonato/a nel primo anno di vita.
Le misure insufficienti del governo
Le alternative proposte dal governo nella legge di bilancio si rivelano inadeguate, limitandosi principalmente all’erogazione di bonus. Le misure includono la “Carta per i nuovi nati” (1000 euro per famiglie con ISEE sotto i 40mila euro), un’integrazione di 500 euro sulla “Carta dedicata a te” per nuclei con redditi inferiori ai 15mila euro, e l’aumento del Bonus Asilo Nido fino a 3.600 euro annui per le famiglie con secondo figlio nel 2024.
Questi interventi, seppur utili nel fornire supporto temporaneo, non affrontano il problema strutturale: la difficoltà delle madri italiane nel conciliare vita professionale e familiare, su cui continua a gravare la maggior parte del lavoro di cura. Le misure proposte, concentrate sul breve termine, rischiano quindi di compromettere l’obiettivo dichiarato di incrementare la natalità negli anni a venire.
Verso una vera parità genitoriale
Questi dati mostrano che ci sono aziende in cui il congedo paritario è implementato con successo e grande supporto, aprendo le porte ad un cambiamento che non solo è possibile ma è già in atto. Tuttavia, relegare la paternità attiva a privilegio aziendale, anziché riconoscerla come diritto accessibile a tutti, perpetua disuguaglianze sociali e di genere.
È dovere dello Stato, non delle singole imprese, garantire ai padri il diritto di vivere pienamente la paternità e alle madri di non dover scegliere tra famiglia e carriera.
La strada verso una vera parità genitoriale e di genere in Italia resta lunga, e la legge di bilancio dello scorso dicembre, come la precedente, ha mancato ancora una volta l’obiettivo.
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