Xi Jinping aspetta con ansia Trump presidente 2.0

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Pechino resta l’avversario più grande e potente per Washington, ma il presidente eletto americano abbassa i toni sulla Cina in cerca di un affare. 


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Durante la sua seconda conferenza stampa a Mar-a-Lago da presidente eletto, Donald Trump ha menzionato la Cina pochissime volte. L’ha usata per legittimare l’ipotesi di “riprendersi il canale di Panama”, dopo che la Cina l’avrebbe “praticamente conquistato”. Pechino ha fatto molti investimenti strategici per aumentare la sua influenza nel Canale, ma per uno come Trump, che durante il suo primo mandato parlava di Cina di continuo, quell’unica menzione ha fatto pensare a diversi esperti a un cambio di strategia. La Cina ora conosce Trump, e sa perché per la prima volta ha invitato Xi Jinping alla sua cerimonia d’insediamento (il leader cinese non andrà, ma manderà una “delegazione di alto livello”, ha rivelato il Financial Times).

 

Come sempre, con Trump, bisogna guardare alle dichiarazioni e alle contraddizioni, alle smentite e ai fatti, e soprattutto all’imprevedibilità delle sue mosse. Pechino resta l’avversario più grande e potente per Washington, e Xi Jinping l’unico leader a poter sfidare quello di un presidente degli Stati Uniti. Secondo diversi esperti ascoltati dal Foglio, l’invito di Trump a Xi fa parte di quello show di potere e di forza che il prossimo presidente degli Stati Uniti ama mostrare, soprattutto con i leader potenti, meglio se autoritari. Ma l’Amministrazione Trump che si insedia tra nove giorni è molto diversa da quella di otto anni fa, perché gran parte degli ideologi di un’America che deve combattere per l’ordine liberale soprattutto contro la Cina – John Bolton, Matthew Pottinger, e in misura diversa Mike Pompeo – non ci sono più. Bolton in particolare, che è stato consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump fra il 2018 e il 2019, nel suo libro di memorie aveva già accusato Trump di aver avuto con la Cina una politica economica confusa, poco efficace, e allo stesso tempo di aver chiesto aiuto a Xi per la sua rielezione. Adesso al fianco di Trump, a consigliare la sua strategia sulla Cina, c’è il nuovo segretario di stato, Marco Rubio, considerato ininfluente dal punto di vista delle reali politiche diplomatiche e sotto sanzioni da parte di Pechino, e il consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Waltz, uno dei più espliciti falchi anticinesi tra i repubblicani. Ma attorno alla preparazione della nuova Casa Bianca si muove anche Elon Musk, che ha un ottimo rapporto con il business cinese. 

 

In più, la Cina ormai conosce il metodo Trump, e sa come evitare di compromettere i suoi interessi trattandolo come uomo d’affari, non come fine stratega. Evan Medeiros, accademico e analista sulle relazioni America-Cina, ha scritto qualche giorno fa che “se la politica cinese di  Trump è definita dall’incertezza e dalle contraddizioni, la strategia di Xi Jinping è definita dalla chiarezza e dalla determinazione”. Pechino ritiene, secondo Medeiros, “di aver ormai compreso i giochi di prestigio di Trump e di poter manipolare la sua Amministrazione. La fiducia della Cina si basa sulla conclusione, corretta o meno, che la Cina nel 2025 è diversa dal 2017, così come lo sono gli Stati Uniti e il mondo”. E così probabilmente la partita si giocherà su più tavoli, confusa anche nei messaggi, per esempio, all’Unione europea: “Xi è aperto ai negoziati perché vuole un po’ di respiro sul fronte economico, in modo che la Cina possa mettere in campo le sue forze per una competizione a lungo termine”. 

 

L’imprevedibilità delle prossime mosse sulla Cina di Trump è ben rappresentata dalla vicenda TikTok, il popolarissimo social network di proprietà della cinese ByteDance. 
Ieri la Corte suprema americana si è riunita per ascoltare le argomentazioni pro e contro la legge dell’Amministrazione Biden che impone la vendita del social network entro il 19 gennaio – cioè un giorno prima dell’insediamento di Trump – oppure la sua chiusura sul territorio americano. Sono due le argomentazioni che sostiene il governo americano: chiudere o vendere TikTok serve a combattere la disinformazione cinese e impedire a Pechino di raccogliere informazioni degli utenti. Durante il suo primo mandato, Trump aveva tentato di chiudere il social con un ordine esecutivo, ma a sorpresa, due settimane fa,  ha esortato la Corte suprema a bloccare la legge o a rinviare la scadenza in modo che se ne possa occupare personalmente. L’argomentazione di difesa di TikTok è molto simile a quella data da Mark Zuckerberg, ceo di Meta, che qualche giorno fa ha annunciato l’eliminazione del sistema di protezione dalla disinformazione sui suoi social: a rischio c’è la libertà d’espressione. Secondo il New York Times, però, i giudici della Corte suprema sarebbero più propensi a considerare prioritario l’aspetto della sicurezza nazionale minacciata da aziende tech legate alla leadership di Pechino. Ma Trump, da comandante in capo, potrebbe trovare una scappatoia per TikTok: un favore a Xi, da cui potrebbe avere qualcosa in cambio, in un metodo che potrebbe durare a lungo, anche quattro anni.





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