Licenziato il disabile per superamento del comporto: è discriminazione

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Nel caso in esame, la Corte d’appello territorialmente competente, in riforma della pronuncia del Giudice di prime cure, aveva respinto le domande di impugnazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato a un lavoratore disabile.

In particolare, la Corte distrettuale non condivideva la posizione del Tribunale secondo la quale l’applicazione del periodo di comporto sia a lavoratori normodotati che a quelli disabili costituisse una discriminazione indiretta.

Il lavoratore soccombente ricorreva in cassazione avverso la decisione dei giudici di appello, affidandosi a 7 motivi, a cui resisteva con controricorso la società. Entrambe le parti comunicavano memorie.

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Il lavoratore, tra gli altri,

  • denunciava “la violazione e falsa applicazione della direttiva 2000/78/CE”, poiché la sentenza aveva negato che l’applicazione del medesimo periodo di comportato ai lavoratori disabili e a quelli che non lo fossero costituisse discriminazione indiretta, anche ai sensi del diritto dell’Unione;
  • si doleva del fatto che la Corte d’appello aveva rifiutato “l’applicazione di principi enunciati dalla Corte di Giustizia sulla base di un bilanciamento di interessi che “in forza della Costituzione è riservata al legislatore” e
  • eccepiva che la motivazione formulata dai giudici di merito fosse contraddittoria “nella misura in cui ha (ndr aveva) ritenuto che non vi sia (non vi fosse) alcuna discriminazione indiretta a carico del disabile, in quanto questi può (ndr poteva) accedere effettivamente ad una tutela più ampia del lavoratore normodotato, ovvero il periodo di comporto c.d. prolungato, mentre poi si è (era) astenuta dal pronunciare circa la domanda di illegittimità del licenziamento fondata proprio sul non aver applicato tale ultimo istituto”.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione adita ritiene la sentenza d’appello non conforme all’orientamento unanime della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 2023/9095; Cass. n. 11731/2024; Cass. n. 14316/204, Cass. n. 14402/2024 e Cass. n. 30095/2024) secondo la quale, in tema di licenziamento, costituisce discriminazione indiretta l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto previsto per il lavoratore normodotato al lavoratore che versa in situazione di disabilità secondo il diritto dell’Unione.

In sostanza, “la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo dello stesso periodo di comporto in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto poiché in posizione di particolare svantaggio.

La conoscenza dello stato di disabilità del lavoratore (o la possibilità di conoscerlo secondo l’ordinaria diligenza) da parte del datore di lavoro fa sorgere in capo a quest’ultimo – a cui non può corrispondere un comportamento ostruzionistico del lavoratore stesso – l’onere di acquisire, prima di intimargli il licenziamento, informazioni circa l’eventualità che le assenze per malattia siano connesse allo stato di disabilità. Ciò al fine di individuare possibili accorgimenti ragionevoli ex art. 3, comma 3bis, del D.Lgs. 216/2003, la cui adozione presuppone l’interlocuzione ed il confronto tra le parti, che costituiscono una fase ineludibile della fattispecie complessa del licenziamento in questione. Disposizione questa secondo la quale “Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro (…) sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori (…)

Detto orientamento, continua la Corte di Cassazione, ha sottolineato anche l’esigenza che la contrattazione collettiva disciplini espressamente la questione del comporto dei lavoratori disabili avendo riguardo alla condizione soggettiva, non essendo sufficiente il rilievo dato alle ipotesi di assenze determinate da particolari patologie o connotate da una certa gravità.

Entrando nella fattispecie per cui è causa, ad avviso della Corte di Cassazione, i giudici di merito hanno accertato che la società era a conoscenza dello stato di disabilità del lavoratore e che gli aveva intimato il licenziamento per superamento del periodo di comporto (lo stesso previsto anche per le persone senza disabilità) omettendo di acquisire informazioni circa la correlazione tra le assenze per malattie e lo stato personale di disabilità, così da individuare possibili accorgimenti ragionevoli per evitare il licenziamento. Al riguardo non sono, infatti, sufficienti le previsioni della contrattazione collettiva riferite ai portatori delle gravi patologie ivi indicate.

Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione cassa la sentenza d’appello, rinviandola alla Corte d’appello in diversa composizione.

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Fonte: Cass. 7 gennaio 2025 n. 170



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